lunedì 24 agosto 2015

Heinrich Böll - E NON DISSE NEMMENO UNA PAROLA - Mondadori 1956 - £ 850



Quando questa vecchia Medusa entrò in casa, nel febbraio 1956, non suscitò in me alcuna curiosità preso com'ero, in quel periodo, da una passione esclusiva per gli scrittori americani, e in particolare per le  invenzioni narrative della trilogia USA di Dos Passos.

Di Heinrich Böll ho letto solo recentemente lo splendido romanzo L'onore perduto di Katharina Blum del 1974, (vedi):

http://giorgio-illettoreimpenitente.blogspot.it/2013/10/heinrich-boll-lonore-perduto-di.html

mentre questo, E non disse nemmeno una parola, è del lontano 1953, e, come ci ricordano le macerie che incontriamo insieme  ai due protagonisti nelle loro lunghe peregrinazioni, la guerra è finita da poco e le rovine materiali della città sono il naturale scenario di quelle altrettanto dolorose dei sopravvissuti.

Il romanzo ha struttura lineare, narrato in prima persona, alternativamente, da Fred e Käte Bogner,  coniugi in crisi che vivono in miseria, separati fisicamente e moralmente, e attorniati da una umanità preoccupata di ripristinare quel benessere materiale che la guerra ha spazzato via. 

Spesso, leggendo, si ha l'impressione che l'essere cresciuto in ambiente cattolico abbia in qualche modo condizionato l'autore, che racconta un asfisiante ambiente di cattolici bigotti, con un eccesso  di vescovi, preti, sacrestie, confessionali, e  processioni che sembrano scene del profondo sud d'Italia.

   Rivestito della porpora dei martire, il vescovo incedeva, solo e isolato, tra il gruppo del Santissimo e la società corale. Le facce accaldate dei cantori avevano un aspetto smarrito, quasi stolido, come se ascoltassero mentalmente l'urlo dolce e melodioso che avevano appena interrotto.
   Il vescovo era alto e slanciato e i suoi folti capelli bianchi uscivano a sboffi di sotto il piccollo zucchetto paonazzo. Camminava dritto, a mani giunte, ma io mi accorsi che non prgava, benché avesse le mani giunte e lo sguardo fisso in avanti. La croce d'oro, sul suo petto, dondolava leggermente di qua e di là, al ritmo dei passi. Il vescovo aveva un incedere regale: le sue gambe si alternavano in un movimento largo e misurato, e a ogni passo alzava un tantito i piedi, chiusi in pantofole di marocchino rosso, sicché pareva una variazione blanda del passo da parata Era stato ufficiale. La sua faccia d'asceta era fotogenica. Si adattava benissimo per le copertine delle riviste religiose.
   A breve distanza seguivano i canonici. Due soli avevano la fortuna di possedere un viso ascetico; tutti gli altri erano grassi, o pallidissimi o rubicondi, e le loro fisionomie avevano un'aria di indignazione di cui non si riusciva a capire la causa.
   Quattro uomini in smoking reggevano il baldacchino barocco guarnito di preziosi ricami, e sotto di esso avanzava il vescovo suffraganeo, con l'ostensorio. L'ostia, benché fosse assai grande, non riuscivo a vederla bene. M'inginocchiai, feci il segno della croce, ed ebbi, per un istante, la sensazione di essere un ipocrita. Ma poi pensai che Dio era innocente e che non è ipocrisia inginocchiarsi dinanzi a lui. Quasi tutti, lungo i due marciapiedi, s'inginocchiavano. Solo un giovane col basco e con una giacca sportiva verde rimase in piedi senza togliersi il beretto dal capo né le mani dalle tasche. Mi fece piacere che almeno non fumasse. Un uomo dai capelli bianchi gli si accostò per didietro, gli bisbigliò qualcosa, e l'altro, facendo spallucce, si tolse il berretto e se lo tenne sul ventre, ma senza inginocchiarsi.
Beh, intolleranza per intolleranza, almeno quel giovane non lo hanno picchiato, come sarebbe accaduto qualche anno prima se non avesse mostrato il rispetto dovuto a una sfilata di svastiche!  Un'ultima cosa, ma che il vescovo fosse  suffraganeo o metropolita, perché precisarlo, visto che ai fini della narrazione è assolutamente irrilevante?  Mah!

