domenica 28 aprile 2013

Vladimir Nabokov - LOLITA - Mondadori 1959 - £ 1.500



Qui in Italia la prima edizione di Lolita uscì nel maggio del 1959, ma già nel mese di giugno ci furono tre edizioni, un'altra a luglio la quinta, in agosto la sesta e la settima; questa mia è l'ottava edizione uscita nel settembre del 1959. 

Tutte le edizioni andavano a ruba. In quegli anni lavoravo presso il magazzino di Roma della Mondadori,  rispondendo al tefono ripetevamo continuamente: -"No, spiacente, Lolita è in ristampa". Ricordo bene il parapiglia che produceva l'arrivo di una ristampa di Lolita. Il più delle volte i quantitativi arrivati non erano sufficienti a coprire le prenotazioni: anche le librerie più piccole, ma persino le cartolibrerie, ordinavano varie tredicesime del volume. Questo per dire che c'era una richiesta enorme del libro di Nabokov, sproporzionato non al suo valore letterario che è grandissimo, ma rispetto alla curiosità morbosa che era cresciuta un po' in tutto il mondo per la sua presunta carica erotica.

Il suo autore, Vladimir Vladimirovič Nabokov, scrittore, saggista, entomologo, drammaturgo, poeta e  critico letterario, nasce a Pietroburgo nel 1989, naturalizzato statunitense, muore a Montreux, nell'elegante cornice del Lago di Ginevra, nel 1977.   

Al suo attivo una decina i romanzi scritti in russo, nove romanzi scritti in inglese, decine e decine le raccolte di racconti in entrambe le lingue,  saggi di letteratura e raccolta di poesie. 

Di tutta la sua corposa opera  si distingue, per l'indiscutibile successo di pubblico e di critica, questa Lolita o La confessione di un vedovo di razza bianca - questo il titolo completo - che in un certo senso ne condiziona la vita, dandogli fama e successo economico, anche grazie alla vendita dei diritti cinematografici per il film di  Stanley Kubrick del 1962.

Com'è noto il corposo romanzo - ben 480 pagine - è la storia della passione che accende il maturo professore francese Humbert Humbert per la figlia dodicenne della donna americana che  aveva sposato proprio per poterne frequentare l'adolescente figlia.

Nabokov, consapevole della delicatezza dell'argomento, e nel timore di essere confuso con il personaggio creato, prese le distanze dal protagonista facendo precedere il romanzo da una prefazione a firma di un inesistente John Ray Junior, che presenta il romanzo come un manoscritto avuto dall'autore, quel Humbert Humbert che racconta gli avvenimenti in prima persona e che muore in carcere in attesa di essere giudicato per omicidio.

Questo il primo paragrafo del romanzo:

Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un breve viaggio di tre passi sul palato per andare a bussare, tre volte, contro i denti. Lo. Li. Ta.
Era Lo, null'altro che Lo, al mattino, dritta nella sua statura di un metro e cinquantotto, con un calzino soltanto. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea punteggiata dei documenti. Ma nelle mie braccia fu sempre Lolita.
Un'altra l'aveva forse preceduta? Si, certo. A dire il vero, forse Lolita non sarebbe esistita affatto se io non avessi amato, un'estate, una prima fanciulla. In un principato sul mare. Oh, quando? Press'a poco tanti anni prima della nascita di Lolita quanti ne contavo io quell'estate. Gli assassini amano lo stile fantasioso, si può starne certi.
Signore e signori della giuria, il reperto numero uno è ciò a cui anelano i serafini, i male informati, ingenui serafini dalle fiere ali. Osservate questa corona di spine.





Dalla seconda di copertina, probabilmente scritta da Niccolò Gallo che era curatore editoriale Mondadori:

Humbert Humbert è al volante della sua macchina, guarda il paesaggio, e gli sembra che ogni parte di esso, come le parti di un collage posto in rilievo da una spessa lente, si deformi, sbiadiscano i colori, si deteriori l’atmosfera che compone il quadro: ed ha il sospetto che sia la sua presenza a provocare quella decomposizione, che sia, insomma, la presenza dell’uomo a deturpare la natura, a renderla banale.


