venerdì 26 febbraio 2010

Ancora un libro abbandonato alla COOP: "LOS PIRATAS DEL NUEVO MUNDO" di Rafael Abella

Qualcuno comincerà a pensare, non senza  ragione, che l'unica fonte di approvvigionamento di libri per me, sia lo scaffale della Coop di Genzano, dove i clienti li abbandonano. Il fatto è che i libri di cui mi interessa parlare, sono libri insoliti, che non appaiono in alcuna lista di libri che bisogna aver letto assolutamente! E su questo scaffale, ogni tanto qualcosa di strano capita.

Questo, ad esempio, se lo avessi visto in libreria, propabilmente, lo avrei lasciato lì, non avendo un interesse particolare per i pirati, tranne i Salgari giovanili e Stevenson. Trovato tra i libri abbandonati ha richiamato la mia attenzione, il fatto che fosse in lingua originale ha accentuato l'interesse, anche per verificare la dimestichezza con una lingua appresa molti anni fa.

L'autore Rafael Abella, leggo nel risvolto di copertina, è uno storico, famoso sopratutto per opere politico-sociali contenporanee, quali La vida cotidiana durante la guerra civil e per una trasmissione radiofonica  sempre su temi storici.

Il racconto prende le mosse dalla scoperta dell'America, prosegue con l'analisi  della rivalità tra Spagna  e Inghilterra, per l'egemonia sulle rotte atlantiche e lo sfruttamento dei nuovi territori.

Si scopre così che la necessità di importare schiavi dall'Africa, nasce dall'impossibilità  della Spagna di considerare schiavi gli abitanti del Nuovo Mondo in quanto, con  bolla pontificia Inter Caetera papa Alessandro VI (papa Borja poi italianizzato in Borgia),  concede a  re Ferdinando d'Aragona tutte le terre scoperte al di là della linea teorica che si trova a cento miglia marine dall'isole Azzorre e Capo Verde, e tutti i nativi americani diventano sudditi, non schiavi, di Sua Maestà Cristianissima.

Ci sono libri che avvincono per l'intreccio della storia, altri che si fanno amare per i personaggi, resi  vivi dall'autore in modo magistrale,  e altri, come questo sui pirati, che aprono il mondo alla conoscenza e alla ricerca di altri libri, altre notizie, altre informazioni. Su internet apprendo che la possibilità  del papato di concedere la proprietà delle nuove terre scoperte, gli viene addirittura dal falso testamento di Costantino!

Il libro procede con la storia dei pirati, corsari e bucanieri più famosi e delle imprese più nefaste di cui si resero protagonisti, degli intrecci di interessi  tra il governo inglese, eterno avversario  della Spagna per il controllo dei mari, ma anche del tentativo utopico del corsaro Frederick Misson con l'anarchico Giovanni Carracioli di fondare nell'Isola di Johanna nell'Oceano Indiano, el imperio del "todos para uno y uno para todos", un meraviglioso sogno di libertà. Naturalmente naufragato per l'inestinguibile violenza dell'uomo.
A fine lettura vengono in mente i versi di Ruben Dario : Desgraciado Almirante!

        ...duelos, espantos, guerras, fiebre costante
        en nuestra senda ha puesto la suerte triste
        !Cristoforo Colombo, pobre Almirante,
        ruega a Dios, por el mundo que descubriste!



       

mercoledì 10 febbraio 2010

I GATTI NELLA LETTERATURA

Da semplici citazioni nei titoli, che nulla hanno a che fare poi  col racconto, a veri e propri protagonisti degli stessi: i gatti entrano a piano titolo nella letteratura. Mi viene in mente di Giovanni Comisso Un gatto attraversa la strada,(Mondadori 1954, Premio Strega 1955) serie di racconti, di cui uno da il titolo al volume.   Una scrittura pacata, elegante, mi verrebbe da dire cordiale. Dice di lui Guido Piovene:
Comisso opera in un clima di prosa d'arte, aspira ad una prosa perfetta, ben levigata, senza pecche (.....) la sua prosa è, nel complesso, sorvegliata, tesa verso la scelta delle parole più precise, colorite, qualche volta rare.
Del 1968 è L'occhio del gatto quarto romanzo di Alberto Bevilacqua (Rizzoli, Premio Strega 1968).   Racconta la beffa-vendetta di Marcello
nei confronti della moglie, che lo ha lasciato portandosi dietro i suoi due figli e andando a vivere con un nuovo compagno. In questo caso un  gatto esiste veramente, ma quello cui allude il titolo è, in gergo, l'obiettivo fotografico, in quanto il protagonista e un operatore cinematografico di attualità.

