mercoledì 23 gennaio 2013

Bernard Moitessier - CAPO HORN ALLA VELA - Mursia 1969 - £ 3.200





Splendida l'avventura  di Soldini e il suo Team che a bordo di Maserati, su la tratta New York S.Francisco,  oggi ha doppiato Capo Horn, stabilendo un primato in 21 giorni, 23 ore e 14 minuti di navigazione.

L'entusiasmo per questa grande prova di virtù marinara mi ha ricordato un libro magico, che mi ha fatto scoprire la vela - siamo alla fine degli anni '60 - questo di Bernard Moitessier (1925-1994): un uomo di mare straordinario che a bordo di Joshua un ketch in acciaio,  lungo 12 metri, per alberi due pali telegrafici di18 metri, e per equipaggio la sola  moglie (digiuna di navigazione), percorre 14.000 miglia senza scalo, passando per Capo Horn con onde alte 20 metri! Inutile dire che non disponeva di GPS, ma solo di carte nautiche, effemeridi, portolano, sestante e cronometro, come si navigava una volta quando la tecnologia informatica era solo fantascienza

Questo il percorso del Joshua; era stato dato questo nome all'imbarcazione in onore del grande Joshua Slocum (1884-1909), (il primo uomo a circumnavigare il mondo a vela percorrendo 46.000 miglia tra il 1895 e 1898 su uno sloop di m. 11,2 denominato Spray).







Un uono eccezionale Moitessier, per dirne una: durante la prima regata intorno al mondo in solitario, il Golden Globe Race (1969), pur essendo in condizioni di vantaggio e prossimo ormai alla vittoria, decide di allungare la traversata e doppia per la seconda volta il Capo di Buona Speranza, rinunciando così alle 5000 sterline di premio.

Per chi ama il mare e la vela, un libro  avvincente, emozionante, indimenticabile!

martedì 22 gennaio 2013

Jack Kerouac - I SOTTERRANEI - Universale Economica Feltrinelli 1973 - £ 800

                                          


C'è una dichiarazione di Kerouac, che, secondo me, è un indizio eloquente per valutare complessivamente la sua opera, dice infatti nel 1962:

« La mia opera forma un unico grosso libro come quella di Proust, soltanto che i miei ricordi sono scritti di volta in volta. A causa delle obiezioni dei miei primi editori non ho potuto servirmi degli stessi nomi di persona in ogni libro. [...] non sono che capitoli dell'intera opera ch'io chiamo La Leggenda di Duluoz[...] veduta attraverso gli occhi del povero Ti Jean (io), altrimenti noto come Jack Duluoz »

Keruoac come Proust, dunque, un'unica lunga narrazione della sua fatica di vivere.  Gli editori non lo apprezzarono abbastanza e lo pubblicarono non tanto perché credevano nel valore letterario delle sue opere, quanto perché di moda il movimento beatnik che lui raccontava. Per questo la sua aspirazione di riunire tutti i suoi romanzi in un'opera unica, con gli stessi personaggi, a somiglianza della recherche proustiana, non venne realizzata. 

Henry Miller ha trovato in Kerouac l'autentica incarnazione di quanto profetizzato da  un suo personaggio (in Tropico del Cancro) il quale dice, a proposito del libro che intende scrivere: "Mi stenderò sul tavolo operatorio, e metterò in mostra le budella". E' esattamente quello che Kerouac compie scrivendo e vivendo, scrivendo come vive e vivendo come scrive, fino alla prevedibile fine.

Dalla prefazione che Henry Miller scrisse per l'edizione Feltrinelli di I Sotterranei del 1960, nella collana Le Comete:

Jack Kerouac ha violentato a tal punto la nostra immacolata prosa, che essa non potrà più rifarsi una verginità. Appassionato cultore della lingue, Kerouac sa come usarla. Da virtuoso nato qual è, egli si compiace di sfidare le leggi e le convenzioni dell'espressione letteraria ricorrendo ad una comunicazione rattratta scabra liberissima tra scrittore e lettore.

Questa  edizione dell'Universale Economica, tradotta da un Anonimo di cui non sono riuscito a risalire all'identità, è arricchita  dalla presentazione di Miller e un'Introduzione di Fernanda Pivano, che è un saggio sull'opera di Kerouac e un minuzioso esame del suo linguaggio, della struttura jazzistica del suo stile.

Scrive Fernanda Pivano:


Non è uno scrittore di idee: le sue idee si sono concentrate e manifestate nello sforzo di individuare e ricreare il costume descritto; la sua qualità non va ricercata nel pensiero, ma nell'intensità emotiva. Che dipende dalla sua lingua, dal suo linguaggio, dal suo stile jazzistico, o che dipenda semplicemente da un suo vigore espressivo, sta il fatto che la vita e le immagini evocate da Kerouac sono dense e vibranti come in pochi scrittori della storia letteraria americana.

