domenica 6 aprile 2014

TRE VERSIONI A CONFRONTO - Thomas Mann - LA MORTE A VENEZIA -

Possiedo tre edizioni di La morte a Venezia di Thomas Mann: la prima del 1946 Casa Editrice Bietti - Milano, lire 150 tradotta da Alessandra Scalero, la seconda Nuovi Coralli Einaudi del 1971 £ 5.000 tradotta da Anita Rho, e la terza "Scrittori tradotti da scrittori" L'Unità-Einaudi 1996 tradotta da Paola Capriolo. Mi viene spontaneo metterle a confronto e chiedermi in quale misura ciò che leggiamo in traduzione rappresenta il vero pensiero dell'autore? la sua poetica? il suo stile?

Quando si parla di traduzione da una lingua all'altra, il primo problema che si pone è quello della fedeltà: ma il concetto di fedeltà riferito alla traduzione è un concetto ambiguo e irrisolto. Fedeltà, ad esempio, non può essere intesa come disambiguazione, cioé rendere chiaro ciò che l'autore vuol lasciare nel vago.

Partiamo dall'assunto universalmente consolidato che: la fedeltà della traduzione poetica non è né la fedeltà meccanica a tutti gli elementi semantici né l’automatica fedeltà grammaticale né quella fraseologica assoluta né la fedeltà scientifica alla fonetica del testo:  è la fedeltà alla poesia, da: Teoria e storia della traduzione (1963) di Georges Mounin (1910-1993).

Concludendo la sua bella prefazione nell'edizione Bietti del 1946, il curatore G.M.Boccabianca scrive:

Mai la parola aveva raggiunto, anche nella tanto vigilata e tanto armoniosa ed espressiva prosa del Mann un così alto valore di evocazione una così germinale innocenza. Il suono nasce come immagine e l'immagine è tono e volume. Soprattutto volume, ché soprattutto plastica è l'intima struttura di questo racconto. Solo alla parola, nella felice esperienza di un grande maestro, è dato di trasfigurare la sua natura fonica e musicale in architettura e statuaria.

Alla luce di queste considerazioni, che definiscono così precisamente la natura musicale della prosa di Mann, non ha più senso chiedersi in quale misura ciò che leggiamo in traduzione rappresenta fedelmente la melodia che l'autore ha profuso nel testo, ma considerare la traduzione come l'esecuzione di una partitura musicale, godendo delle diverse interpretazioni, esattamente come avviene per la musica.

Qualche esempio di diverse esecuzioni fra tre edizioni di questo capolavoro assoluto:

(Versione Alessandra Scalero, Editore Bietti, 1946)

Chi non è stato assalito da un fuggevole brivido, da un segreto timore e da oppressione nel salire, per la prima volta, o dopo molto tempo, su di una gondola veneziana?

Le osservazioni e le deduzioni di chi tace in solitudine sono più vaghe e insieme più penetranti di quelle di chi sta in compagnia: i pensieri suoi sono più gravi, strani, e non senza ombra di tristezza. 

Proprio accanto ad Aschenbach si parlava polacco. Era un gruppo di ragazzi appena cresciuti, sotto la sorveglianza di una istitutrice o dama di compagnia, riunito intorno ad un tavolo di vimini: tre giovani ragazze, apparentemente fra i quindici e i diciassette anni, ed un ragazzo dal lunghi capelli, di forse quattordici anni. Aschenbach notò con stupore che il ragazzo era di una bellezza perfetta.
Il suo aspetto pallido e graziosamente riservato, inquadrato dai capelli color del miele, dal naso giustamente inclinato, ricordava, per la grazia della bocca, per l'espressione di serena e divina imponenza, una statua greca dell'epoca migliore; ed era per la pura perfezione della forma, personalmente tanto attraente, che Aschenbach non credette potesse rinvenirsi nella natura e nell'arte cosa alcuna più felicemente riuscita. 