Comunque, nel complesso, il romanzo mi è piaciuto.   Heinrich Böll, ricordiamo che ha meritato il premio Nobel nel 1972, ha una capacità descrittiva notevole, i protagonisti si muovono  nella città ancora devastata, osservando ogni piccola cosa, come se avessero una cinepresa che ci trasmette l'immagine di una Germania anno zero.

Il titolo è ripreso dal canto gospel He Never Said a Mumbling Word che Käte ascolta in chiesa, e chiaramente fa riferimento a Cristo che fu crocifisso e non disse nemmeno una parola. Qui sotto il link per poterlo ascoltare.

https://www.youtube.com/watch?v=7SE-In7Wf80



giovedì 20 agosto 2015

John Steinbeck - I PASCOLI DEL CIELO - I Libri del Pavone - Mondadori 1953 - £ 250


«Questa nuova iniziativa editoriale che ha il suo corrispondente nei celebri poket books americani venduti a milioni di esemplari, integra e completa, nel campo della narrativa, la Biblioteca Moderna Mondadori, con il ristampare i migliori romanzi contemporanei. A una rigorosa scelta di opere da molto tempo assenti nelle librerie e insistentemente richieste dal pubblico, la nuova collana "I libri del Pavone" unisce una elegante presentazione editoriale e tecnica. I volumi, stampati su buona carta con copertina a quattro colori verniciata, sono soprattutto destinati a penetrare dignitosamente nella rete vastissima della classe media che è sempre la più volenterosa e attenta acquirente di libri non appena il prezzo divenga accessibile. »
Con queste parole viene presentato nel Maggio del 1953 il primo numero della collana I libri del Pavone, con il romanzo I pascoli del cielo di Steinbeck, già presente dal 1940 nel catalogo Mondadori nella collana La Medusa.

Riesumando I pascoli del cielo mi chiedevo perché il mio blog  parli solo di questi vecchi libri, con i dorsi ingialliti e polverosi e le ridicole copertine illustrate come dei fumetti, poi l'ho capito: è perché parlando di questi vecchi romanzi che mi hanno appassionato quand'ero ragazzo, è come se parlassi un po' di me, come se rievocassi la mia fanciullezza e adolescenza. Di questo romanzo di Steinbeck, che entrò in casa nel dicembre 1953, mi ha sempre colpito la scena illustrata dalla copertina e l'occhiello - selvaggio amore in California - che non hanno niente, ma proprio niente a che vedere con il romanzo, né l'immagine né la scritta. Poco male, un espediente per richiamare quei potenziali lettori che potevano essere respinti dal titolo dal sapore biblico.

Questa rilettura un po' nostalgica, se devo dirla tutta, in fondo non mi ha dato quella gioia che mi aspettavo, quella che avevo provato da adolescente leggendolo la prima volta. Non certo per colpa dei personaggi che popolano la bella valle californiana,  con le loro storie, alcune molto belle, come quella delle sorelle Lopez, Rosa e Maria, che per dare impulso alla loro attività di vendita di tortillas y enchiladas, si concedono gratuitamente, ma solo a quei clienti che ne consumano in gran numero.  Più semplicemente, invecchiando, anche il piacere della lettura perde l'entusiasmo giovanile della scoperta, e si trasforma  in una pratica quotidiana di cui però non si può fare a meno.

Il romanzo è tradotto niente meno che da Elio Vittorini. Ma di Vittorini traduttore sarà bene ricordare che, non solo non capiva bene l'inglese parlato, ma neanche l'inglese scritto, secondo le dichiarazioni della moglie, Rosa Quasimodo, sorella del poeta, che aveva sposato dopo una fuitina d'amore.

