domenica 29 novembre 2015

Louis-Ferdinand Céline - VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE - La Biblioteca di Repubblica 2002 - € 4,90 + prezzo del quotidiano



Non ho difficoltà ad ammetterlo: nei confronti di Luis-Ferdinand Céline, pseudonimo di  Louis Ferdinand Auguste Destouches (1894-1961), medico, scrittore e saggista, avevo un forte pregiudizio politico, un rifiuto, quasi una ripulsa per l'uomo e le sue opere, a causa dei sui scritti antiebraici e filo-nazisti. Certo, pre-giudizio vero, cioé per cose lette su di lui, senza aver letto niente direttamente da lui scritto. 
Poi il caso ha voluto che incrociassi questo Viaggio al termine della notte (1932), insieme ad altri due romanzi, nel reparto Libri abbandonati alla COOP di Genzano di Roma, e questa fortunata coincidenza mi ha consetito di colmare una lacuna che, altrimenti, sarebbe rimasta tale. 


La lettura di questo romanzo è stata una vera rivelazione, mi aspettavo l'esaltazione del male assoluto, ho trovato invece una sorta di romanzo picaresco, che utilizza una scrittura originale, sagomata sul parlato, dove l'ironia e il sarcasmo più dissacrante, non risparmia alcuna istituzione, a cominciare dall'esercito, che lo ha costretto a partecipare a quello stupido bagno di sangue che è stata la prima guerra mondiale.


  


Marcia in modo strano la pietà. Se qualcuno avesse detto al comandante Pinçon che lui altro non era che uno sporco assassino vigliacco, gli avrebbe fatto un piacere enorme, quello di farci fucilare, seduta stante, dal capitano della gendarmeria, che non lo lasciava mai d'un passo e che, lui, pensava esattamente a quello. Era mica con i tedeschi che ce l'aveva, il capitano della gendarmeria. (.....) Lo avrei proprio dato agli squali da papparsi, il comandante Pinçon, e il suo gendarme con lui, per insegnargli a vivere; e poi anche il mio cavallo in aggiunta per non farlo soffrire più, perché non aveva più groppa 'sto povero disgraziato, dal male che stava, solo due placche di carne che gli restavano al loro posto, sotto la sella, larghe come due mani come le mie e trasudanti, al vivo, di grandi rivoli di pus che gli colavano dai bordi della coperta fino ai garretti. Bisognava comunque trottarci sopra, un, due... Si dannava per trottare. Ma i cavalli sono ancora più pazienti degli uomini. Ondeggiava, trottando. Si poteva solo lasciarlo all'aperto, Nei fienili, per l'odore che gli usciva dalle ferite, puzzava così tanto che si restava soffocati. Salirgli in groppa, gli faceva così male che si piegava, come per gentilezza, e allora il ventre gli arrivava ai ginocchi. 


Con occhio impietoso scandaglia il mondo circostante, e l'impressione che ne ricava non lascia spazio alla speranza, che si tratti della periferia di Parigi, dell'Africa coloniale o del Nuovo Mondo.

 

In questa colonia di Bambola-Bragamance, al di sopra di tutti, trionfava il Governatore. Militari e funzionari osavano appena respirare quando lui si degnava di abbassare lo sguardo sulle loro persone. Molto al sotto ancora di quei notabili i commercianti installati sembravano rubare e prosperare più facilmente che in Europa. Nemmeno una noce di cocco, nemmeno una nocciolina americana, su tutto il territorio, che scappasse alle loro rapine. I funzionari capivano, via via che diventavano più stanchi e malati, che se ne fottevano di loro facendoli venire lì, per dargli insomma solo galloni e formulari da riempire e quasi niente grana insieme. L'elemento militare ancora più inebetito degli altri due s'abboffava di gloria e per farla passare ci metteva molto chinino e chilometri di Regolamenti.
Tutti diventavano, si capisce bene, a forza d'aspettare che il termometro si abbassi, sempre più incarogniti. E le ostilità personali e collettive duravano interminabili e assurde tra militare e l'amministrazione, e poi ancora tra quest'ultima e i commercianti, e poi ancora tra quelli lì alleati temporaneamente contro quelli là, e poi tutti contro il negro e alla fine tra i negri tra di loro. Così, le rare energie che scampavano alla malaria, al sete, al sole, si consumavano in odi così mordaci, così insistenti, che molti coloni finivano per crepare sul posto, avvelani di se stessi, come degli scorpioni.

 
Dopo esser fuggito dalla colonia francese in Africa, fatto prigioniero su una nave pirata, sbarca a New York e :
 
Come sopresa, non era male. Attraverso la bruma, era così stupefacente quello che si scopriva all'improvviso che noi all'inizio rifiutammo di crederci e poi comunque quando fummo in pieno davanti le cose, ognuno dei galeotti che eravamo s'è messo proprio a ridere, vedendo quello, dritto davanti a noi... Figuratevi che era in piedi la loro città, assolutamente dritta. New York è una città in piedi. Ne avevamo già viste noi di città, sicuro, e anche belle, e di porti e di quelli anche famosi. Ma da noi, si sa, sono sdraiate le città, in riva al mare o sui fiumi, si allungano sul paesaggio, attendono il viaggiatore, mentre quella, l'americana, lei non sveniva, no, lei si teneva bella rigida, là, per niente stravaccata, rigida da far paura. (.....)

Attesi un'ora buona nello stesso posto e poi da quella penombra, da quella folla per strada, discontinua, triste, sorse verso il mezzosì, innegabile, un'improvvisa valanga di donne assolutamente belle.
Che scoperta" Che America! Che godimento! Ricordo di Lola! Il suo esempio non mi aveva ingannato! Era vero! (....)
Che graziose scioltesse però! Che delicatezze incredibili! Che invenzioni armoniose! Sfumature pericolose! Vittoria di tutti i pericoli! Di tutte le possibili promesse del volto e del corpo fra tante bionde! Quelle brune! E quei Tiziano! E quando non ce n'erano più ne venivano ancora! E' forse, pensai io, la Grecia che rinasce? Arrivo al momento giusto!

Ma non era la Grecia classica, era l'America del fordismo e avrà modo di conoscere la catena di montaggio a Detroit.
E poi il ritorno in Francia, dove finisce gli studi interrotti e si laurea, dedicandosi poi all'attività di medico condotto nella periferia povera di Parigi.
Un romanzo intenso e, per molti aspetti, doloroso, dove il quadro di ingiustizie che ne emerge, rende evanescente la distinzione tra il bene e il male, e i personaggi vivono le loro storie in bilico tra la farsa e la tragedia. 

La scrittura assolutamente originale, sincopata, piena di termini gergali e turpiloquio, non sorprende che abbia conquistato l'ammirazione di Charles Bukowski, che a proposito della scrittura di Céline ebbe a dire si è tolto fuori le viscere e ci ha riso sopra. un uomo molto coraggioso.


Charles Bukowski


                                                                  

2 commenti:

  1. Avevo i tuoi stessi (sacrosanti, oserei dire) pre-giudizi su Céline: meno male che li ho, come te, superati. Ho così potuto scoprire un grande scrittore, anzi direi grandissimo. Le sue errate scelte politiche le ha, credo, "scontate" assai nel dopoguerra, vivendo la sua vita in una solitudine quasi "monastica".

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  2. Si, lo credo anch'io che le abbia scontate, con un ostracismo che forse è andato oltre le sue effettive colpe.
    Grazie dell'attenzione Orlando,

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