martedì 31 gennaio 2012

Tommaso Landolfi - RACCONTO D'AUTUNNO - Rizzoli - 1974 - £ 900




Tommaso Landolfi, tra i grandi narratori del '900, spicca per lo splendido isolamento, non solo linguistico e tematico, ma anche per la lontananza da ogni consorteria letteraria, che lega frequentamente i protagonisti di quella stagione letteraria.

Ho rimandato per il momento la lettura dei più impegnativi: Il mar delle blatte(1973), A caso (1975), La spada(1976), per questo Racconto d'autunno del 1975.

Al primo approccio le atmosfere di questa novella gotica richiamano alla mente certi racconti di Edgard Allen Poe, dove mistero e sovranaturale si fondono con naturalezza, ma con un linguaggio singolare, che a momenti ricorda Gadda.

Spetta ai critici, agli storici della lingua analizzare il codice espressivo di Landolfi, anche in chiave psicanalitica; per il semplice lettore resta lo sconcerto di un linguaggio opulento, utilizzato in un contesto venato di soprannaturale.

Nella nota introduttiva, Carlo Bo scrive:


(Landolfi) per manifestare la sua verità aveva bisogno di maschere e non solo per se ma anche per i suoi personaggi, tesi piuttosto al gusto della declamazione, coinvolti a loro volta nel tentativo di alterare la realtà per diminuirne l'urto, la violenza, tutto quanto importa nel conto del dolore. Un romanticismo, dunque, come espediente e come protezione della verità che sarebbe apparsa in tutta la sua luce molti anni dopo col potere di giustificare e quindi spiegare i camuffamenti, i pudori e gli accorgimenti del primo Landolfi.



Una sorprendente caratteristica di questo breve romanzo, scritto in prima persona, è la mancanza di elucubrazioni del protagonista, che si limita a descrivere ambienti e personaggi, e il pensiero, quando viene espresso, è circoscritto al contingente, senza speculazioni filosofiche.

Questa la descrizione di un quadro di donna, nella casa dove il protagonista si introduce, in cerca d'asilo:


Era un ritratto a mezzo busto di giovane donna, che fissava il riguardante; un olio alquanto annerito, ma non tanto che non si distinguessero i particolari. La donna era vestita secondo la moda degli ultimi anni del secolo passato o dei primi di questo, con tutto il collo chiuso in un'alta benda di pizzo; di pizzo era anche la veste, dalle maniche sboffate; sul petto ella recava un grande e complicato pendentif o breloque (come allora si diceva) di topazi bruciati, sorretta da nastri di seta marezzata; sulle spalle un amoerro, ricadente in larghe e convolte pieghe: La massa dei capelli bruni era pettinata in conseguenza, cioè in ampio cercine o cannuolo attorno alla fronte, in mezzo al quale spiccava un minuscolo diadema a forma di corona. Le di lei fattezze, delicate e chiare, recavano l'impronta inequivocabile della nobiltà di sangue e di carattere, e quel minimo di sdegnosità che l'accompagna sovente. Le guance appena arrotondate attorno alla bocca attribuivano, inoltre, a quel volto qualcosa di vagamente infantile.
Certo, in un periodo che gli scrittori proliferano come le pulci nel gatto, purchè un'apparizione televisiva ne giustifichi, presso editori bendisposti, la pubblicazione, suggerire la lettura di Landolfi suona come una provocazione o una beffa, ma il compito che ci siamo dato è quello di parlare dei libri che leggiamo o abbiamo letto, senza tener conto di altro che delle impressioni ricavate.

Qui sotto il link dell'altra opera di Landolfi di cui si è occupato il blog:

 http://giorgio-illettoreimpenitente.blogspot.it/2013/10/tommaso-landolfi-la-spada-rizzoli-1976.html

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