Dopo anni di oblio, torna alla luce, con la recente ristampa, il Don Quijote di Pierre Menard, la cui prima edizione del 1939 era stata salutata dal giovane Jorge Luis Borges con grande interesse, precisando, con l'acume che caratterizza tutti i suoi scritti, che “Il testo di Cervantes e quello di Menard sono verbalmente identici, ma
il secondo è quasi infinitamente più ricco. (Più ambiguo, diranno i suoi
detrattori; ma l’ambiguità è una ricchezza)”.
Esaminiamone gli incipit, prima quello di Cervantes:
En un lugar de la Mancha, de cuyo nombre no quiero acordarme, no ha mucho tiempo que vivía un hidalgo de los de lanza en astillero, adarga antigua, rocín flaco y galgo corredor. Una olla de algo más vaca que carnero, salpicón las más noches, duelos y quebrantos los sábados, lantejas los viernes, algún palomino de añadidura los domingos, consumían las tres partes de su hacienda.
Ed ora quello di Pierre Menard:
Non può sfuggire, anche ad un lettore meno avveduto, come le due versioni differiscano, stante il fatto, incontrovertibile, che la prima, scritta nel XVII secolo, fu per Cervantes impresa ragionevole, necessaria, forse inevitabile, mentre la seconda, scritta all'inizio del ventesimo, fu impresa quasi impossibile, oltre che irragionevole e non necessaria.
Non una una trascrizione, quindi, bensì una produzione (o ricreazione) duplicante nella quale si intravede quel vertiginoso miraggio, di cui parlava Blanchot, delle infinite possibilità di uno specifico mondo reale.
Per il momento non è disponibile una traduzione in italiano, ci auguriamo che qualche editore lungimirante, che nel nostro paese fortunatamente non mancano, voglia colmare questa lacuna.
En un lugar de la Mancha, de cuyo nombre no quiero acordarme, no ha mucho tiempo que vivía un hidalgo de los de lanza en astillero, adarga antigua, rocín flaco y galgo corredor. Una olla de algo más vaca que carnero, salpicón las más noches, duelos y quebrantos los sábados, lantejas los viernes, algún palomino de añadidura los domingos, consumían las tres partes de su hacienda.
Non può sfuggire, anche ad un lettore meno avveduto, come le due versioni differiscano, stante il fatto, incontrovertibile, che la prima, scritta nel XVII secolo, fu per Cervantes impresa ragionevole, necessaria, forse inevitabile, mentre la seconda, scritta all'inizio del ventesimo, fu impresa quasi impossibile, oltre che irragionevole e non necessaria.
Non una una trascrizione, quindi, bensì una produzione (o ricreazione) duplicante nella quale si intravede quel vertiginoso miraggio, di cui parlava Blanchot, delle infinite possibilità di uno specifico mondo reale.
Per il momento non è disponibile una traduzione in italiano, ci auguriamo che qualche editore lungimirante, che nel nostro paese fortunatamente non mancano, voglia colmare questa lacuna.
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