martedì 28 aprile 2015

Pablo Neruda - CONFESSO CHE HO VISSUTO - Club Italiano dei Lettori, 1980





Il grande poeta cileno, premio Nobel per la Letteratura 1971, pubblicò tra il 1917 e il 1919 alcune opere minori con il proprio nome, Ricardo Neftalì Reyes Basoalto, ma per non dispiacere al padre, che riteneva quello del poeta una attività poco seria, scelse come  nome d'arte lo pseudonimo Pablo Neruda, per onorare col nome Pablo Paul Verlaine (1844-1896), maestro di Rubén Dario (1867-1916), e il cognome Neruda per onorare Jan Neruda, poeta boemo (1834-1891), noto soprattutto per i Racconti di Malà strana (1878), nei quali celebra le miserie e le ricchezze degli abitanti dei vicoli del quartiere omonimo nel quale era nato e vissuto.







Jan Neruda
Paul Verlaine






















Queste memorie o ricordi sono intermittenti e a tratti si smarriscono perché così appunto è la vita. L'intermittenza del sonno ci permette di sostenere i giorni di lavoro. Molti dei miei ricordi sono svaniti ad evocarli, sono diventati polvere come un cristallo irrimediabilmente ferito.

Le memorie del memorialista non sono le memorie del poeta. Quegli è vissuto forse meno, ma ha fotografato molto di più e ci diverte con la precisione dei particolari. Questi ci consegna una galleria di fantasmi scossi dal fuoco e dall'ombra della sua epoca. 

Forse non vissi in me stesso; forse vissi la vita degli altri.

Da quanto  ho lasciato scritto in queste pagine sempre si staccheranno - come negli alberetti d'autunno e come al tempo delle vigne - le foglie gialle che vanno a morire e le uve che rivivranno nel vino che è sacro.

La mia vita e una vita fatta di tutte le vite: le vite del poeta. 

E' un libro questo che, specialmente in seconda lettura,  può essere letto anche non cronologicamente, aprendolo a caso e immergendosi in una prosa che non è mai banale, seguendo quest'uomo appassionato nei suoi viaggi avventurosi che l'impegno politico e culturale  lo hanno portato a compiere in giro per il mondo, incontrando i politici e gli uomini di cultura più importanti del XX secolo.  

Dal racconto del suo primo viaggio in Italia:

Da un posto all'altro, in queste peripezie di esiliato, giunsi in un paese che non conoscevo allora e che imparai ad amare intensamente: l'Italia. In quel paese tutto mi sembrava favoloso. Specialmente la semplicità italiana: l'olio, il pane e il vino della naturalezza. Perfino quella polizia. Quella polizia che non mi ha mai maltrattato, ma che mi seguiva instancabilmente. (....) Gli scrittori mi invitarono a leggere i miei versi. Li lessi in buona fede dappertutto, nelle università, negli anfiteatri, ai portuali di Genova, a Firenze, nel Palazzo della Lana , a Torino, a Venezia.
Leggevo con infinito piacere davanti a sale strabocchevoli di pubblico. Qualcuno accanto a me ripeteva poi le strofe in italiano supremo, e mi piaceva udire i miei versi con quello splendore che gli aggiungeva la lingua magnifica. Ma alla polizia non piaceva tanto. In spagnolo, passi, ma la versione italiana aveva punti e puntini. Gli elogi della pace, parola che era stata proscritta dagli "occidentali", e ancora di più il fatto che la mia poesia si rivolgeva alle lotte popolari, erano pericolosi.

Era tanto sgradita la presenza di Neruda al governo di De Gasperi, che il suo ministro dell'Interno Scelba cercò di espellerlo; solo la forte protesta popolare, l'impegno dei parlamentari del PCI e degli uomini di cultura italiani impedirono questa vergogna. Così Neruda ricorda i tafferugli alla stazione Termini Roma:

Sceso dal predellino del vagone, elegantemente custodito, mi trovai immediatamente al centro di una prodigiosa battaglia. Scrittori e scrittrici, giornalisti, deputati, circa un migliaio di persone, mi strapparono in pochi secondi dalle mani della polizia. La polizia avanzò a sua volta e mi riscattò dalle braccia dei miei amici. In quei momenti drammatici distinsi alcune facce famose, Alberto Moravia e sua moglie Elsa Morante, romanziera come lui. Il famoso pittore Renato Guttuso.Altri poeti. Altri pittori. Carlo Levi, il  celebre autore di Cristo si è fermato a Eboli,mi allungava un ramo di rose. In mezzo al trambusto i fiori cadevano per terra., volavano cappelli e ombrelli, risuonavano i cazzotti come splosioni. La polizia stava avendo la peggio e fui di nuovo recuperato dai miei amici. Nella mischia potei vedere la dolcissima Elsa Morante colpire col suo ombrellino di seta la testa di un poliziotto. D'un tratto passarono i carrelli dei portabagagli e vidi uno di loro, un facchino corpulento, scaricare una randellata sulle spalle della forza pubblica. Erano le adesioni del popolo romano. La contesa divenne così complicata che i poliziotti mi dissero, a parte:
- Parli ai suoi amici. Dica loro di calmarsi...
La folla gridava:
- Neruda rimane a Roma! Neruda non se ne va dall'Italia! Rimanga il poeta! Rimanga il cileno! Fuori l'austriaco!
(L'austriaco era De Gasperi, primo ministro italiano.)
A capo di mezz'ora  di pugilato arrivò un ordine superiore grazie al quale mi era concesso il permesso di rimanere in Italia. I miei amici mi abbracciarono e mi baciarono e io mi allontanai da quella stazione calpestando con dispiacere i fiori rovinati dalla battaglia.

L'indegno trattamento riservato a Neruda spinse  Edwin Cerio (1875-1960), ingegnere, scrittore e naturalista, a mettere a disposizione del poeta la sua villa di Capri, dove Neruda trascorse un lungo, tranquillo e felice periodo con la sua compagna Matilde, componendo in quei luoghi ameni Los versos del capitàn .


2 commenti:

  1. Ho riletto questo libro molto interessante qualche anno fa. Forte è stato l’amore di Neruda per il suo Cile e a tal proposito ha scritto una cosa che io credo sia molto attuale, visto il drammatico sbarco di migranti che si verifica nel nostro paese: “Penso che l’uomo debba vivere nella sua patria e credo che lo sradicamento degli esseri umani sia una frustrazione che in un modo o nell’altro offusca la chiarezza dell’anima. Io non posso vivere che nella mia terra; non posso vivere senza mettere in essa piedi, mani, orecchie, senza sentire la circolazione delle sue acque e delle sue ombre, senza sentire come le mie radici cercano nelle sue zolle le sostanze materne”.
    Un caro saluto

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    1. Hai ragione Remigio, questo senso di sradicamento, che Neruda esprime con magnifiche e toccanti parole, l'ho vissuto quando scelsi di vivere all'estero, non perché costretto ma perché stanco e deluso dal mio paese.
      Grazie dell'attenzione che mi riservi, un caro saluto

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