Questo l'Incipit :

Ero una volta giovane e aggiornato e lucido e sapevo parlare di tutto con nervosa intelligenza e con chiarezza e senza far tanti retorici preamboli come faccio ora; in altre parole questa è la storia di uno sfiduciato che non è più padrone di se e insieme la storia di un egomaniaco, per costituzione e non per facezia - questo tanto per cominciare dal principio con ordine ed enucleare la verità, perché è proprio questo che voglio fare. - Cominciò una calda notte d'estate, si, con lei seduta su un parafango quando Julien Alexander che sarebbe..... Ma cominciamo dalla storia dei sotterranei di San Francisco.

E' la storia del tormentato rapporto tra l'autore, Leo Percepied,  e Mardou, bellissima mezzosangue - madre nera e padre cheroke, perennemente in giro per i locali di San Francisco, dove si fa jazz,  tra giovani scrittori beat, poeti e perditempo, tra sogni di redenzione e distruttive sbornie. 

martedì 15 gennaio 2013

Trilussa - ACQUA E VINO - OMMINI E BESTIE - LIBRO MUTO - BMM n. 109 del 1959 - Prezzo netto £ 350


Carlo Alberto Salustri più noto come Trilussa, dall'anagramma del cognome, (1871-1950), appassionato dell'opera del Belli, esordì giovanissimo con alcune poesie sul Rugantino, storico periodico romanesco che vide la luce a Roma addirittura nel 1848 con un placet di PIO IX, che per la prima volta concedeva uno spazio alla libertà di stampa!

Del  Rugantino ho un tenero ricordo perché era una lettura frequente in casa da parte di mia nonna Elvira, che ricordo,  a volte, chiedeva a me di di leggerle  i feuilleton che pubblicavano a puntate.

 



 Nelle poesie e nei sonetti la satira amara di Trilussa spazia in cinquant'anni di cronaca italiana, dall'età giolittiana attraverso il fascismo, la guerra, il dopoguerra, e gli anni della ricostruzione.


CAFFE' DER PROGRESSO
Er Caffè der Progresso
è una bottega bassa, così scura
ch'ogni avventore è l'ombra de se stesso.
Nessuno fiata. Tutti hanno paura
de dì un pensiero che nun è permesso.

Perfino la specchiera,
tutt'ammuffita da l'ummidità,
è diventata nera
e nun rispetta più la verità.

Io stesso, quanno provo
de guardamme ner vetro,
me cerco e nun me trovo...

Com'è amaro l'espresso
ar Caffè der Progresso !
(1938)

Trilussa, sebbene avesse evitato di prendere la tessera fascista, mantenne buoni rapporti col regime, e preferiva definirsi non-fascista piuttosto che antifascista, anche se sottilmente lo prendeva di mira nei suoi versi.

DIFETTO DE PRONUNCIA

Er Re, finito er giro der castello,
chiese ar guardiano : - E dov'avete messo
quer pappagallo che strillava spesso
"Viva la libbertà!", dietr'ar cancello ?

Ancora me ricordo de la pena
che provò l'avo mio quanno l'intese;
s'interessò der fatto e a proprie spese
decise d'allungaje la catena. -

Er guardiano rispose : - Ancora campa:
ma je se rotto er becco p'er motivo
ch'ogni tanto faceva er tentativo
de levasse l'anello da la zampa.

Mò sta avvilito, povera bestiola,
e ogni vorta che chiacchiera s'ingrifa:
invece de di "viva" dice "fifa"...
e 'r rimanente je s'incastra in gola.

(1936)

L'ironia nella poesia di Trilussa manifesta quella forma di pessimismo che è strutturale in tutto il movimento letterario ottocentesco.
Pappagallo ermetico

Un Pappagallo recitava Dante :
"Pepe Satan, pepe Satan aleppe..."
Ammalappena un critico lo seppe
corse a sentillo e disse : - E' impressionante !
Oggigiorno, chi esprime er su' pensiero
senza spiegasse bene, è un genio vero :
un genio ch'è rimasto per modestia
nascosto ner cervello d'una bestia.
Se vôi l'ammirazione de l'amichi
nun faje capì mai quelo che dichi.
(1937)

Politicamente Trilussa lo si può definire uno scettico qualunquista, un classico borghese convinto che tutti coloro che si schierano politicamente hanno il loro bravo tornaconto, ne consegue che la satira è sempre venata da un amaro sceticismo.

Lo vediamo in
 alcuni sonetti sull'argomento "Elezioni politiche".


L'INDENNITA'

Adesso, ar Parlamento Nazzionale
ogni rappresentante der Paese
sai quanto pija? Mille lire ar mese :
dodicimila all'anno... Non c'è male!

