I. DESCRIVE LA SUA CASA NELLA CITTA' BORBONICA, E LA SUA SOLITUDINE IN DETTA CASA CHE ERA SITUATA DAVANTI I CANCELLI DEL PORTO. APA E MAMOTA. PRIMI INTERROGATIVI DELLA MENTE CHE SOGNA.
Sono figlia di nessuno, nel senso che la società, quando io nacqui, non c'era, o non c'era per tutti i figli dell'uomo. E nascendo senza società, in certo senso io non nacqui nemmeno, tutto ciò che vidi e seppi fu illusorio, come i sogni della notte che all'alba svaniscono, e così fu per quelli che mi stavano intorno. Non starò perciò a dire dove nacqui, e come vissi fino agli anni tredici, età cui risalgono questi scritti e confuse composizioni. So che un certo giorno mi guardai intorno, e vidi che anche il mondo nasceva: nascevano montagne, acque, nuvole, livide figure.
Così comincia questo sconvolgente romanzo che Anna Maria Ortese (1914-1998), enfant prodige del nostro novecento, scrisse nella piena maturità con una sorprendente freschezza narrativa.
Chi è Anna Maria Ortese? Su questo blog ho già parlato di un suo romanzo, che presentato dal poeta Alfonso Gatto vinse nel 1967 il premio Strega: Poveri e semplici.
http://giorgio-illettoreimpenitente.blogspot.it/2013/11/anna-maria-ortese-poveri-e-semplici-i.html
Stupisce che una scrittrice così fantasiosa, che ha sempre utilizzato un linguaggio moderno, al limite dello sperimentale, non abbia tutti i lettori che merita e sia quasi sconosciuta alla maggior parte degli italiani.
Viene quasi di pensare che la sua marginalità nel panorama letterario del novecento italiano, sia la conseguenza dell'implicita "condanna", emessa dall'establishment culturale all'epoca della pubblicazione di Il mare non bagna Napoli, come se quella "condanna" fosse ancora valida e operante.
Riassumere questo romanzo - che all'epoca della sua uscita fu accusato di eccesso di manierismo e sublimità - è impossibile, come riassumere Cent'anni di solitudine. Puoi citare dei personaggi, dire dei nomi ricorrenti, ma l'essenza rimane ineffabile.
Nella seconda e terza di copertina è la stessa Anna Maria Ortese a definire il suo romanzo, pieno di stranezze e disordini formali:
Chi è Anna Maria Ortese? Su questo blog ho già parlato di un suo romanzo, che presentato dal poeta Alfonso Gatto vinse nel 1967 il premio Strega: Poveri e semplici.
http://giorgio-illettoreimpenitente.blogspot.it/2013/11/anna-maria-ortese-poveri-e-semplici-i.html
Stupisce che una scrittrice così fantasiosa, che ha sempre utilizzato un linguaggio moderno, al limite dello sperimentale, non abbia tutti i lettori che merita e sia quasi sconosciuta alla maggior parte degli italiani.
Viene quasi di pensare che la sua marginalità nel panorama letterario del novecento italiano, sia la conseguenza dell'implicita "condanna", emessa dall'establishment culturale all'epoca della pubblicazione di Il mare non bagna Napoli, come se quella "condanna" fosse ancora valida e operante.
Riassumere questo romanzo - che all'epoca della sua uscita fu accusato di eccesso di manierismo e sublimità - è impossibile, come riassumere Cent'anni di solitudine. Puoi citare dei personaggi, dire dei nomi ricorrenti, ma l'essenza rimane ineffabile.
Nella seconda e terza di copertina è la stessa Anna Maria Ortese a definire il suo romanzo, pieno di stranezze e disordini formali:
Se mi si chiedesse cosa ne penso: ricordo solo la fatica, forse vana, che m'è costata: per sistemare passabilmente linguaggio e struttura che non avevo pensato così; per capire chi fosse questo personaggio tanto fuori di sé e malinconico (che a volte temevo poter essere stata io) e l'uomo dai molti nomi appoggiato all'angolo della Rua Azar. E dove questa Rua Azar, e le altre.
Insomma, dove tutto. Non in questo mondo, certo. (In questo mondo, credo non ci sia nulla).
Mi dispiace di aver scritto tanto di cose così assurde, e comunque non comprensibili neppure a me stessa. Di aver liberato una persona così inesplicabile e triste. E tante altre ombre. Ma esse - e la città perduta dove camminavano - non sono di qui e di nessun luogo. Devono, quindi, essere prese per sogni, o narrazioni confuse dal vento (così negli armadi marini di Austen, e Bath, 200 anni fa), e come tali, a lettura finita, considerare.E' chiaro che la Toledo che Damasa Figuera percorre non è terra di Spagna - basterebbe la improbabile presenza di un porto di mare ad escluderlo - somiglia più a una Napoli, sperduta provincia di Macondo o Comala o Paskas, nella regione di Chentomines.
Toledo come un vecchio teatro*, come se le sue strade e case fossero quinte, senza rumore alcuno cadeva. Si, io la vedevo cadere; la gran via, il corso, i palazzi della Citta reale, intorno alla Plaza de Carlo; i chiusi e odorosi di gelsomino recinti monacali; i campanili quadri, le torri accigliate (così scure, un tempo, nella rossa sera); tutto, lentamente, sotto croci bianche, in una luce verdastra, lentamente cadeva.
Poi, venne fino a noi un gran vento.* Tale, nel mio sogno, pareva.
Rendiconto del BARRIO
Quel tempo là era l'adolescenza; e forse tale turbamento mi veniva dal trovarmi piuttosto senza scopo tra questi larghi orizzonti marini, e cieli gialli e navi, e poi tra tali vicende di persone e non mie, di un tumulto alla base costantemente monotono.
Apa si era assuefatta ormai alle vie del barrio, e le amava, ma indifferente quasi alle sventure della gente, e dicendo mirabilia di Monte Serrat.
Era una vita dolce. Un nostro marine maggiore andava intanto anche lui sui mari, tornandone certe sere di tempesta con un agnello da arrostire, portato dalle isole di Pietra, che qui era grande festa. Vi erano poi altri mirabili avvenimenti, come in luglio la festa della Roseda (Reyna al Mare Interrado) e, in settembre, quella dell'adolescente nera - Mosera chiamata.
Grazie per questo interessante suggerimento: è un libro che mi mancava.
RispondiEliminaGrazie a Lei, Remigio, per l'attenzione con cui segue il blog. Confesso che ho un debole per questa scrittrice, così diversa, sensibile, con una "vocazione alla solitudine" - come è stato scritto - e "rovinosamente timida".
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