domenica 20 aprile 2014

OMAGGIO A GABRIEL GARCIA MARQUEZ, DA SEMPRE AUTORE AMATISSIMO.


L'unico  modo per onorare questo grande autore che ci ha lasciato è leggere i suoi libri, magari rileggerli, per apprezzarne pienamente lo stile, per gustarne il lessico personale, a volte ricercato, a volte usuale e giornalisticamente diretto,  ma che sempre ci ha sorpreso per la sua originalità.  Il piacere della lettura, è questo e nient'altro. A caso ho preso dei brani da alcuni dei suoi capolavori, che sono un invito alla lettura.


"C'è un minuto in cui si consuma la siesta. Persino la segreta, recondita, minuscola attività degli insetti cessa in quel preciso istante; il corso della natura si ferma; il creato vacilla sull'orlo del caos e le donne si sollevano, sbavando, con fiore del cuscino ricamato sulla guancia, soffocate dalla temperatura e dal rancore; e pensano: "E' ancora mercoledì a Macondo." E allora si raggomitolano nuovamente nell'angolo, uniscono il sogno alla realtà, e si mettono d'accordo per tessere il chiacchierio come se fosse un immenso lenzuolo di filo elaborato in comune da tutte le donne del villaggio." (da Foglie morte)

 "Nel suo feretro drappeggiato di porpora, separata dalla realtà da otto viti di rame, la Mamà Grande era troppo imbevuta nella sua eternità di formaldeide per rendersi conto della magnificenza della sua grandezza. Tutto lo splendore che aveva sognato sul terrazzo della sua casa durante le veglie di afa, si realizzò con quelle quarantotto ore gloriose nelle quali tutti i simboli dell'epoca resero omaggio alla sua memoria. Lo stesso Sommo Pontefice, che nei suoi deliri la Mamà Grande aveva immaginato sospeso in una carrozza splendente sui girdini del Vaticano, combatté il calore con un ventaglio di palma intrecciata e onorò con la sua suprema dignità i funerali più grandi del mondo." (da Il funerale di Mama Grande)


"Eréndira stava aiutando la nonna a fare il bagno quando cominciò il vento della sua disgrazia. L'enorme magione di malta lunare. smarrita nella solitudine del desert, rabbrividì fin nei contrafforti sotto il primo assalto. Ma Eréndira e la nonna erano use ai rischi di quella natura dissennata, e notarono a malapena la portata del vento nella stanza da bagno ornata di pavoni ripetuti e di mosaici puerili di terme romane." (da La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata)


"Si mise a piovere dopo mezzanotte. Il colonnello conciliò il sonno ma si svegliò un attimo dopo, messo in agitazione dai suoi intestini. Sentì gocciolare da qualche parte della casa. Avvolto fino alla testa in una coperta di lana cercò di individuare nel buio il foro del tetto. Un filo di sudore gelato gli scivolò lungo la colonna vertebrale. Aveva la febbre. Si sentì galleggiare in cerchi concentrici in una cisterna di gelatina. Qualcuno parlò. Il colonnello rispose dalla sua branda di rivoluzionario.
    "Con chi stai parlando," chiese la donna.
   "Con l'inglese mascherato da tigre che è comparso nell'accampamento del colonnello Aureliano Buendia," rispose il colonnello. Si rigirò nell'amaca bruciando nella febbre. "Era il duca duca di Marlborough."  (da Nessuno scrive al colonnello)

 