Chi je li da ? Nojantri: è naturale !
Ne la paga, però, ce so' comprese
l'opinioni politiche e le spese
pe' sostené la fede e l'ideale.

Quelli che ne potrebbero fa' senza,
perché so' ricchi e cianno robba ar sole,
li spenneranno pe' beneficenza.

Er mio, defatti, pare che li dia,
ar Pro-Istituto de le donne sole
ch'anno bisogno d'una compagnia...
 (1913)

LA SINCERITA' NE LI COMIZZI

Er deputato, a dilla fra de noi,
ar comizzio ciagnede contro voja,
tanto che a me disse : - Ih Dio che noja ! -
Me lo disse, è verissimo : ma poi

sai come principiò ? Dice : - E' con gioja
che vengo, o cittadini, in mezzo a voi
per onorà li martiri e l'eroi,
vittime der Pontefice e der boja ! -

E, lì, rimise fòra l'ideali,
li schiavi, li tiranni, le catene,
li re, li preti, l'anticlericali...
Eppoi parlò de li principî sui :
e allora pianse : pianse così bene
che quasi ce rideva puro lui !

MINISTRO

Se sa : l'uomo politico italiano
procura d'annà appresso a la corrente;
si lui nun ciriolava, certamente,
mica finiva còr potere in mano !

Perché da socialista intransiggente
un giorno diventò repubblicano.
poi doppo radicale e, piano piano,
sortì dar gruppo e fece er dissidente.

Adesso ?  E? ricevuto ar Quirinale !
E, siccome è Ministro, nun te nego
che sia 'na conseguenza naturale :

però nun so capì co' che criterio
chiacchieri còr Sovrano, e nun me spiego
come faccia er Sovrano a restà serio !
(1911)

Quando nei versi compaiono gli animali, la satira si fa più leggera, e l'amarezza, se vi traspare, ha un sapore bonario.

LA FESTA DEL SOMARO

Le Capre compativano er Somaro :
- Quanto devi soffrì co' 'sta capezza !
- Mah ! - fece lui - quann'uno ce s'avvezza
finisce che je serve da riparo.

Eppoi, se la domenica er padrone
me porta in giro, dove c'è la fiera,
co' li pennacchi e co' la sonajera,
me scordo tutto. Che soddisfazzione !
(1938)

Voglio finire con questo breve sonetto, la panoramica del primo dei quattro volumi di Trilussa, che sembra disegnare l'essenza del carattere del popolo romano, il suo scetticismo che gli impedisce di prendere le cose sul serio,  che gli viene da secoli di convivenza con il potere oppressivo del papato, ma anche dall'aver visto, attraverso gli avi, la gloria dell'Impero Romano e la sua tragica fine.


LA STRADA MIA

La strada è lunga, ma er deppiù l'ho già fatto :
sodov'arrivo e nun me pijo pena.
Ciò er core in pace e l'anima serena
der savio che s'ammaschera da matto.

Se me frulla un pensiero che me scoccia
me fermo a beve e chiedo ajuto ar vino :
poi me la canto e seguito er cammino
 còr destino in saccoccia.






Questi gli altri tre volumi di Trilussa nella classica edizione BMM, i Nr.  184 - - 292 - 345


































giovedì 10 gennaio 2013

Edmondo De Amicis - CUORE - Garzanti 1951 - £ 550

                        


Questo libro in brossura, tenuto assieme alla meglio con una striscia di adesivo trasparente, mi è particolarmente caro perché mi è stato regalato da mia madre nel 1953, quando avevo 14 anni. Nel foglio di guardia vi è la dedica che mia madre scrisse con l'augurio che la  lettura potesse rendermi sempre migliore. 

Sul verso del frontespizio, dove si indica la proprietà letteraria, una annotazione dell'editore ricorda che: "Ogni esemplare di quest'opera che non rechi la firma del figlio dell'Autore deve ritenersi contraffatto". Infatti sotto vi è la firma a timbro di Ugo De Amicis

Edmondo De Amicis (1846-1908) dopo l'Accademia di Modena diventò ufficiale e partecipò alla Battaglia di Custoza, nel 1867 lasciò l'esercito e diventò giornalista e inviato di guerra per conto del Ministero, in seguito fu inviato di guerra del giornale La Nazione di Firenze, dove si era nel frattempo trasferito. Come giornalista assistette alla presa di Roma nel 1870.

La prima edizione del Cuore si ebbe nel 1886 presso l'editore Treves è fu subito un grande successo letterario che in pochi mesi superarono le quaranta edizioni e  decine di traduzioni in altre lingue.