 "La signora Rodocanachi faceva a Elio la traduzione letterale, parola per parola che a leggerla non si capiva niente. Lui, poi, a quelle parole dava forma. Sua era la costruzione, l'invenzione; non si legava a quelle parole fredde. Lui raccomandava sempre a lei di fare la traduzione letterale, precisa, parola per parola, articolo per articolo, frase per frase. E poi lui la trasformava in un romanzo. Erano romanzi suoi che traduceva."

Adesso si capisce perché in una traduzione di Faulkner (il Borgo?) la tasca posteriore dei pantaloni da uomo viene chiamata da Vittorini con molta inventiva, tasca deretana.



 Fu Montale a chiedere a Lucia Morpurgo Rodocanachi  (1901-1978) se fosse disposta ad eseguire per Elio Vittorini una traduzione letterale a tamburo battente da D.H. Lawrence. Ebbe così inizio un' avventura durata parecchio, durante la quale Lucia, battezzata da Montale la negresse inconnue eseguì traduzioni letterali dall' inglese, dal tedesco, dal francese, spesso così ben fatte che vi veniva mutato poco o niente per Vittorini (il quale le prometteva parte dei compensi, ma era pessimo pagatore e da lei definito negriero), per lo stesso Montale, per Sbarbaro, per Gadda (il più generoso di tutti); e tutti, che evidentemente distruggevano le lettere di lei, da cui risultavano le prove del misfatto e chiedevano caldamente il più geloso segreto. 

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/09/15/solo-per-te-lucia.html

Questo l'incipit, che chiarisce il titolo del romanzo:

   Quando nel 1776, si costruiva la sede per la Missione Carmelitana dell'Alta California, un gruppo di venti convertiti indiani abbandonavano una notte la religione e le capanne loro. Questo piccolo scisma, oltre a costituire un cattivo precedente, comprometteva il corso dei lavori nelle cave dove veniva preparato l'impasto di argilla per i mattoni.
   Dopo un breve consiglio delle autorità civili e religiose, una squadra di uomini a cavallo, comandata da un caporale spagnolo, partiva per ricondurre quelle smarrite pecorelle nel seno di Madre Chiesa. Fu un difficile viaggio che i soldati fecero su per la valle del Carmelo e poi nelle montagne, ma in capo a una settimana essi trovarono i fuggitivi dissidenti, malgrado la diabolica abilità da essi dimostrata nel nascondere le tracce del loro passaggio, e li trovarono sul fondo di un erboso canyon per il quale scorreva un torrente, occupati a dormirsela in atteggiamenti di eretico abbandono.
   Indignati, i militari li afferrarono e, senza curarsi dei loro ululati di protesta, li legarono l'uno all'altro con una lunga catena. Poi la colonna prese il cammino di ritorno per dare a quei poveri neofiti l'occasione di pentirsi nelle cave d'argilla.
   Nel pomeriggio del secondo giorno un giovane cervo passò di volata dinanzi al caporale e scomparve dietro un ciglione. Il caporale si staccò dalla colonna per inseguirlo. Quando, sullo stremato cavallo, raggiunse la vetta del ciglione, si fermò stupito per lo spettacolo che gli si aprì sotto gli occhi. Una lunga valle si stendeva entro un anello di colline che la proteggevano dalla nebbia e dai venti. Disseminata di querce, era coperta di verde pastura e formicolava di cervi.
   Al cospetto di tanta serena bellezza il caporale si sentì commosso. Lui che aveva frustato tante schiene di indiani, che, maschio rapace, si adoperava per forgiare una nuova razza per la California, lui il selvaggio, barbuto apportatore di civiltà, scese di sella e si tolse il casco d'acciaio.
   «Madre di Dio!» mormorò. «Questi sono i verdi pascoli del Cielo ai quali il Signore ci conduce!»




