Monica, una mia amica insegnante, volendo condividere una sua bella esperienza di lettura, mi ha regalato questo libro, il quarto romanzo di Marzo Balzano, un quarantino milanese insegnante e scrittore. E' una buona cosa che siano gli insegnanti a scrivere libri, non i personaggi televisivi o i partecipanti ai talk show, ai quali gli editori, ultimamente, sembrano aver aperto un credito illimitato, i cui risultati ingombrano, senza nessuna effettiva necessità, gli scaffali delle librerie prima, e i magazzini del macero, dopo.
«E' una bella storia» mi ha detto porgendomelo «son sicura che ti piacerà».
Quante volte mi sono detto, bugiardamente, che a me non interessano le storie ma solo la forma della narrazione, il linguaggio; che non ci sono più storie da raccontare e quelle che riempiono gli scaffali delle librerie sono solo narcisistiche esibizioni, patetici selfie psicologici che è giustissimo scrivere per conoscere se stessi, ma deleterio dare alle stampe.
Ho iniziato a leggere con queste consolidate certezze, cercando già dentro di me le parole giuste per giustificare con la mia amica Monica una delusione che credevo certa.
Di primo acchitto ho giudicato il linguaggio troppo moderno per il periodo storico raccontato, ma poi, proseguendo la lettura ed entrando nella testa della protagonista, che è la voce narrante, ho capito che quelle frasi asciutte, essenziali, quasi hemingwayane, erano funzionali al carattere di Trina, dura donna di montagna, forte e coraggiosa, provata dalla violenza subita dalla sua comunità, in guerra e in pace, e dalla scomparsa della figlia a cui si rivolge in forma di lettera-diario.
Questo è un romanzo storico, nel senso più classico del termine.
Per quanto i personaggi principali siano inventati, la storia, anche se poco conosciuta, è drammaticamente vera.
Trina, Erich e gli altri personaggi del romanzo sperimentano, singolarmente e come comunità, la forza cieca del potere politico, inconciliabile con gli interessi, ma soprattutto con la dignità della persona e della collettività.
Alla fine della prima guerra mondiale, col disfacimento dell'Impero Austro-Ungarico, alcune zone di confine passano all'Italia con le loro popolazioni di lingua tedesca. Con l'arrivo del fascismo viene imposta con la forza l'italianizzazione, poi il progetto di costruzione di una diga che mette in pericolo l'esistenza stessa delle popolazioni montane, quindi lo scoppio della seconda guerra mondiale, l'occupazione nazista dopo l'8 settembre, la lotta partigiana.
Ma neanche la pace e la democrazia sembrano porre fine alle sofferenze di quelle popolazioni della Val Venosta: la diga che distruggerà i paesi di Resia e Curon verrà costruita negli anni cinquanta, e a nulla sarà valsa la resistenza opposta per impedirne la realizzazione.
L'incipit:
https://www.raiplay.it/video/2018/07/Intervista-a-Marco-Balzano-26dc40ac-f696-4a20-8ee7-35c336c93265.html
Questo è un romanzo storico, nel senso più classico del termine.
Per quanto i personaggi principali siano inventati, la storia, anche se poco conosciuta, è drammaticamente vera.
Trina, Erich e gli altri personaggi del romanzo sperimentano, singolarmente e come comunità, la forza cieca del potere politico, inconciliabile con gli interessi, ma soprattutto con la dignità della persona e della collettività.
Alla fine della prima guerra mondiale, col disfacimento dell'Impero Austro-Ungarico, alcune zone di confine passano all'Italia con le loro popolazioni di lingua tedesca. Con l'arrivo del fascismo viene imposta con la forza l'italianizzazione, poi il progetto di costruzione di una diga che mette in pericolo l'esistenza stessa delle popolazioni montane, quindi lo scoppio della seconda guerra mondiale, l'occupazione nazista dopo l'8 settembre, la lotta partigiana.
Ma neanche la pace e la democrazia sembrano porre fine alle sofferenze di quelle popolazioni della Val Venosta: la diga che distruggerà i paesi di Resia e Curon verrà costruita negli anni cinquanta, e a nulla sarà valsa la resistenza opposta per impedirne la realizzazione.
L'incipit:
Non sai niente di me, eppure sai tanto perché sei mia figlia. L'odore della pelle, il calore del fiato, i nervi tesi, te li ho dati io. Dunque ti parlerò come a chi mi ha visto dentro.
Saprei descriverti nei minimi particolari. Anzi, certe mattine che la neve è alta e la casa è avvolta da un silenzio che mozza il respiro mi vengono in mente nuovi dettagli. Qualche settimana fa mi sono ricordata di un piccolo neo che avevi sulla spalla e che quando ti facevo il bagno nella tinozza mi indicavi sempre. Ti ossessionava. O quel boccolo dietro l'orecchio, l'unico in quei capelli color miele.
Le poche fotografie che conservo le tiro fuori con prudenza, col tempo si diventa di lacrima facile. E io odio piangere. Odio piangere perché è da idioti, e perché non consola. Mi fa solo sentire spossata, senza più voglia di mandar giù un boccone o di infilarmi la camicia da notte prima di andare a dormire. Invece bisogna curarsi, stringere i pugni anche quando la pelle delle mani si copre di macchie. Lottare a prescindere. Questo mi ha insegnato tuo padre.
Nei link qui sotto, una interessante intervista allo scrittore Marco Balzano, finalista al Premio Strega e una storia documentata della diga.
https://www.raiplay.it/video/2018/07/Intervista-a-Marco-Balzano-26dc40ac-f696-4a20-8ee7-35c336c93265.html
https://www.youtube.com/watch?v=n7TvrzVB7Lw
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