Il libro è costruito come la finzione letteraria di un diario tenuto da un alunno di terza elementare, e così lo presenta De Amicis in una sorta di prefazione:


Questo libro è particolarmente dedicato ai ragazzi delle scuole elementari, i quali sono tra i nove e i tredici anni, e si potrebbe intitolare: Storia d'un anno scolastico, scritta da un alunno di terza d'una scuola municipale d'Italia - Dicendo scritta da un alunno di terza, non voglio dire che l'abbia scritta propriamente lui, tal qual è stampata. Egli notava man mano in un quaderno, come sapeva, quello che aveva visto, sentito, pensato, nella scuola e fuori; e suo padre, in fin d'anno scrisse queste pagine su quelle note, studiandosi di non alterare il pensiero, e di conservare, quanto fosse possibile, le parole del figliolo. Il quale poi, quattro anni dopo, essendo già al Ginnasio, rilesse il manoscritto e v'aggiunse qualcosa di suo, valendosi della memoria ancor fresca delle persone e delle cose. Ora leggete questo libro, ragazzi: io spero che ne sarete contenti e che vi farà del bene.

La suddivisione in capitoli segue i mesi dell'anno scolastico: inizia a ottobre e finisce a luglio, all'interno di ogni mese ci sono delle lettere che il padre e la madre periodicamente scrivono a Enrico - l'io narrante del libro - per raccomandare, esortare, rimproverare: esercitare, insomma, quella fondamentale attività educativa  che i  genitori sono chiamati a svolgere.

Ci sono poi le letture mensili, che i ragazzi fanno e commentano, si tratta di racconti che si possono definire edificanti, che esaltano le virtù del coraggio, dell'altruismo, della generosità, dell'amor patrio: Dall'Appennini alle Ande, Sangue romagnolo, La piccola vedetta lombarda eccetera.

Martedì 29 novembre, scrive la madre a Enrico:
Dare la vita per il proprio paese, come il ragazzo lombardo, è una grande virtù; ma tu non trascurare le virtù piccole, figliolo. Questa mattina, camminando davanti a me quando tornavamo da scuola, passasti accanto a una povera, che teneva fra le ginocchia un bambino stentino e smorto, e che ti domandò l'elemosina. Tu la guardasti e non le desti nulla, e pure ci avevi dei soldi in tasca. Senti, figliolo, non abbituartti a passare indifferente davanti alla miseria che tende la mano, e tanto meno davanti a una madre che chiede un soldo per il suo bambino. Pensa che forse quel bambino aveva fame,pensa allo strazio di quella povera donna. Te lo immagi il singhiozzo disperato di tua madre, quando un giorno ti dovesse dire: - Enrico, oggi non posso darti nemmeno il pane? - Quand'io do un soldo a un mendico, ed egli mi dice: - Dio conservi la salute a lei e alle sue creature - tu non puoi immaginare la dolcezza che mi danno al cuore quelle parole, la gratitudine che sento per quel povero. Mi par davvero che quel buon augurio debba conservarci in buona salute per molto tempo, e ritorno a casa contenta, e penso: "Oh! quewl povero m'ha reso assai più di quanto gli ho dato!". Ebbene, fa' ch'io senta qualche volta quel buon augurio provocato, meritato da te; togli tratto tratto un soldo alla tua piccola borsa per lasciarlo cadere nella mano d'un vecchio senza sostegno, d'una madre senza pane, d'un bimbo senza madre. I poveri amano l'elemosina dei ragazzi perché non li umilia, e perché i ragazzi, che han bisogno di tutti, somigliano a loro: vedi che ce n'è sempre intorno alle scuole, dei poveri. L'elemosina di un uomo è un atto di carità; ma quella di un fanciullo è insieme un atto di caritàe una carezza; capisci? E' come se dalla tua mano cadessero insieme un soldo e un fiore. Pensa che a te non manca nulla, ma che a loro manca tutto; che mentre tu vuoi essere felice, a loro basta di non morire. Pensa che è un orrore che in mezzo a tanti palazzi, per le vie dove passano carrozze e bambini vestiti di velluto, ci siano delle donne, dei bimbi che non hanno da mangiare. Non aver da mangiare, Dio mio! Dei ragazzi come te, buoni come te, intelligenti come te, che in mezzo a una grande città non han da mangiare, come belve perdute in un deserto! Oh, mai più, Enrico, non passare mai più davanti a una madre che mendica senza metterle un soldo nella mano!
                                                                                                           Tua madre


Nelle lettere che il padre scrive sul diario di Enrico, e nei racconti mensili che i ragazzi leggono, c'è la storia del nostro paese in un preciso momento storico, quando l'unità d'Italia era ancora una pagina fresca d'inchiostro e l'entusiasmo e le speranze non ancora disilluse.

Nonostante il libro esalti quelle virtù che sono tanta parte della cultura cattolica: modestia, carità, altruismo, fedeltà, valore della famiglia eccetera, non vi è alcun riferimento alla Chiesa, né alle feste religiose come il Natale e la Pasqua, e per questo il libro Cuore fu aspramente criticato  dai cattolici.