E ancora:


Lolita è il romanzo della decadenza del costume contemporaneo: descrivendo con precisione quasi clinica l’esplosione deformante di una passione amorosa, rivaluta, per contrasto,, in un mondo che l’ha perduta, l’innocenza e la sua gioia. Mettendo in rilievo l’alienazione morale di un uomo, ci rappresenta l’alienazione di tutta una società: ci mostra come il peccato non renda l’uomo libero, ma crei un contrasto, appunto, tra lui e la natura.


 Ma Lolita è anche un romanzo itinerante, un romanzo on road,  "attraverso la pazzesca trapunta arlecchino di quarantotto Stati", raccontato con un linguaggio suggestivo che ricorda autori europei, primo fra tutti Proust.

In seguito a un paradosso della logica pittorica, le campagne della pianura nord-americana mi erano parse a tutta prima qualcosa ch'io accettavo con uno choc di divertito riconoscimento a causa di quelle tele cerate dipinte che venivano un tempo importate dall'America per essere appese sopra il portacatino nelle stanze dei bambini dell'Europa Centrale e che, all'ora di dormire, affascinavano un fanciullo sonnacchioso con gli agresti, verdi panorami che raffiguravano: alberi opachi e ricciuti, una stalla, bestiame, un ruscello, il bianco opaco di vaghi frutteti in fiore, e magari un muretto di sassi oppure colline di un verde acquerello. Ma a poco a poco i modelli di quelle scene villerecce elementari divenivano sempre più estranei allo sguardo, mentre io finivo con il conoscerle meglio. Al di là della pianura arata, al di là dei tetti-giocattolo, esisteva un lento diffondersi di inutile bellezza, un pigro sole immerso in una bruma color platino insieme a calde sfumature da pesca sbucciata che pervadevano il margine superiore d'una nube unidimensionale color grigio tortora, sul punto di fondersi con la lontana nebbia amorosa. Poteva esservi un filare d'alberi molto intervallati profilantisi contro l'orizzonte, e ardenti, taciti mezzogiorni su solitarie distese di trifoglio, e nubi alla Claude Lorrain tracciate in modo remoto sul nebuloso azzurro le cui sole parti cumuliformi spiccavano cospicue contro il neutro deliquio dello sfondo. Oppure poteva trattarsi di un austero orizzonte alla El Greco, pregnante di pioggia inchiostrata, con la visione fuggevole di qualche contadino dal collo di mummia, e tutto intorno strisce alterne d'acqua simile ad argento vivo e di granturco di un verde aspro, l'intera visione spiegata come un ventaglio in qualche parte del Kansas.

Penso con divertita soddisfazione alle molte delusioni che deve aver provocato questo romanzo in chi vi cercava pruriginose descrizioni lascive, del pornografico insomma.

Nella postfazione di Nabokov che chiude il volume, lo stesso autore ricorda i punti segreti, le coordinate subconscie del romanzo, rammaricandosi che tali scene verranno saltate o non saranno rilevate e forse neppure raggiunte da coloro i quali cominceranno a leggere il libro convinti che sia qualcosa di simile a "Memorie d'una donna di piacere" o a "Les amour de Milord Grosvit". 

 Così magistralmente Nabokov conclude  la postfazione:

Nessuno dei miei amici d'America ha letto i libri che ho scritto in russo, e di conseguenza ogni giudizio sull'efficacia del mio inglese può essere soltanto approssimativo.  La mia tragedia personale - che non può, e invero non dovrebbe interessare nessuno - sta nell'aver dovuto abbandonare l'idioma per me naturale, la lingua russa, sciolta, ricca e infinitamente docile, e nell'essere io stato costretto ad adottare un inglese di second'ordine, privo di tutti quegli attributi - specchio magico, nera tenda di velluto, implicite tradizioni e associazioni di idee - dei quali l'illusionista in patria, con le code del frac svolazzanti, può magicamente avvalersi per trascendere a modo suo il retaggio dei padri.


Una visione dell'America che solo un occhio non viziato dall'assuefazione, ma educato all'arte poteva descrivere con tanta precisione, e con una sorprendente ricchezza linguaggiper  uno scrittore non di madre lingua.

Per chi fosse interessato all'edizione originale nella mitica collana della Medusa, ho trovato questo link dove ne propongono uno usato.


