lunedì 25 aprile 2016

Martin Luis Guzman - EL AQUILA Y LA SERPIENTE - Editorial Porrua, S.A. Mexico, 1987 - $ 2.200,00


Come tutti i grandi intellettuali Leonardo Sciascia ha la magica capacità di connettere fatti, personaggi, libri che apparentemente non hanno tra loro alcun legame. Amo quest'apertura mentale, questa creativa versatilità, questa cultura che non conosce limiti e demarcazioni di genere, capace di saltare lo spazio e il tempo per affermare verità universali.
Nella raccolta di saggi Nero su Nero (1979)  ho trovato questa indicazione che mi ha aperto un mondo inedito. Scrive Sciascia:

L'uccisione di Sallustro mi ha fatto ricordare due episodi concomitanti ma, per così dire, di segno opposto, di quel libro straordinario che è L'aquila e il serpente di Martin Luis Guzman: uno di quei libri (e mi pare lo dicesse Hemingway) che insegnano a scrivere cose feroci senza indossare la maschera della ferocia.
Primo interrogativo: chi è Sallustro? 
Non Sallustio - noto storico e senatore romano, cacciato per indegnità dal Senato, ma poi riammesso da Cesare come compenso per essersi schierato contro Pompeo - ma proprio Sallustro.
Una breve ricerca sul web chiarisce: Oberdan Sallustro (1915-1972), italo-paraguaiano nato a Asunciòn, figlio di napoletani stabilitisi in Paraguay nel 1899, fratello dei noti calciatori Attila, Oreste e Octavio. Avvocato, industriale, diplomatico e Presidente della Fiat-Argentina. Rapito il 21 marzo 1972 dall'Ejército Revolucionario del Pueblo (ERP) e assassinato con quattro colpi di pistola il 20 aprile dello stesso anno.
Secondo interrogativo: perché l'uccisione di Sallustro fa ricordare a Sciascia questo libro? Ce lo racconta Sciascia stesso, ma per capire la connessione è importante sapere che, qualche anno dopo l'uccisione, uno dei lider dell'ERP in una intervista tentò di giustificare questo assassinio, dichiarando che "uno de los compañeros interpretando mal una orden que evidentemente estaba mal dada, disparó sobre Sallustro. Fue un grave error".

Oberdan Sallustro fotografato dai rapitori


 http://www.raistoria.rai.it/articoli/oberdan-sallustro-rapito-e-ucciso-in-argentina/12685/default.aspx

Ma proseguiamo con Sciascia:

  Pubblicato in Italia giusto trent'anni fa, da Rizzoli, nell'ottima traduzione di Mario Socrate, è strano che non sia più stato ripreso, dallo stesso editore o da altri, in una delle tante collane universali ed economiche di questi anni.
  Come dice il titolo, il libro racconta del Messico; e precisamente della rivoluzione messicana e dei suoi protagonisti: Villa, Zapata, Obregon Gutierez,Carranza. Personaggi che vengono su al vivo, e specialmente Villa, in episodi magari marginali ma sempre significativi. Guzman racconta cose viste: poiché ha avuto parte di primo piano negli avvenimenti, ed è stato persino ministro nel frenetico farsi e disfarsi dei governi rivoluzionari. E non so quanto sia valso come uomo politico, ma come scrittore molto. Rileggendolo dopo trent'anni, e dopo aver bevuto in tante altre cantine il libro mi si restituisce in intatta grandezza.
Nel libro si racconta come un generale dell'esercito rivoluzionario, in difficoltà per pagare la truppa, convochi cinque cittadini del villaggio occupato e imponga loro un prestito forzoso in valore crescente in relazione al tempo concesso per la consegna del denaro, pena la forca. Il primo dei cittadini, tale Carlos Valdés, cui il generale impone di portare cinquemila pesos entro quindici ore, si dichiara nullatenente e neanche in un anno in grado di procurarsi quella cifra. Quindi, chiede che senza aspettare l'indomani si chiami il boia per farla finita. La risposta del generale è lapidaria: «La Rivoluzione, signor Carlos Valdés, non ha boia, e non ne ha bisogno». Sarà impiccato l'indomani da un caporale, e, gli altri quattro, dopo aver assistito all'esecuzione, pagheranno nei tempi previsti dal generale.

   Più tardi contando i pesos, il generale disse all'aiutante «Hanno pagato tutti» «Tutti meno Valdés» obiettò l'aiutante. E il generale: «Ma io lo sapevo, che non avrebbe pagato. Non aveva neanche di che farsi seppellire... Ma impiccando lui ero sicuro che gli altri avrebbero pagato»

L'altro episodio, che è alla base della riflessione di Sciascia, riguarda il generale Villa che Guzman incontra mentre è in attesa accanto al telegrafo di notizie su una battaglia che i suoi uomini stanno combattendo. 

