SCRITTORI DI TUTTO IL MONDO, è la prima collana di libri internazionali contemporanei edita in Italia, creata dalla lungimiranza di uomo che, nel gretto provincialismo del fascismo autarchico, comprese decenni prima di tutti gli altri la forza e la novità rappresentate dal mondo letterario americano e inglese: Gian Dàuli - pseudonimo di Giuseppe Nalato (1884-1945), scrittore, traduttore ed editore.
Come direttore editoriale della casa editrice Modernissima, Gian Dàuli fece conoscere agli italiani autori come Conrad, Chesterton, James, Stevenson, London, Wilder e in seguito anche autori sudamericani. Dal punto di vista commerciale le sue furono tutte iniziative in perdita che portarono al fallimento della sua e della casa editrice Modernissima che, nel 1932, fu rilevata dalla casa editrice Corbaccio di Enrico Dall'Oglio che trasformò la collana Scrittori di tutto il mondo in
una delle più prestigiose collane di narrativa dell'epoca; si consideri
che solo l'anno sucessivo Arnoldo Mondadori iniziava la pubblicazione
della sua Medusa.
Il disertore e Qualcosa galleggia sul fiume dell'ungherese Lajios Zilahy (1891-1974) sono due volumi gialli bordati di rosso, che io ricordo da sempre in casa: hanno più di 80 anni, e ne ho sempre sentito parlare, dai miei nonni e da mia madre, come di storie forti, romanzi importanti, al pari di Noi vivi e Addio Kira di Ayn Rand oppure La storia di S.Michele di Axel Munthe, altro cultbook della famiglia.
Il romanzo è scritto con quella meticolosità che caratterizza un periodo nel quale l'immagine non è ancora inflazionata: cinema e fotografia non sono ancora fenomeni pervasivi nella società, di conseguenza le descrizioni dei paesaggi, delle scene non solo sono precise e puntuali, ma necessarie.
Valutate la perfetta traiettoria narrativa nella descrizione del fiume nell'incipit, abbiamo un inizio pacato, poi man mano più drammatico, impetuoso, per poi tornare composto e sereno:
La sera d'autunno era calata con precoce oscurità sul fiume gigantesco. Dal campanile dei frati Minori giungevano col vento i rintocchi delle campane vespertine, e smorzandosi man mano si allontanavano col vento.Era l'anno del signore.... sul finire di novembre.Il vento si faceva sempre più impetuoso. Sembrava quasi che si trascinasse dietro le tenebre della città.Sull'altra riva del fiume, dove un antico querceto spiccava ancora nero sul pallido oro del crepuscolo, delle mani invisibili lavoravano ad abbattere un'enorme quercia. Il suono dei colpi di scure si ripercuotevano sulla superficie del fiume, che pareva volesse scuoterselo di dosso lanciandolo contro le sue sponde frastagliate, la cui eco ne ripeteva il sordo ritmo.Ad un tratto s'udi uno schianto seguito da un urlante sospiro: era l'immane quercia che stramazzava al suolo. Dopo il crollo, a lungo durò ancora il gemito doloroso del legno squarciato, e lo schioppettio dei rami lacerati si confuse alle rozze voci dei tagliaboschi.Di fronte al querceto l'altra riva del fiume era tutta rupi e crepacci, come se la furiosa corrente l'avesse lacerata in un impeto di cieca violenza. Dai suoi fianchi dilaniati pendevano grosse radici di salici annosi, simili a braccia aggrovigliate, a intestini sporgenti da un ventre squarciato. Più distante biancheggiava lo scheletro d'un pioppo spezzato in due.La sponda che si tuffava così nell'acqua, sembrava un gigantesco, mostruoso daino dalla fronte di rocce e le corna di salici, che stesse immerso nel fiume fino ai ginocchi per rinfrescarsi le orrende ferite. Perché l'ultima piena l'aveva ridotta in uno stato miserevole: l'impeto delle onde era penetrato nella sua carne viva, come le unghie crudeli d'un leone infuriato.I sambuchi, gli spinaci selvatici, l'assenzio, la spina cervina, le lappole e le altre sterpaglie, con le foglie che l'autunno aveva tinte di rosso, sembravano grandi macchie di sangue disseccato.Anche di giorno si poteva solo a stento vedere oltre il largo fiume. Ora di sera, sull'altra riva la sagoma del grande bosco era lentamente dileguata nell'oscurità. Soltanto il fiume portava ancora sulle sue onde increspate un pallido riflesso di rame, mentre, ormai placato scivolava tranquillo nel suo letto.
La vicenda che il romanzo narra, si svolge vicino il grande fiume Danubio, dove, poco distante dalle sue rive, è la casa del pescatore Jànos, che lì vive con la moglie Zsuzsanna e il padre di questa Milhàly. Un giorno di aprile...
Jànos era nel cortile, coi calzoni ripiegati sino ai ginocchi, la camicia blu sbottonata sul petto villoso, le maniche rimboccate sino oltre i gomiti. Stava riparando una barca, distesa con la ghiglia in su nel mezzo del cortile, una barca ch'era stata malmenata dalla piena della primavera. Il suolo era cosparso di freschi trucioli odorosi ed il vecchio corpo annerito della barca ostentava, là dove le coste erano state cambiate, le macchie biancogialle delle nuove asticelle.Jànos rimestava il catrame, per tingere la barca. L'acuto odore del catrame corrompeva la pura e leggera aria primaverile.La servetta era affaccendata ad imbiancare il muro della casa. La calcina gocciolava sulle foglie verdescuro dei cespugli di ricino frondeggianti ai piedi del muro ed anche il suolo del cortile, spazzato di fresco, era cosparso di piccole macchie bianche. Il bambino sedeva sulla soglia e stava provando a trar suoni da un flauto che il padre gli aveva fabbricato collo stelo d'una zucca.Zsuzsanna era seduta nella veranda con la sua rocca e filava.Il cane, inebriato dalla primavera, abbaiando allegramente, perseguitava gli aironi, che silenziosi brillavano sulla riva bruna, come macchie di luce danzante riflesse da piccoli specchi.Dolce e felice splendeva su tutto la primavera.Ad un tratto il vecchio Mihàly, che in riva al fiume stava scrutando il corso dell'acqua, si voltò serio in volto verso la casa e chiamò: - Jànos! Qualcosa galleggia sull'acqua!
Da quel grido si sviluppa una storia drammatica, che alterna, come nella vita reale, la serenità dell'amore al tormento della passione, passando attraverso tutti quegli stati d'animo e le vicissitudini che da sempre accompagnano la vita degli uomini e delle donne, sia che vivano nelle vorticose città moderne, che sul trasognato greto del fiume Danubio. Solo la conclusione, e la morale implicita, suona come una forzatura, una soluzione rasserenante, come quella che spesso il cinema americano - quello più commerciale - utilizza per concludere le sue storie.
Nel 1971 uscì il film Nuda dal fiume, di Jan Kadar, tratto dal romanzo di Zilahy, dove la struttura semplice della storia, viene macchinosamente complicata con flashback e salti temporali.
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