martedì 30 settembre 2014

Mao Tse-Tung - 37 POESIE - Oscar Mondadori 1972 - £ 700




Presentiamo le 37 poesie di Mao Tse-tung (1893-1976), per la prima volta edite in Italia nel lontano 1972, tradotte e commentate, con un saggio politico-letterario, dal sinologo Joachim Schickel (1924-2002), e ri-tradotte dal tedesco per Mondadori  da Bruna Bianchi.

Se ci limitassimo a leggere le poesie, saltando il saggio introduttivo di Schickel, correremmo il rischio, in ogni caso, di essere condizionati dal giudizio politico che abbiamo dell'ingombrante autore, e continueremmo ad ignorare lo sforzo fatto dalla Rivoluzione cinese, e da Mao Tze-tung personalmente, per rendere la lingua cinese scritta - e quella letteraria - accessibile all'uomo comune, che fino a quel momento ne era escluso.  

Spiega Schickel:


La letteratura classica si serviva di una lingua scritta esclusiva in luogo della lingua corrente parlata dal popolo, impiegava altri vocaboli (ben più numerosi, ben più difficili) e perfino un'altra sintassi (spesso difficilmente decifrabile) rispetto a quelli in uso nella vita quotidiana, e non era neppure suscettibile di trasmissione orale. (.....)
Nel 1942, alla conferenza di Yenan  sulla letteratura e l'arte, coerentemente Mao chiese allo scrittore di obbedire al verso di Lu Hsün: « ...piegando la testa, sono pronto, come un bue, a servire un bambino», cioé la massa del popolo: lo scrittore doveva parlare la lingua degli operai, dei contadini e dei soldati.


C'è un altro aspetto che l'introduzione di Schickel chiarisce, fondamentale per chi della cultura e lingua cinese è completamente digiuno, ed è la rigidità  della forma nella poesia cinese.

Mao ha scelto di scrivere due terzi delle 37 poesie pubblicate su melodie tz'u - una forma nata nel X secolo, - scrive lo Schickel - in origine arie conviviali composte su base di melodie preesistenti e accompagnate da flauto, liuto e cetra. Oggi gli tz'u sono rimasti senza musica ma non hanno perduto la loro musicalità. Se vengono definiti come poesie "di misure lunghe o brevi, cioé di versi composti alternativamente di tre, quattro o cinque caratteri, è proprio questa variabilità, che certamente non ha nulla a che fare col "ritmo libero", a farci cogliere in essi una qualità lirica o addirittura innica. Nel rimanente terzo egli sembra piuttosto voler emulare gli autori di sonetti, in quanto si sottomette alla più rigorosa prosodia del ch'i-lü: i cui otto versi di sette "piedi" ciascuno (che in cinese corrispondono a sette caratteri monosillabici) appartengono al genere dello shih. Come gli tz'u, anche gli shih sono rimati, solo che le loro regole di ritmo e di accentazione sono talmente rigorose da esporli facilmente alle critiche dei pedanti.

Alcuni esempi. 

 XI
Ta-po-ti
1933, estate.
Si tratta di uno tz'u

Rosso, arancione e giallo, verde, azzurro, indaco e violetto:
chi regge il nastro variopinto , per danzare sul cielo?
Dopo la pioggia torna il nuovo sole del tramonto;
passo monti, creste, ad uno ad uno, s'immergono nell'ombra.

Quell'anno - furioso massacro:
le mura del villaggio crivellate di colpi.
Oggi sono ornamento per questo passo, per i monti,
ancor più belli da guardare.

 


XXIX
Tornato a Shao-shan 
1959, giugno 
Si tratta di un ch'i-lü

Fresco ricordo, la fugace corrente è domata:
la mia casa trentadue anni prima.
Rosse bandiere, si affollano le lance dei contadini,
mani nere levano in alto la frusta dei tiranni.
Poiché si immolano, in molti si immolano, la loro volontà si rafforza,
osa comandare a sole e luna: crea nuovi giorni.
Visione felice: mille onde percorrono risaie e campi di leguminose;
intorno alla valle gli eroi scendono nella nebbia della sera.  

 

XXXI
Sul ritratto di una miliziana
1961, febbraio
Scritta nel febbraio 1961. 
Si tratta di un ch'i-chüeh, cioé uno shih secondo le "Sette regole" ma abbreviato.

Ventata di freschezza, valorosa grazia, cinque piedi il fucile;
splendore mattutino, i primi raggi sul campo di marte.
Straordinaria meta delle ragazze cinesi, tante;
non amano vesti rosse, amano la veste militare.

Per Mao scrivere versi è sempre stato naturale, in tutte le epoche della sua vita: i primi versi sono del 1925, gli ultimi hanno la data del 1963; rime e ritmi stanno altrettanto a cuore all'anziano presidente del partito, come al giovane sovversivo, al condottiero della Lunga Marcia, al presidente della Repubblica Popolare. Racconta Robert Payne che «durante le sedute del governo a Yenan era solito scrivere poesie così come altri scarabocchiano pupazzetti, e dopo quelle sedute c'era sempre una caccia ai versi che Mao, noncurante, aveva buttato per terra».

XXXV
Ode alla ciliegia d'inverno
1962, dicembre. Si tratta di uno tz'u su melodia Pu-suan-tzu.

Vento e pioggia mandano via la primavera,
neve turbine accoglie primavera.
Da tempo declivi e precipizi sotto mille piedi di ghiaccio,
eppure ci sono: rami fioriti e bellezza.

Bellezza, che non gareggia con la primavera,
è solo una guardia per annunciare primavera.
Vedrai che montagne nel tempo sfarzoso dei fiori:
lei sorride, stretta nel mezzo. 


Credo che questo vecchio volumetto, che si è nel frattempo completamente squinternato, rappresenti più di una semplice curiosità su un grande personaggio, osannato e vilipeso come pochi nella storia; credo che possa aiutare a comprendere come l'opera di Mao Tze-tung, oltre che nella sfera politico-economica, abbia profondamente modificato i meccanismi mentali della dialettica e della cultura cinese, creando quello stile  in cui confluiscono l'antico pensiero di Lao-Tse e la dialettica marxista.

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