".... non c'era altro runore nel mondo, lui solo era la patria, fece scorrere i tre paletti, i tre chiavacci, i tre chiavistelli della camera, orinò sulla latrina portatile, orinò due gocce, quattro gocce, sette gocce ardue, si lasciò cadere bocconi per terra, si addoormentò sull'istante, non sognò, erano le tre meno un quarto quando si svegliò inzuppato di sudore, sussultando nella certezza che qualcuno lo aveva guardato mentre dormiva, qualcuno che aveva avuto la virtù d'introdursi senza togliere i chiavacci, chi è là, domandò, non era nessuno, chiuse gli occhi, tornò a sentire che lo guardavano, aprì gli occhi per vedere, spaventato, e allora vide, cazzo, era Manuela Sanchez che girava per la stanza senza togliere i chiavistelli perché entrava e usciva a seconda della sua volontà attraverso le pareti, Manuela Sanchez della mia mala ora col vestito di mussolina e la brace della rosa in mano e l'odore naturale di liquerizia del suo respiro, dimmi che non è vero questo delirio, diceva, dimmi che non sei tu, dimmi che questo stordimento di morte non è il marasma di liquerizia del tuo respiro, ma era lei, era la sua rosa, era il suo alito caldo che profumava il clima della camera come un basso ostinato con più padronanza e più antichità dell'ansito del mare, Manuela Sanchez della mia rovina che non eri scritta nella palma della mia mano, né nel fondo del mio caffè, nemmeno nelle acque della mia morte dei catini, non sperperarti la mia aria da respirare, il mio sonno da dormire...." (da L'autunno del patriarca)


"Sapeva da parecchio tempo di essere predestinato a far felice una vedova, e che lei lo facesse felice, e questo non lo preoccupava. Anzi: ci era preparato. A furia di conoscerle nelle sue incursioni di cacciatore solitario, Florentino Ariza avrebbe finito per sapere che il mondo era pieno di vedove felici. Le aveva viste impazzite di dolore davanti al cadavere del marito, supplicando di seppellirle vive dentro la stessa bara per non affrontare senza di lui i casi del futuro, ma più si riconciliavano con la realtà del loro nuovo stato più le si vedeva risorgere dalle ceneri con una vitalità rinverdità." (da L'amore al tempo del colera)


"Il giorno che l'avrebbero ucciso, Santiago Nasar si alzò alle 5,30 del mattino per andare ad aspettare il bastimento con cui arrivava il vescovo. Aveva sognato di attraversare il bosco di higuerones sotto una pioggiarella tenera, e per un istante fu felice dentro il sogno, ma nel ridestarsi si sentì inzaccherato da capo a piedi di cacca d'uccelli. "Sognava sempre di alberi" mi disse sua madre 27 anni dopo, nel rievocare i particolari di quel lunedì ingrato. "La settimana prima aveva sognato di andare solo soletto in un aereo di carta stagnola che volava senza mai trovare ostacoli in mezzo ai mandorli" mi disse. Plàcida Linero godeva si una ben meritata fama di sicura interprete dei sogni altrui, a patto che glieli raccontassero a digiuno, ma non aveva riscontarto il minimo segno di malaugurio in quei due sogni di suo figlio, né negli altri sogni con alberi che lui le aveva riferito nei giorni che precedettero la sua morte." (da Cronaca di una morte annunciata


"Dopo il pranzo Roma soccombeva al sopore di agosto. Il sole di mezzogiorno rimaneva immobile al centro del cielo, e nel silenzio delle due del pomeriggio si udiva  solo il rumore dell'acqua, che è la voce naturale di Roma. Ma verso le sette di sera le finestre si aprivano d'improvviso per attrarre l'aria fresca che cominciava a muoversi, e una folla giubilante usciva in strada senza altro proposito che quello di vivere, in mezzo agli scoppi delle motociclette, alle grida dei venditori di anguria e alle canzoni d'amore tra i fiori delle terrazze." ( da La santa -  uno dei Dodici racconti raminghi)


"Un cane cenerognolo con una stella sulla fronte irruppe nei budelli del mercato la prima domenica di dicembre, travolse rivendite di fritture, scompigliò trabacche di indiani e banchetti della lotteria, e passando morse quattro persone che si trovarono sul suo percorso. Tre erano schiavi negri. L'altra fu Sierva Maria de Todos Los Angeles, figlia unica del marchese di Casalduero, che si era recata con una domestica mulatta a comprare una sfilza di sonagli per la festa dei suoi dodici anni." (da Dell'amore e altri demoni)