Era il sorriso di Narciso, al quale egli stesso, in seguito al rinfrangersi della sua bellezza medesima nell'acqua, aveva tese le braccia; era un sorriso impercettibilmente contrariato dalla inutilità del suo sforzo di baciare le labbra divine della sua ombra, civettuolo, indiscreto, lievemente tormentato, infatuato e raggiratore.


(Versione Anita Rho, Einaudi, 1971)

Chi non deve reprimere un brivido fugace, una segreta timidezza e angoscia, quando sale per la prima volta o dopo una lunga dissuetudine su una gondola veneziana?

Le osservazioni e gli incontri di chi va attorno in silente solitudine sono al tempo stesso più sfumati e più netti di quelli dell'uomo socievole, i suoi pensieri sono più gravi, più bizzarri e mai esenti da un'ombra di tristezza. 

Li vicino si parlava polacco.
Era un gruppo di giovani e di appena adolescenti, radunato intorno a un tavolino di vimini sotto la custodia di una istitutrice o dama di compagnia: tre ragazze apparentemente fra i quindici e i diciassette anni, un ragazzo dai lunghi capelli che poteva avere quattordici anni. Con meraviglia Aschenbach vide che il ragazzo era di una bellezza perfetta. Il suo viso, pallido e graziosamente chiuso, attorniato da ricci color del miele, col naso diritto, la bocca amabile, un'espressione di gentile e divina serietà, ricordava le sculture greche dei tempi più nobili, e accanto alla purissima perfezione della forma recava un fascino così unico e personale, che parve al riguardante di non aver mai veduto né in arte né in natura nulla di così felicemente riuscito.

Era il sorriso di Narciso che si piega sullo specchio della fonte, quel sorriso profondo, incantevole, prolungato col quale egli tende le braccia al riflesso della propria bellezza - un sorriso un poco contratto dalla vanità dell'aspirazione a baciare le labbra soavi della propria ombra, piena di civetteria, di curiosità, di lieve sofferenza, affascinato e affascinante.




(Versione Paola Capriolo, l'Unità-Einaudi, 1991)

Chi non dovrebbe lottare contro un fuggevole brivido, contro un timore segreto e un senso d'angoscia, salendo per la prima volta o dopo molto tempo su una gondola veneziana?

Le osservazioni, i casi di chi è solitario e taciturno sono al tempo stesso più sfumati e più incisivi di quelli dell'uomo socievole, i suoi pensieri sono più gravi,  più bizzari e mai privi di un'ombra di tristezza. 

 Vicino a lui si parlava polacco.
 Era un gruppo di adolescenti e giovinetti radunati intorno a un tavolino di vimini sotto la sorveglianza di un'istitutrice o dama di compagnia: tre ragazze, che dimostravano quindici, sedici anni, e un ragazzo dai capelli lunghi forse quattordicenne. Con stupore Aschenbach notò che il ragazzo era di una bellezza assoluta. Il viso, pallido e graziosamente impenetrabile, circondato da capelli inanellati color del miele, con il naso che scendeva diritto, la bocca incantevole, l'espressione di dolce e divina serietà, ricordava le sculture greche del periodo aureo, e nonostante la più rigorosa perfezione della forma aveva un fascino così personale e irripetibile che ad Aschenbach, contemplandolo, parve di non aver mai incontrato nulla di così felicemente riuscito né in natura, né fra le opere d'arte.

Era il sorriso di Narciso chino sullo specchio dell'acqua, quel sorriso intenso, incantato, ammaliato, con il quale egli tende le braccia verso il riflesso della propria bellezza: un sorriso appena un poco distorto dalla vanità del tentativo di baciare le dolci labbra della sua ombra, civettuolo, curioso e lievemente straziato, sedotto e seducente.

Luchino Visconti nel 1971 portò il lavoro di Thomas Mann sullo schermo, facendone a sua volta un capolavoro della cinematografia di tutti i tempi. Qui, grazie a youtube, la scena finale:

 https://www.youtube.com/watch?v=4aUoeNp7TC4

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