venerdì 30 novembre 2012

Fernanda Pivano - COS'E' PIU' LA VIRTU' - Rusconi 1986 - £ 18.000



La biografia di Fernanda Pivano (1917-2009) è un corposo episodio della storia culturale italiana e la sua vita sembra una sceneggiatura scritta per Hollywood.

 In attesa di leggere i suoi Diari (due volumi dei Classici Bompiani del 2008 e 2010) per approfondire questa familiarità che sento nei suoi confronti, apprendo dal web che nasce a Genova da una famiglia che lei definisce vittoriana; il padre, Riccardo, è un miliardario colto e illuminato proprietario di una banca, il nonno è il fondatore della Berlitz School, la madre è la bellissima Mary Smallwood. E' compagna di classe al ginnasio di Primo Levi, nella stessa scuola frequentata da Gianni Agnelli, come supplente di italiano ha Cesare Pavese; nel 1940 si diploma al Coonservatorio di Torino in pianoforte, nel 1941 si laurea in lettere con una tesi su Moby Dick, nel 1943 si laurea in filosofia sotto la guida di Nicola Abbagnano.

 Una ragazza favorita dalla lotteria della vita, per condizioni familiari e ambientali, ma sicuramente con una forte determinazione a realizzarsi, studiando e lavorando sodo, come una volta era usuale.

Figura di rilievo nella scena culturale italiana per il suo contributo alla divulgazione della letteratura americana attraverso le sue traduzioni, saggi, articoli, antologie e opere biografiche, per la prima volta si cimenta con il romanzo, questo  Cos'è più la virtù, scintillante e lieve come un'aria d'opera e a un tempo profondamente vissuto, quasi una lunga confessione, come recita puntualmente la seconda di copertina.

Si tratta di una divertente e divertita serie di episodi - storie quasi d'amore -  nelle quali la protagonista, che somiglia come una goccia d'acqua alla narratrice, si trova coinvolta da corteggiatori, dai più raffinati ai più grossolani, che cercano in tutti i modi  di portarsela a letto.

Vincerà la virtù che è un valore appreso fin da bambina e che le lotte di emancipazione sessuale dal '68 in poi non hanno scalfito.

Dall'assidua frequentazione con i grandi e grandissimi della letteratura americana, ha ricevuto la capacità  di tessere la narrazione con dialoghi scoppientanti che rendono la lettura estremamente godibile.

Confessa la protagonista nelle ultime pagine:
Non invidio le donne belle, perché sono stata bella anch'io. Non invidio le donne ricche, perché sono stata ricca anch'io. Non invidio le donne amate, perché sono stata amata anch'io, tanto, tantissimo. Ma sapessi quanto invidio le puttane.


mercoledì 21 novembre 2012

Alessandro Piperno - CON LE PEGGIORI INTENZIONI - Mondadori 2006 - € 5,00









E' mio fratello maggiore Mario (che da sempre acquista tutto ciò che viene pubblicato) a passarmi  i libri che devo leggere assolutamente (anche perché così riesce ad alleggerire la sua libreria). E' il caso di questo libro di esordio di Alessandro Piperno, Con le peggiori intenzioni.

Benché non sia mai rimasto deluso dalle sue indicazioni, ho accettato questo  libretto con diffidenza per un fatto estetico: un volume squilibrato: oltre 300 pagine in formato 11x18, brutta la carta (speriamo almeno riciclata) in contrasto con una rilegatura accurata,  copertina in cartoncino pesante lucido, ma l'occhiello (sopratitolo),   il richiamo (con un giudizio critico) e la foto, lo rassomigliano alla copertina di un settimanale piuttosto che a un libro, poi lo giro e leggo I MITI € 5,00.

Non sono contrario ai libri economici: vendere romanzi di buona qualità al prezzo di un pacchetto di sigarette è stata una grande invenzione, che Arnoldo Mondadori ha saputo replicare (dopo  trent'anni dalla Penguin) con un grande successo, rivoluzionando anche la distribuzione. Ma gli Oscar erano addirittura  eleganti nella loro semplicità, questi Miti mi sembrano decisamente pacchiani.

Ma che sorpresa questo romanzo di  Alessandro Piperno!

Questa gradevole - a volte esilarante - saga dei Sonnino, ebrei di Roma, è stato una vera epifania, costruita sapientemente, alternando con  abilità i piani narrativi per rendere fluente il racconto, utilizzando un linguaggio arguto al limite dell'umoristico.