"Padre Angel non riuscì a mangiare. Dopo l'avviso del coprifuoco si sedette a scrivere una lettera, e rimase curvo sulla scrivania fin dopo mezzanotte, mentre la pioggia sottile andava cancellando il mondo intorno a lui. Scrisse in un modo implacabile, vergando caratteri uguali, con tendenza al perziosismo, e lo faceva con tanta passione che non intingeva la penna se non dopo aver tracciato due parole invisibili, raschiando la carta col pennino asciutto." (da La mala ora)



"Pilar Ternera morì nella poltrona di giunco, in una notte di festa, mentre sorvegliava l'entrata del suo paradiso. D'accordo con la sua ultima volontà, la seppellirono senza bara, seduta nella poltrona che otto uomini calarono con funi in un buco enorme, scavato in mezzo alla pista da ballo. Le mulatte vestite di nero, pallide di pianto, improvvisavano uffici delle tenebre mentre si toglievano gli orecchini, le spille e gli anelli, e li andavano gettando nella fossa, prima che la sigillassero con una lapide senza né nome né date e le collocassero sopra un promontorio di camelie amazzoniche. Dopo aver aver avvelenato gli animali, sbarrarono porte e finestre con mattoni e malta, e si dispersero per il mondo coi loro bauli di legno, tappezzati nell'interno con stampe di santi, cromi di riviste, e ritratti di fidanzati effimeri, remoti e fantastici, che cagavano diamanti, o che si mangiavano i cannibali, o che erano incoronati re di coppe in alto mare."(da Cent'anni di solitudine)


"Lo ricobbi d'improvviso, che passeggiava con sua moglie, Mary Welsh, per il boulevard  Saint-Michel, a Parigi, un giorno della piovosa primavera del 1957. Camminava sul marciapiede opposto in direzione del giardino del Luxembourg, e portava un paio di blue-jeans molto usati, una camicia a quadri scozzesi e un berretto da giocatore di baseball. L'unica cosa che non sembrava sua erano gli occhiali dalla montatura metallica, tondi e minuscoli, che gli davano un'aria da nonno prematuro. Aveva compiuto cinquantanove anni, ed era enorme e troppo visibile, ma non dava l'impressione di forza brutale che sicuramente lui avrebbe desiderato, perché aveva i fianchi stretti e le gambe un po' troppo magre. Sembrava così vivo fra le bancarelle di libri usati e il torrente giovanile della Sorbona che era impossibile immaginare che gli mancassero solo quattro anni per morire.
Per una frazione di secondo - come sempre mi è successo - mi ritrovai diviso fra le mie due tendenze opposte. Non sapevo se fargli un'intervista o se limitarmi ad attraversare la strada per esprimergli la mia ammirazione senza riserve. In entrambi i casi, tuttavia, c'era lo stesso grosso inconveniente: già allora io parlavo lo stesso inglese rudimentale che ho sempre parlato, e non ero troppo sicuro del suo spagnolo da torero. Sicché non feci alcuna delle due cose che avrebbero potuto rovinare quell'istante, ma mi portai le mani intorno alla bocca, come Tarzan nella giungla, e gridai da un marciapiede all'altro: "Maeeeeestro". Ernest Hemingway capì che non poteva esserci un altro maestro fra la folla di studenti, e si girò con la mano in alto, e mi grido in spagnolo con voce un po' puerile: "Ciaoooo, amico". Fu l'unica volta che lo vidi. (.....)" (da Tacquino dei cinque anni 1980-1984)