In seguito De Amicis, amico di Filippo Turati,  aderì al partito socialista e collaborò ai giornali Critica sociale e Lotta di classe.

Questi sono i racconti mensili,  otto come i mesi di scuola, e si presentano con un diverso carattere tipografico rispetto a quello usato per il diario di Enrico, mentre  le lettere dei genitori sono in corsivo:
  1. Il piccolo patriota padovano
  2. La piccola vedetta lombarda
  3. Il piccolo scrivano fiorentino
  4. Il tamburino sardo
  5. L'infermiere di Tata
  6. Sangue romagnoloValor civile
  7. Dagli Appennini alle Ande
  8. Naufragio

Non so se l'augurio espresso  da mia madre si sia realizzato, se la lettura edificante abbia in qualche modo influito sull'uomo che poi sono diventato, certo alcuni principi sono passati e fanno da sempre parte del mio essere; tuttavia ancora oggi il mondo semplice raccontato in questo romanzo per ragazzi, continua a commuovermi. Ma forse dipende semplicemente dal fatto che invecchiando ci si rincitrullisce.

mercoledì 9 gennaio 2013

GRAND GOURMET - Rivista internazionale di alta cucina - 1984 - £ 8.000 (versione rilegata £ 12.000 in Libreria))



Là, tout n'est qu'ordre et beautè, Luxe, calme et volupté. 

I versi di Baudelaire sembrano l'headline per una campagna pubblicitaria di questa straordinaria rivista di alta cucina, apparsa nelle edicole italiane nei lontani anni '70, e poi scomparsa come tutte le cose belle.

Questa bella rivista, che si proponeva di sprovincializzare la ristorazione italiana, era stata fondata da un personaggio che sembra uscito dalle pagine di un romanzo: Giuseppe Maffioli (1925-1985), regista negli anni '60 di opere del Ruzzante e attore-caratterista in una  trentina di film negli anni '70. La sua vera passione fu la gastronomia, storico dell'arte culinaria, autore di decine di libri, fu collaboratore della Cucina Italiana, fondatore del Primo Festival Gastronomico; Marco Ferreri lo volle come esperto gastronomico per la realizzazione dei piatti nel suo capolavoro La grande bouffe.

Direttore della rivista era stato chiamato Alfredo Beltrame (1924-1984), cuoco e giramondo: fu direttore dell ristorante del Casinò del Cairo, in seguito chef della reggia di Faruk, in Italia fondò  l'elegante El Toulà di Cortina, capostipite di una fortunata catena di locali in tutta italia.

Dall'incontro di questi  due uomini di cultura nacque questa rivista, destinata a raccogliere il più straordinario campionario di oggetti, prodotti, vini, ricette, servizi, foto e articoli intorno alla grande cucina: dove finisce l'alimentazione e inizia il voluttuoso percorso edonistico vaticinato da Brillat Savarin.





Le ricette sono semplicissime, e i pochi sceltissimi ingredienti subiscono brevi cotture, a volte a bagnomaria, come la terrina di verdure in alto a destra su maionese di pomodoro crudo, l'unica ricetta provata personalmente con grande successo.


Semplicissima, ma che richiede una perfetta esecuzione, le Fragole in sfoglia carammellata qui a fianco.




Vini da seduzione e meditazione per eccellenza i Sauternes di cui qui sotto vediamo una importante selezione. L'articolo racconta l'impervio percorso che porta le uve (Semillon 80% e Sauvignon 20%) ad acquisire quelle particolari caratteristiche organolettiche che ne fanno un vino imparaggiabile.
     



Non c'è niente di strano in un fornaio con l'aspetto del vero fornaio.

Questi è Monsieur Mittelette, nel suo negozio al 48 di rue Caulaincourt, vecchio di cento anni La Galette, si trova il miglior pane di Montmartre.












Parigi. Come dire la tradizione, la suntuosità, la massima raffinatezza, ma anche il rinnovamento per tutto quanto riguarda l'arte della cucina. Culla storica e trampolino delle intuizioni della nouvelle cuisine. Non è certo agevole illustrare sinteticamente quanto questa città può offrire per la delizia del palato e degli occhi, l'unica strada è focalizzare alcuni elementi caratterizzanti. Una sorta di percorso ragionato, senza grandiose velleità, ma con la precisa consapevolezza di poter proporre qualcosa di assolutamente vicino al "top".



Le edicole sono stracolme di riviste di cucina che, in ossequio alla crisi, sono orientate al massimo risparmio, manca l'oggetto elegante, la proposta raffinata come era Grand Gourmet che anche nella pubblicità proponeva i prodotti più pregiati.