Io sono un gatto di Natzume Sòseki è un romanzo di 491 pagine + 12 pag. di note + 4 pag. di glossario, opera prima pubblica nel 1905 è considerato uno dei grandi libri della letteratura giapponese moderna  e il suo autore il più grande scrittore del Giappone moderno, maestro riconosciuto di Tanizaki, Kawabata e Miscima, tanto importante da apparire, fino al 2004, sulle banconote da 1000 yen.


L'edizione italiana, uscita nel 2006 per Neri Pozza Editore, è tradotta da Antonietta Pastore, che cura anche le note.


E' una lettura che coinvolge completamente. Raccontato in prima persona dal gatto-filoso di un professore, che si atteggia a grande studioso; egli osserva con distacco i radicali mutamenti epocali che stanno avvenendo e commenta questi, e le miserie quotidiane cui assiste, con disincantata ironia.

Ecco un saggio del gatto-pensiero, mentre assiste a una partita di go (un gioco insensato, con regole inesistenti e opinabili, dove si muovono delle piccole pietre su una scacchiera) tra il professore e un suo amico:

Poiché il gioco del  go é stato inventato dall'uomo, è una manifestazione dei suoi gusti, quindi si può affermare serenamente che la piccolezza delle pedine esprime la meschinità della sua natura. Assumendo che si possa capire la natura umana dal comportamento delle pietre del go, ne consegue che l'uomo riduce l'immensità dell'universo alla propria dimensione, che ama limitare artificiosamente il proprio territorio in modo da non potersi muovere dal posto in cui si trova. E questo ci permette di definirlo con una sola parola: masochista.
Dopo aver letto questo libro guarderemo il nostro gatto (e tutti gli altri che incontreremo) con occhi diversi, forse con più rispetto e considerazione!

                                                              

martedì 2 febbraio 2010

ANCORA LIBRI RANDAGI ALLA COOP DI GENZANO

Questo volumetto se ne stava, spaesato, insieme a vecchi gialli
Mondadori, nello scaffale della Coop di Genzano, dove i clienti
abbandonano i loro libri randagi.      Preda troppo ghiotta per
lasciarla negli scaffali:   vederlo e decidere di prenderlo è stato
tutt'uno.

 Karen Blixen: non ho letto niente di lei, mi sono detto, questa è l'occasione per conoscerla.

Un libro, un saggio, più esattamente un pamphlet contro l'istituto del matrimonio, definito un guscio vuoto come l'idea del Natale o dell'atmosfera natalizia, perchè le parole, le musiche, i profumi conservano ancora una certa santità nel ricordo delle voci di chi vedeva nella santità una realtà, e così questa santità si confonde con il ricordo.(....) Lo stesso accade per esempio anche alla monarchia moderna, che ha conservato il nome e parte dello splendore di quella antica - anche se né Araldo Bellachioma né Luigi XIV considererebbero legittima l'istituzione attuale, anzi, senza spiegazioni non la riconoscerebbero neppure come tale.

Incredibile la quantità di ragioni che dispiega per dimostrare l'inattualità dell'istituto matrimoniale, ma anche lo sprezzo e il sarcasmo che dispensa, nelle 111 pagine del volumetto. Alate parole sono riservate all'esaltazione del libero amore. Considerato che il libro fu scritto nel 1924, ma pubblicato  postumo solo nel 1977, quando fu fortunosamente trovato tra le carte del fratello Thomas, cui era dedicato, sorprende la grande modernità e la carica libertaria di questa donna che visse coerentemente con le proprie idee.

Karen Blixen è anche famosa per non aver vinto il premio Nobel per la letteratura. Nel 1954, Hemingway ritirando il premio fece notare, molto elegantemente ed anche un po' dispiaciuto, che tale riconoscimento sarebbe spettato anche alla Blixen. Era la candidata più quotata nel 1959, ma anche allora non ce la fece: la sua appartenenza alla regione scandinava fece temere i giurati di essere giudicati parziali favorendola, così scelsero Salvatore Quasimodo.