  Il telegrafo comincia a ticchettare: la battaglia è vinta, tanti morti, tanti feriti, tanti prigionieri. Che cosa faccio dei prigionieri? chiedeva il comandante della colonna. La domanda irritò Villa «Come! Che farne? Che cosa se ne deve fare? fucilali!» E rivolto a Guzman e a un Llorente che era con Guzman: «Che ve ne pare, signori dottori? Che cosa fare dei prigionieri!» E dopo aver fatto trasmettere l'ordine di fucilarli, domanda ancora «Che ve ne pare?» Pallido come un morto, ma fermo, Llorente risponde: «A me generale, se devo essere sincero, non sembra un ordine giusto».
   Guzman chiuse gli occhi, aspettandosi che Villa cavasse la pistola e punisse la disapprovazione. Ma dopo qualche momento di silenzio, calmo, Villa domandò perché. E allora Guzman spiegò: «Chi si arrende, generale, risparmia per questo fatto la vita di un altro, o di altri, dato che rinuncia a morire uccidendo. E così chi accetta la resa, è obbligato a non condannare a morte». Villa lo guardò fissamente, poi balzò in piedi e quasi gridando diede al telegrafista il contrordine: e che voleva subito, dall'altra parte, la risposta. Arrivò venti minuti dopo, venti minuti che Villa passò angosciosamente. Quando seppe che i prigionieri erano salvi "prese il fazzoletto e se lo passo sulla fronte per asciugarsi il sudore". La sera, poi, a cena, a Guzman e a Llorente disse: «E molte grazie, amici, per questa mattina, per l'affare dei prigionieri...»

  La differenza tra il generale che impicca il povero Carlo Valdés e Villa che prima trova "naturale" che i prigionieri si fucilino e poi scopre che è invece "naturale" non fucilarli e li salva, è primamente la differenza che corre tra uomini e non uomini, tra "uomini e no". Altra differenza, e discende dalla prima, è che Villa era un rivoluzionario e il generale era un boia.
Leonardo Sciascia (1921-1989)
Martin Luis Guzman (1887-1976)

Francisco Pancho Villa (1878-1923)

Dopo aver letto tutte queste notizie sul libro di Guzman, il desiderio di leggerlo era diventato pressante: ho provato sul web, nel mercato dell'usato, ma senza alcun risultato: l'unica traduzione, quella di Mario Socrate - Rizzoli del 1942, è risultata introvabile. Allora ho rivolto un appello su fb, e - come speravo - una cara amica dal Messico mi ha spedito questa bella copia, che coincide con il centenario della nascita dell'autore. 
Con qualche difficoltà, molto impegno e l'aiuto di un buon dizionario, ho affrontato l'impresa di leggerlo in lingua originale, e ho scoperto che questo bellissimo libro affronta il racconto della rivoluzione messicana senza descrivere alcun combattimento, ma parlando degli uomini: della lealtà alle idee che ne ispirano le azioni, della sete di potere che tutte le rivoluzioni stravolge, dei sentimenti di amicizia, rafforzati dalla stima, che lega tra loro uomini probi, dell'ignoranza e la brutalità che tutto distrugge; con un linguaggio leggero e ironico che, malgrado le mie lacune della lingua, emerge con assoluta evidenza.
Per dare un'idea dell'atmosfera che si respira nel libro, un breve episodio: Guzman e altri rivoluzionari sono stati incarcerati, perché dissidenti, da Venustiano Carranza, che è in rotta di collisione con Villa e Zapata. Nel carcere dove vivono con molte libertà, assistono all'arrivo della figlia - molto bella - di un generale del regime sconfitto di Huerta. Questa la descrizione:

La hora dionisiaca era la aparición, diaria y matutina, de la hija de uno de los generales huertistas que estaban preso. Llegaba como la primavera: encendiendo la vida y sus ansias más reconditas. Nosotros espiábamos su apareces prendidos al balcon en grupo apretado que ponia en conflicto los intereses individuales y los colectivos. La contemplábamos mientra avanzaba desde el otro confin de la plazoleta, y después, cuando desaparecía bajo el zaguán, nos precipitabámos hacia el corredor, con mayor ahínco que si de eso dependiera el término de nuestro encierro. (.....)  Arriba, en el corredor, doblábamos nosotros la cintura sobre el barandal y formábamos con nuestras mirada múltiples un cono invertido cuyo vértice se desplazava con ella de un extremo a otro del patio.
Caminaba con una cadencia extraordinaria de ritmos suaves, sinuosos, flexibles en torno a puntos de fijeza vital. Cruzaba el paso con tal arte, que sus píes, con riquísimo juego de tobillos, iban colocándose alternativamente a lo largo de una linea áúnica. Aquella audacia del andar repercutíía primero en la cintura y luego arrancaba de allí in en finíísimas ondulaciones que invadian el talle, el cuello, la cabeza - bellisima cabeza, bellisimo cuello, bellisimo talle -, hasta refluir en el balanceo que subía tambien de su brazos. El cuerpo cimbrante derramaba la savia de su hermosa juventud y paria trasfundirla al suelo y acerla subir después por los muros con el único y evidente fin de galvanizar el organismo de pietra junto con los pequeños organismos que lo habitaban, éstos, de débil carne, sujetos entonces por las ataduras de dobles prisiones.

Trovare in un libro, che è la cronaca di un fatto fondativo di una nazione, un brano così leggero e sensibile, così estraneo alla pesantezza e ufficialità che pervade tutta la nostra narrativa risorgimentale - perché tale è per il Messico la Rivoluzione - prima che sorprendente è piacevole, e ci induce a condividere per quest'opera di narrativa, lo stesso entusiasmo che aveva animato Leonardo Sciascia.