La rivista, che usciva in quattro numeri annui e costava  £ 8.000, ha cessato le pubblicazioni per la morte prima del suo direttore e poi del fondatore, avvenute ad un anno di distanza,   entrambi a 60 anni. 

domenica 6 gennaio 2013

Henry Miller - TROPICO DEL CANCRO - Feltrinelli 1973 - £ 1.000



Ho acquistato e letto questo libro nel 1973, ma, lo confesso, a quel tempo, forse perché troppo giovane, o troppo occupato, o troppo superficiale, o troppo distratto, dalla famiglia, dal lavoro, dalla vita, la lettura non mi coinvolse, lasciandomi anzi infastidito dall'apparente sconclusionato procedere della narrazione.

Giorni fa su Fb la cara amica Elisabeth ha condiviso un frammento del libro, pubblicato dalla sua Università, l'UNAM di Città del Messico:
No tengo dinero, ni recursos, ni esperanzas. Soy el hombre más feliz del mundo. Hace un año, hace seis meses, pensaba que era un artista. Ya no lo pienso, lo soy. Todo lo que era literatura se ha desprendido de mí. Ya no hay más libros que escribir, gracias a Dios.
 
Non ho né soldi, né risorse, né speranze. Sono l'uomo più felice del mondo. Un anno, sei mesi fa, pensavo d'essere un artista. Ora non lo penso più, lo sono Tutto quel che era letteratura, mi è cascato di dosso. Non ci sono più libri da scrivere, grazie a Dio.


Questo piccolo frammento  mi ha spinto a ricercare  il volume, finito in uno scatolone di vecchi libri, e finalmente leggerlo, ma veramente questa volta.  La lettura è stata una scoperta continua, una vera rivelazione. Ogni tanto dovevo ripetermi che il libro era stato scritto nel 1934,  l'anno in cui venne assegnato il Premio Nobel per la Letteratura a Pirandello!

A Parigi, dove Henry Miller vive, alla ricerca continua di cibo e un posto dove dormire, bivaccano nel solotto di Gertude Stein gli scrittori americani della lost generation, Fitzgerald, Hemingway e compagnia bella.

 Ma che ci fa Henry Miller, cinque anni più vecchio di Fitzgerald e otto anni di Hemingway, ma paradossalmente appartenente alla generazione successiva, quella della beat generation? Prepara il futuro, spiana la strada a Kerouac & co.

Questo è un romanzo che spiazza fin dal suo titolo. Perché Tropico del cancro?  Il simbolismo del titolo - zona temperata posta al disopra dell'equatore -  non ha nulla a che vedere con le condizioni climatiche,  a meno che non si riferisca ad un clima mentale dei suoi abitanti. 

A pag.75, si può leggere questa riflessione:


Un carrozzone delle Galeries Lafayette rimbombava sul ponte. La pioggia era cessata e il sole irrompendo tra le nuvole saponose toccava con un fuoco freddo il lucido caos dei tetti. Ricordo come il vetturino si sporse e guardò il fiume dalla parte di Passy. Uno sguardo così sano, semplice, d'approvazione, come se dicesse a se stesso: "Ah, viene la primavera!" E lo sa Dio, quando viene la primavera a Parigi il più umile dei mortali viventi deve aver la sensazione di abitare in paradiso. Ma non era soltanto questo: era la confidenza con cui il suo occhio si posava sulla scena. La  sua Parigi. A uno non occorre essere ricco, anzi nemmeno cittadino, per sentirsi in questo modo a Parigi. Parigi è piena di gente povera: il più nobile e il più sporco branco di mendicanti che abbia mai calpestato la terra, pare a me. Eppure danno l'impressione d'essere a casa loro. E' questo che distingue la parigina da tutte le altre anime metropolitane.


L'edizione Feltrinelli, nella storica traduzione di Luciano Bianciardi, è arricchita da una preziosa prefazione di Mario Praz, che inquadra opera e autore non nella tradizione america, ma negli umori gotici del surrealismo europeo: Bosch, Rimbaud, Grosz, Ernst, Apollinaire.

Scrive Mario Praz:

Tra la libertà di Whitman e la libertà come l'intende Miller, c'è una differenza che non è una sfumatura, ma addirittura un'ombra spessa: nell'innocenza whitmaniana tutto si colora di rosa, le sue enumerazioni son fremiti di ali di farfalle intorno a un lume che non brucia, ma i ditirambi di Miller son radicati in un senso del peccato, o, se si preferisce, dell'impurità e della morte, che è nettamente segnato dal marchio di fabbrica tedesco: non l'aquila bicipite, ma l'avvoltoio cimiteriale che sentì nell'aria delle fantasie macabre  di Manuel Deutsch, di Urs Graf e di Baldung Grien. Fa dire a uno dei suoi personaggi circa il contenuto del libro che intende scrivere: "Mi stenderò sul tavolo operatorio, e metterò in mostra le budella". E dice egli stesso parlando di se: "L'uomo che appartiene alla sua razza deve collocarsi in alto luogo con una filastrocca in bocca e squarciandosi le interiora. E' giusto e equo, perché egli deve! E tutto quello che non sia questo tremendo spettacolo, tutto quello che sia meno tremendo, meno terribile, meno pazzo, meno avvelenato, meno contaminato, non è arte. Il resto è artifizio. Il resto è umano. Il resto appartiene alla vita e alla non vita."