sabato 15 agosto 2015

John Steinbeck - LA LUNA E' TRAMONTATA - Oscar Mondadori n 5 - 1965 - £ 350


Che questa'opera del 1942 di John Steinbeck (1902-1968) sia stata originariamente pensata  come testo teatrale (con il titolo "The New Order"), è abbastanza evidente perché tutto lo ricorda: le scene di interni, i lunghi dialoghi, il carattere didascalico della parte narrativa.  gli agenti teatrali rifiutarono l'opera perchè, come apprendiamo da Wikipedia, consideravano che la prospettiva di un'invasione e occupazione degli Stati Uniti potesse scoraggiare il morale dei combattenti e dei loro familiari. Decise quindi di trasformarlo in romanzo e di spostare l'ambientazione in Norvegia. Dopo la pubblicazione, ne uscì una versione teatrale, rappresentata per la prima volta a Broadway l'8 aprile 1942 e pubblicata dal "Dramatists Play Service" di New York lo stesso anno.
La morale, l'insegnamento de La luna è tramontata, è l'insopprimibile anelito alla libertà di un popolo che non si lascia asservire dal nemico invasore. Pur essendo stata scritta in giorni di pericolo per la civiltà, quando le armate tedesche avevano già invaso e occupato gran parte dell'Europa e il Giappone era all'offensiva nel Pacifico, il romanzo trascende la cronaca e amplia il discorso sul valore etico dell'uomo.
Centrale è la figura del vecchio sindaco Orden che, al pari  del suo amico dottor Winter, rappresenta il sapiente, cioé colui in grado di riconoscere l'indefinibilità assoluta del bene, possedendo in quanto sindaco da sempre, la scienza di ciò che è utile per la comunità intera. Non è casuale che il romanzo, chiamiamolo così, ma sarebbe interessante leggere anche la versione per il teatro, finisce con il sindaco Orden che si reca alla sua fucilazione recitando, in coppia col dottor Winter, l'Apologia di Socrate.

 Il sindaco Orden spiega al colonnello Lanser, comandante dell'esercito invasore:


«Vedete, signore, nulla può mutare la situazione. Voi sarete disfatti e scacciati.» La sua voce era morbida, sommessa. «I popoli non amano essere conquistati e per questo non lo saranno. Gli uomini liberi non possono scatenare una guerra, ma una volta che questa sia cominciata possono continuare a combattere nella sconfitta. Gli uomini-gregge, seguaci di un capo, non possono farlo, ed ecco perché sono sempre gli uomini-gregge che vincono le battaglie e gli uomini liberi che vincono le guerre. Vi accorgerete che è cosi, signore.»

lunedì 10 agosto 2015

Sergiusz Piasecki - L'AMANTE DELL'ORSA MAGGIORE - Oscar Mondadori 1965 - £ 350



Quando questo romanzo uscì nel 1937 ebbe immediatamente un grande successo in Polonia e, in seguito, in tutta Europa; in Italia fu pubblicato nel 1942 da Mondadori. Era stato scritto tra 1934 e il 1937 in carcere, da un detenuto che scontava una pena a quindici anni (dopo che gli era stata commutata la precedente pena di morte) per contrabbando. Si deve all'interessamento di Melchior Wańkowicz (1882-1974), popolare scrittore-giornalista polacco, che lo incitò a scrivere sotto forma di romanzo la sua avventura di contrabbandiere tra il confine polacco e quello sovietico, e si interessò per la sua pubblicazione.
Partiamo dalla complessa e, per certi versi, oscura biografia dell'autore: Sergiusc Piasecki (1901-1964) - già sulla tomba, nel cimitero di Hastings UK, la data di nascita segnata è un'altra, 1899; tanto per cominciare con i misteri che riguardano la vita di quest'uomo, diventato scrittore per caso ma anche per necessità, se è vero che la pubblicazione del romanzo gli valse il perdono giudiziario.
Dalla pagina in inglese che Wikipedia  dedica a Piasecki, apprendiamo che il contrabbandiere, acceso anticomunista, non solo ha collaborato come spia del governo polacco, ma ha anche svolto l'oscuro e ripugnante incarico di eseguire delle sentenze di morte.
Cosa c'entra tutto questo con il romanzo? Secondo Charles Augustin de Saint-Beuve (1804-1869) per comprendere a pieno l'opera di un artista non si può prescindere dalla sua biografia. Proust nel Contre Sante-Beuve, ma anche in tutta l'opera posteriore, tende a demolire questa tesi, dimostrando che «Un libro è il prodotto di un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi». 
Non so quanto il romantico contrabandiere Vladek, protagonista e io narrante del romanzo, i cui valori sono quelli dell'amicizia, della libertà e del vivere pericolosamente, magari anche imponendo la propria legge morale, che è poi la legge del più forte, sia completamente identificabile con l'autore, secondo gli argomenti di Sainte-Beuve, o se abbia arricchito la personalità di Vladek con quell'idealismo romantico che lo ha reso, in quegli anni di acceso anticomunismo, l'eroe positivo che si lascia guidare nelle scorribande lungo i confini sovietico-polacco dall'Orsa Maggiore, in nome di un ideale di libertà.