 

lunedì 15 aprile 2013

COQUETTE - La cicala - Quindicinale di varietà - Via della Stelletta, 23 Roma -1946 - £ 50














Questa rivistina osè venne stampata in una tipografia in via della Stelletta a Roma nel 1946, cioé all'indomani della fine della guerra, nello stesso anno in cui venivano pubblicati i primi numeri di Oggi, Grand Hotel  e Confidenze

Senza dubbio la scelta di mandare in edicola pubblicazioni così frivole, in un paese in parte distrutto,  è il segno inequivocabile della necessità di un ritorno a una qualche normalità, dopo lutti, sofferenze, fame e paura.

Per capire cos'è stato il 1946 basti ricordare che è l'anno in cui Vittorio Emanuele III abdica in favore del figlio Umberto, che resterà in carica pochi mesi prima che il referendum per la scelta  tra monarchia e repubblica non lo spedirà definitivamente in esilio. 

A Roma, come in tutta Italia, nel 1946, non funzionavano ancora i mezzi pubblici e ci si spostava prevalentemente a piedi, in bicicletta ma sopratutto con le camionette: un servizio privato su camion e mezzi di fortuna su cui ci si inerpicava servendosi di una sedia che veniva posizionata alle fermate dal cassiere; non si trovava ancora niente nei negozi e imperava la borsa nera. 

Sotto i portici di Piazza Vittorio, esposti  su giornali spiegati per la vendita al minuto, enormi cumuli di tabacco ricavato dalle cicche che ragazzi e adulti raccoglievano in giro per la città, i famosi ciccaroli.

Mi ha colpito il  prezzo di copertina di questa rivistina: 50 lire che non erano poche per il 1946, in rapporto alle 4 lire del costo di un giornale, quando una tazzina di caffé costava 20 lire come  un libro 20-25 lire,  un kg di pane 45 lire, latte 30 lire, pasta 120, zucchero 720!, un grammo di oro valeva 818. La paga mensile di un operaio era di 10.000 lire e quando, nello stesso anno, uscì la prima Vespa, costava 68.000 lire!

Per gli adolescenti di quegli anni queste immagini, e i raccontini che le accompagnano, dovevano rappresentare il massimo della trasgressione; completano la rivistina varie rubriche di umorismo e di consigli per corteggiare con successo le ragaze, addirittura un romanzo a puntate: Persiane chiuse, di tale Jacques Casquedor, il racconto Una notte d'amore (Avventura da Mille e una notte) di J.Richepin. Per la Posta di Coquette rispondeva nientemeno che una George Sand!, e non poteva mancare la rubrica dei piccoli  annunci che rappresentano un quadro veritiero degli umori e dei desideri dell'epoca...

DISPERATO APPELLO lancia bel gioane 34enne molto vissuto (12 anni navigazione in tutto il mondo) vasta cultura animo elevato amante musica lettere problemi spirituali residente Roma; nauseato banalità della vita, deluso donne, anela a creatura eletta bella di corpo e di animo capace col suo caldo affetto sincero salvarlo dal suicidio.

LAUREATA bella presenza, giovane, distinta, cerca in Roma affettuoso cuore, saldo cervello, raffinata educazione, in elemento maschile degno esserle buon compagno lungo strada faticosa e impervia della vita.

STUDENTE povero, pensionato guerra, bella presenza residente Sassari impalmerebbe signorina o vedova ricca, possibilmente giovane alta simpatica attraente.
E, per finire:

ATTENTI ALLA FORTUNA ! Volete vincere al lotto? Mandate £ 35 in francobolli e riceverete una giocata infallibile. Potrete così graziose fanciulle farvi la dote. Scrivete Tessera Postale 468 Apice (Benevento)




"Sulle rive di un lago non lontano dalla Capitale, in questa torbida estate così ricca di avvenimenti e di paurose incognite, vive e fiorisce una piccola colonia di nudisti che, avendo dato addio senza rimpianti a tutte le convenzioni imposte dalla società è felicemente tornata alla primordiale esistenza dei nostri padri."
















mercoledì 3 aprile 2013

Raffele La Capria - FERITO A MORTE - Bompiani - XIII Edizione 1962 - £ 1.200




Questo secondo romanzo di Raffaele La Capria vinse nel 1961 uno dei più combattuti Premi Strega, prevalendo di un solo voto su Delitto d'onore di Arpino e Ballata levantina di Fausta Cialente. Così lo ricorda Maria Bellonci nel suo Come un racconto gli anni del Premio Strega:

Nel 1961 la votazione a Villa Giulia ebbe carattere di vero spettacolo. Arrivarono a un passo dal traguardo in tre: Fausta Cialente con Ballata levantina, Giovanni Arpino con Delitto d'onore, e Raffaele La Capria con Ferito a morte. L'enorme pubblico ondeggiava ad ogni voto che il presidente del seggio Luigi Barzini, come sempre compiutamente calato nella sua parte, scandiva con voce rilevata. All'ultimo, per un solo voto vinse La Capria e la Cialente e Arpino rimasero indietro di un passo. Sebbene il titolo del premio spettasse a La Capria, si poteva dire che i vincitori erani stati tre: e si palesava così il giudizio critico dei votanti che indicavano un peso non molto dissimile nei tre libri tanto diversi. Dalle pagine della Cialente si alzava un ritratto prestigioso della nonna in Egitto che è un'apparizione indimenticabile nella narrativa italiana. Arpino impugnava in Delitto d'onore un problema meridionale aggredendolo a soprassalti estrosi e ironici che davano alla pagina un'evidenza quasi plastica. Nuovo di tendenza e di linguaggio, Ferito a morte era il più difficile per la lettura del pubblico fra i tre libri. Nelle avventure del pescatore subacqueo napoletano si appassivano le fragranze marine esalate dal racconto: e la scrittura a cadenze frammentate e rinfrangenti rifletteva il modo di vivere di una società toccata da un dolore di pigrizia che diventava disfacimento.

Giorgio Bàrberi Squarotti nell'edizione del Club degli Editori 1969- collana  I Premi Strega  - definisce con una acuta analisi il libro di La Capria testo definitivo del rinnovamento tecnico e tematico della nostra  narrativa dopo la definitiva crisi del neorealismo:

Ferito a Morte fin dalla costruzione rivela l'intento dell'autore di recuperare la grande lezione tecnica dell'avanguardia del primo Novecento, utilizzando il monologo interiore come misura unica che regola sul tempo della coscienza, non su un'oggettiva cronologia, il movimento e il significato degli eventi.

Già dalla lettura dell'incipit si percepisce la leggerezza e la musicalità del linguaggio di La Capria:


La spigola, quell'ombra grigia profilata nell'azzurro, avanza verso di lui e pare immobile, sospesa, come un reattore quando lo vedi sbucare ancora silenzioso nel cerchio tranquillo del mattino. L'occhio fisso, di celluloide, il rilievo delle squame, la testa corrucciata di una maschera cinese - è vicina, vicinissima, a tiro. La Grande Occasione. L'aletta dell'arpione fa da mirino sulla linea smagliante del fucile, lo sguardo segue un punto a destra delle branchie. Sta per tirare - sarà più di dieci chili, pensa - e la Cosa Temuta si ripete: una pigrizia maledetta che costringe il corpo a disubbedire, la vita che nel momento decisivo ti abbandona. Luccica lì, sul fondo di sabbia, la freccia inutile. La spigola passa lenta, come se lui non ci fosse, quasi potrebbe toccarla, e scompare in una zona d'ombra, nel buio degli scogli.

E' facile per il lettore essere preso dalla misteriosa atmosfera del romanzo, attraverso i sogni, i pensieri, i discorsi, le descrizioni, i ricordi, riferiti secondo il punto di vista dei vari personaggi che attraversano la storia, in un ozioso gioco che evidenzia lo spreco della loro giovinezza e la vita come un'occasione mancata.

Qui il link della bella intervista di Fazio a La Capria in occasione dell'uscita del suo ultimo romanzo
                 

             http://www.youtube.com/watch?v=mZ8782L5Etg


In questo link il sito ufficiale di La Capria dove spiega esaurientemente tutte le sue opere, ivi compreso questo Ferito a morte.

                                                      http://www.lacapria.it/libro.php?Id=2



Di questo libro possiedo entrambe le edizioni, la prima Bompiani XIII edizione, novembre 1962 e l'edizione per il Club degli Editori Collana Premi Strega del 1969, qui sotto reperibili usati.