A conferna di quanto affermato da Mario Praz, in un affascinante saggio su  La questione della decadenza il prof. Roberto Limonta dell'Università di Milano, analizza lo stretto rapporto che lega Henry Miller al tedesco Splenger e il suo Tramonto dell'occidente, affermando che:

Tropico del cancro è una vera trasposizione poetica spengleriana sulla modernità

 Per chi volesse approfondire l'argomento consiglio di leggere l'intero documento, questo il sito:

                  http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/estetica/abstract_limonta.htm


E, Alfred Kazin, nella sua Storia della Letteratura Americana (Longanesi, 1956 - £ 2.800) scrive:


Henry Miller ha veduto nella crisi contemporanea l'annunzio d'una condanna assoluta, un mondo che muore nel caos, "la terra che esce dalla sua orbita", e che ha scritto con significativa esaltazione in Tropic of Cancer che "l'arte consiste nell'andare fino in fondo... Il compito che l'artista implicitamente si propone è quello di rovesciare i valori esistenti, di fare del caos che lo circonda un ordine che sia il suo proprio, di seminare discordia e fermento, affinché, grazie alla liberazione emotiva, quelli che sono morti possano essere restituiti alla vita".   ......
E ancora, parlando di Faulkner, Miller e Wolfe:
E' come se il lungo e profondo straniarsi dello scrittore americano moderno dalla propria società, l'inveterata aria di crisi che egli si porta dietro, avesse raggiunto il culmine, avesse trovato in loro qualche simbolo estremo, Vedendo in termini giganteschi la propria infelicità o l'infelicità dei propri rapporti col mondo, di quel conflitto essi hanno fatto  delle epopee e delle cronache storiche e dei sistemi semifilosofici; ma il tema è sempre stato l'individuo, il loro proprio individualismo; e la loro forza è sempre stata quell'intensità maestosa e generica nella sua rettorica che è possibile soltanto a un tipo di sensibilità che senta le ripercussioni del collasso del mondo nelle febbrili estasi e disperazioni del proprio isolamento.




Quando finalmente il personaggio Henry Miller del romanzo, viene assunto come correttore di bozze in un giornale, così valuta il proprio lavoro:

Hanno su di un meraviglioso effetto terapeutico le disgrazie di cui correggo le bozze. Immaginate uno stato di immunità perfetta, un'esistenza incantata, una vita di sicurezza assoluta, nel bel mezzo di una colonia di bacilli. Nulla mi tocca, né i terremoti, né le esplosioni, né i tumulti, né le carestie, né le collisioni, né le guerre, né le rivoluzioni. Sono vaccinato contro ogni malattia, sciagura, dolore, tristezza. E' la sublimazione di una vita di fortezza. Seduto nella mia piccola nicchia, tutti i veleni che il mondo secerne ogni giorno mi passano per le mani. Nemmeno una macchia su un'unghia. Me la passo meglio di un assistente di laboratorio, perché qui non ci son nemmeno cattivi odori, solo l'odore del piombo fuso. Il mondo può anche scoppiare - io sono sempre qui a mettere una virgola,  un punto e virgola.  Volendo posso anche passare l'orario, perché in un caso del genere cio sarebbe sempre un piccolo extra. Quando scoppierà il mondo, e sarà andata in macchina l'ultima edizione, i correttori di bozze tranquillamente raccoglieranno tutte le virgole, i punti e virgola, le lineette, gli asterischi, le virgolette, le parentesi, i punti esclamativi, eccetera, e li metteranno in una cassettina, sopra la sedia del direttore. Comme ça tout est réglé....



Miller, lo si capisce leggendolo,  aveva una profonda esigenza  di verità, sia in ciò che scriveva che nella vita, così lo ricorda Fernanda Pivano:
Henry Miller lo conobbi a New York, era insieme a Anaïs Nin che era molto carina e che invidiai per la sua relazione con Miller. Lui era un uomo fantastico per il quale persi un po’ la testa. Ricordo che mi disse: “Quando parli con qualcuno che ti interessa non guardargli mai la bocca ma gli occhi e impara a leggerli, capirai se ti sta dicendo cose vere”.

Tropico del cancro, per il suo essere contemporaneamente tante cose: racconto, critica d'arte, biografia, considerazioni filosofiche, è il romanzo che più mi ha ricordato - e non per la sua ambientazione - l'opera di Marcel Proust. 