https://en.wikipedia.org/wiki/Sergiusz_Piasecki

Lo schema del racconto è abbastanza semplice e ripetitivo. I commercianti ebrei mettono a disposizione la merce che le varie bande confezionano in pacchi da 30 a 60 libbre da legarsi sulle spalle come uno zaino; quindi, dopo qualche bevuta di vodka, guidati dal macchinista si parte per il confine dove prima bisogna evitare i verdoni (guardie confinarie polacche) e poi le più pericolose guardie rosse. Superato il confine, con sempre nuove difficoltà dovute al terreno, alla pioggia, alla neve, alla nebbia, bisogna marciare ancora molte ore per raggiungere la tampa, che è il luogo dove si deposita la merce e si viene pagati e spesso è pronta la merce per il viaggio di ritorno. Qui finalmente ci si riposa e si può mangiare: frittata, stufatino con cavolo, frittelle calde, pagnotte e lardo affumicato, ma prima di ogni cosa fiaschi di vodka che tutti bevono come fosse acqua.
La presenza di donne nel racconto è assolutamente marginale, presenze secondarie: mamme e sorelle premurose, o giovani procaci  e disponibili, per il divertimento dei maschi. Anche quelle che fanno lo stesso rischioso mestiere degli uomini, non hanno la medesima dignità, quasi che il loro essere femmine sovrasti e condizioni l'essere contrabbandiere..
La vita di città è caotica e deludente, in confronto alla schiettezza della vita a ridosso del confine:

Oh, come mi annoiava tutto questo! Ero stanco di bagordi cittadini, stanco di quella gente che mentiva e della città in cui si contrabbandava attraverso molte barriere la verità, come da noi la merce. Tutto vi era artificiale, scintillante e molto complicato, ma sotto si nascondevano le solite brutture e il vuoto.... Là respiravo a pieni polmoni. Là gli uomini sono sinceri e sotto la rude scorza delle parole nascondono pensieri d'oro, e nel petto chiudono vivaci sentimenti e un cuore caldo. Qui, non un pensiero schietto, non una parola sincera. Tutti qui, dovunque e sempre, fingono, recitano una parte in una enorme farsa o commedia che sia. Teatro sempre, in casa e fuori... Qui le donne mascherano con le graziose vesti e l'elegante biancheria miseri corpi malaticci. Là, sotto le rozze vesti palpitano corpi vigorosi, caldi, amanti senza inganno, per necessità, non per curiosità o per interesse.
Devo confessare però che, nonostante i limiti qui ricordati, ho riletto con piacere questo romanzo; certo non è Conrad, neanche  Melville, né Stevenson, ma per quel senso dell'avventura che lo pervade, quella specie di magia che, leggendo, ti prende, al di là del suo valore letterario. 
 

Piasecki nel 1939
L'interesse per questo romanzo è confermato anche da un film, di scarso successo, di Valentino Orsini del 1971, con Giuliano Gemma nella parte del protagonista e Senta Berger in quella della glaciale Fela, e uno sceneggiato del 1984 di Anton Giulio Majano in sette puntate.