"Trovammo la casa di Neruda all'ombra dei suoi pini custodi,circondata da tutte e quattro le parti da una cinta di quasi un metro e mezzo di altezza, che il poeta aveva costruito intorno alla sua vita privata. Adesso sono nati fiori sul legno. Una scritta avverte che la casa è sotto sigilli della polizia e che è proibito entrare e prendere fotografie. Il carabinero che passava ogni tanto di lì fu ancora più esplicito: "Qui è proibito tutto". Siccome questo lo sapevamo già prima di arrivare, l'operatore italiano portò un grande equipaggiamento, molto visibile, perché fosse trattenuto apposta dai carabineros e, di nascosto, un altro equipaggiamento portatile. Il gruppo, poi, fu suddiviso in tre automobili, con lo scopo di portare i rollini a Santiago appena venivano filmati, cosicché se fossimo stati scoperti avremmo perso solo il materiale che avremmo avuto in quel momento. In caso di una sorpresa loro avrebbero fatto finta di non conoscermi, e Franqui e io saremmo stati due turisti innocenti." (da Le avventure di Miguel Littin, clandestino in Cile)   


"A mezzogiorno del mercoledì l'alba non era ancora trascorsa. E prima delle tre del pomeriggio la notte era già calata, prematura e malaticcia, con lo stesso lento e monotono e spietato ritmo della pioggia nel cortile.  Fu un crepuscolo precoce, dolce e lucubre, che crebbe in mezzo al silenzio dei contadini, i quali si accoccolarono sulle seggiole, contro le pareti, esausti e impotenti dinanzi al turbamento della natura. Fu allora che cominciarono ad arrivare notizie dalla strada. Arrivarono semplicemente, precise, individualizzate, come portate dal fango liquido che scorreva per le vie e trascinava oggetti domestici, cose e cose, macerie e animali morti. Eventi accaduti la domenica, quando la pioggia era ancora l'annuncio di una stagione provvidenziale, tardarono due giorni a essere conosciuti in casa. E il mercoledì le notizie giunsero come sospinte dallo stesso dinamismo interiore della tormenta. Si seppe allora che la chiesa era inondata e che si temeva il suo crollo.   Qualcuno che non aveva motivo di saperlo, disse quella sera: "Il treno non può passare il ponte da lunedì. Sembra che il fiume abbia portato via le rotaie". E si seppe che una donna ammalata era scomparsa dal suo letto ed era stata ritrovata quel pomeriggio mentre galleggiava nel cortile." (da Monologo di Isabel vedendo piovere a Macondo


 "Esaminò il locale con la chiaroveggenza delle sue insonnie, e per la prima volta vide la verità: l'ultimo letto prestato, la toeletta di pietà il cui fosco specchio di pazienza non l'avrebbe più ripetuto, il bacile di porcellana scrostata con l'acqua e l'asciugamano e il sapone per altre mani, la fretta senza cuore dell'orologio ottagonale sfrenato verso l'appuntamento ineluttabile del 17 dicembre all'una e sette minuti del suo pomeriggio ultimo. Allora incrociò le braccia sul petto e cominciò a udire le voci raggianti degli schiavi che cantavano il salve delle sei nei frantoi, e vide dalla finestra il diamante di Venere nel cielo che se ne andava per sempre, le nevi eterne, il rampicante le cui nuove campanule gialle non avrebbe visto fiorire il sabato successivo nella casa sbarrata dal lutto, per gli ultimi fulgori della vita che mai più, per i secoli dei secoli, si sarebbe ripetuta. (da Il generale nel suo labirinto)




Una imperdibile intervista di Giovanni Minoli a Gabriel Garcia Marquez dove il grande romanziere si racconta in modo semplice e completo. L'intervista andò in onda il 16.5.2011, ma fu registrata nel 1987:

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-7cd7d08e-a147-40ba-8ffb-feadfe69150e.html#p=0








2 commenti:

  1. Che scrittura incredibile. Grazie per avere inserito queste perle. Amo Marquez e sto lavorando ad un articolo sui suoi personaggi e, come tanti anni fa, ho l'impressione di smarrirmi in un mondo da cui non voglio uscire. Hai fatto un'ottima selezionne

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    1. Quando la scrittura riesce a farti "smarrire" (e Eco ci insegna che nei "boschi narrativi" ci si deve perdere) ha raggiunto il suo scopo più alto. Un articolo sui personaggi di Marquez , magnifico progetto: spero di leggerlo presto.
      Un cordiale saluto.

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