Un raro esempio di generosità intellettuale, è rappresentato dalla prefazione che Henry Miller ha scritto per I sotterranei di Jack Kerouac, che così conclude:

E forse il suo maggiore contributo alla letteratura americana è proprio il coraggio che ispira ad altri scrittori. Dopo aver letto Kerouac è difficile ritornare a scrittori come Dos Passos, Hemingway, Steinbeck… o anche… anche al sottoscritto.

Fino al 1961, quando una sentenza di un tribunale americano ne riconobbe il valore letterario, Tropico del Cancro fu considerato opera pornografica e negli USA  non se ne consentiva la pubblicazione.

Henry Miller fu anche pittore, qui di seguito alcune immagini delle sue opere.









Notes book di Henry Mille del periodo parigino





















Coerente con le sue idee, vive gli ultimi anni della sua vita in una casa difficile da raggiungere, trascinando un carretto con la spesa e rifiutando l'uso dell'automobile

mercoledì 2 gennaio 2013

Gabriel Garcia Màrquez - RACCONTO DI UN NAUFRAGO - Editori Riuniti 1980 - £ 4.200




Questo romanzo nasce da una vicenda realmente accaduta nel 1955, quando un cacciatorpediniere della marina colombiana, rientrando dagli Stati Uniti dove era stato per manutenzione, durante una tempesta nel Mar dei Caraibi, perde otto membri dell'equipaggio caduti in mare e che non riesce a recuperare. 

Tra i naufraghi il solo Luis Alejandro Velasco  si salva, resistendo per dieci giorni solo, su una zattera di salvataggio alla deriva, senza acqua né cibo, prima di spiaggiare fortunosamente in Colombia, spintovi dalle correnti.

Il giovane  Marquez, all'epoca cronista dell'Espectador, giornale scomodo al regime di Gustavo Roja Pinilla, raccolse la testimonianza di Velasco, accolto in patria come un eroe e così ne descrive l'incontro:

La mia prima sorpresa fu che quel ragazzo di vent'anni, robusto, con un viso più da trombettiere che da eroe della patria, aveva un istinto eccezionale per l'arte del narrare, una capacità di sintesi e una memoria spaventose, e una dignità sufficientemente schiva per sorridere del proprio eroismo. In venti sedute di sei ore giornaliere, durante le quali io prendevo appunti e formulavo domande trabocchetto per scoprire le sue contraddizioni, riuscimmo a ricostruire il racconto compatto e veritiero dei suoi dieci giorni in mare. Era così minuzioso e appassionante che il mio unico problema letterario si ridusse a far si che il lettore ci credesse. Non solo per questo, ma anche perché ci sembrò giusto, decidemmo di scriverlo in prima persona, firmato da lui. Questa è, in effetti, la prima volta che il mio nome compare collegato a questo testo.
La seconda sorpresa, che fu la migliore, la ebbi al quarto giorno di lavoro, quando chiesi a Luis Alejandro Velasco di descrivermi la tempesta che aveva provocato il disastro. Consapevole che quella dichiarazione valeva tanto oro quanto pesava, mi rispose con un sorriso: " Non c'era nessuna tempesta". E così era: i servizi meteorologici ci confermarono che quel febbraio era stato uno dei più miti e sereni nel Mar dei Caraibi. La verità, mai resa pubblica fin allora, era che la nave aveva avuto uno sbandamento per un colpo di vento nel mare grosso, il carico, male assicurato in coperta si era slegato e gli otto marinai erano caduti in mare. Quella rivelazione comportava tre errori enormi: primo, era proibito trasportare carichi su un cacciatorpediniere; secondo, era stato l'eccesso di peso che aveva impedito alla nave di manovrare per recuperare i naufraghi; e terzo, il carico era di contrabbando: frigoriferi, televisori, lavatrici. Era chiaro che il racconto, come il cacciatorpediniere, portava anch'esso un carico, male assicurato, un carico politico e morale che non avevamo previsto.
La storia, suddivisa in episodi, venne pubblicata in quattordici giorni consecutivi, raddoppiando la tiratura del giornale, e rappresentò uno smacco per la dittatura che ne uscì screditata.

Nel concludere la prefazione che accompagna questa edizione, Garcia Marquez scrive:

Non avevo più letto questo racconto da quindici anni. Mi sembra degno di essere pubblicato, ma non sono certo dell'utilità della sua pubblicazione. Se lo si stampa adesso in forma di libro è perché ho detto di sì, forse senza riflettere molto, e non sono uomo che ha due parole. Mi deprime l'idea, un po' imbarazzante, che agli editori non interessi tanto il valore del testo quanto il nome col quale è firmato, che, molto mio malgrado, è quello di uno scrittore alla moda.

Non condividiamo lo scrupolo del suo autore, perche consideriamo  Racconto di un naufrago  un appassionante apologo sulla disperata volonta di sopravvivenza.