Così presenta nell'incipit  il nonno Bepy:

Bepy sentì di non aver scampo diverse ore dopo aver incassato la diagnosi di tumore alla vescica, quando tra il novero sterminato d'interrogativi agghiaccianti scelse: Potrò ancora scopare una donna o tutto finisce qui?
Sebbene tale dilemma possa apparire una patologica inversione delle priorità, per lui, nell'estremo frangente, risultò più spaventoso lo spettro della compromessa mascolinità che l'orrore del nulla: forse perché nel suo immaginario impotenza e morte coincidevano, anche se la seconda era preferibile alla prima, se non altro per il conforto dell'assenza eterna... O forse il salto nel buio che aveva condotto quest'uomo di successo alla bancarotta finanziaria era stato troppo fulmineo per non scalfirgli l'integrità emotiva.
Parlando dei nonni Bepy e Ada e della sua famiglia, sembra affiorare quell'ironia dissacrante che Woody Allen riserva alla religione ebraica e agli ebrei:


 Avendo ingerito, dopo una confortevole adolescenza, la dose di frustrazione erotica che furono, al postutto, le leggi antiebraiche del '38, letteralmente contagiati dall'epidemica allegria postbellica, questi giudei della Roma "bene" avevano sostituito - con che estemporaneità - al terrore per Benito Mussolini e Adolf Hitler la mimetica venerazione per Clark Gable e per Liz Taylor. Era come se quella clownesca coppia di dittatori fascisti non fosse mai esistita, come se - nei cuori di tutti i Bepy italiani - essa fosse stata sepolta insieme alle carcasse indistinte delle centinaia di parenti deportati: il nugolo di cugini, cognati, sorelle, suoceri e nipotini i cui resti ormai avrebbero potuto occupare un paio di buste per l'immondizia, di cui era severame vietato parlare e della cui fine nascostamente ci si vergognava. Cancellati, ancor prima che dalla faccia della terra, dalla memoria dei congiunti sopravvissuti: come se i loro stracci e le loro magrezze infernali, le loro morti senza identità, minutamente documentate da quelle orrende foto in bianco e nero, fossero inadatte allo scintillio delle argenterie o al brio euforizzante dei cocktail di quegli anni fantastici. O come se quella follia di diabolica malvagità che s'era abbattuta sui Sommersi avesse autorizzato i Salvati a una disinvolta spregiudicatezza: era per questo - solo per questo? - che non esisteva un solo individuo nel milieu di Bepy e Ada che non si sentisse autorizzato a violare i precetti borghesi, avanzando sessuali profferte alla moglie del migliore amico o alla figlia minorenne del collega più caro?
Evidentemente l'inferno aveva abolito il proibito. Se questa rimozione collettiva non fosse esistita, come avrebbe fatto nonna Ada - cui i nazisti avevano annientato (anche se in famiglia per delicatezza si preferiva l'eufemistica espressione "portato via") le due cuginette piccole e una dozzina d'altri affini - a partecipare con tanta commozione all'essiccamento delle sue ortensie alla fine di ogni estate?


Dal capitolo Mai visto un cadavere così chic:
Nano in abito scuro, sussura dentro di me una voce suadente come lo speaker d'una sfilata di moda: floscio zucchetto blu notte e occhiali da sole rubatia mia madre, anche se non sono graduati, perché fanno molto "funerale americano". Sono quasi bello, studiatamente affranto nel blazer di Brooks taglia junior e con il biondo provvisorio ciuffo che mi carezza la fronte.
L'intramontabile rabbino Perugia dà inizio al rito senza preamboli. Sembra annoiato. Le labbra si muovono appena. L'idea è che le parole gli escano come una giaculatoria mandata a memoria. L'idea è che pur conoscendo l'ebraico, non lo comprenda o abbia smesso da secolidi sentirle.
Ma ecco avanzare, con la lentezza d'un ennesimo carro funebre, una nera Mercedes 500 fresca di autolavaggio, e fermarsi proprio all'altezza dello scuro crocchio, nella piazza antistante la tetra cappella del cimitero ebraico. Come un divo del cinema scende dall'auto Giovanni Cittadini (per gli amici Nanni), amico d'una vita di Bepy e socio truffato: vestito di grigio scuro, un'obra costernata a offuscargli lo sguardo abitualmente nitido. Si tratta di un meraviglioso sessantacinquenne che sa di canfora e gelsomino: giraffona snodabile che, se non ne conoscessi la proverbiale castigatezza, potresti scambiare per una checca contrita (una di quelle omosessualità rattenute che si esprimono attraverso una stizzita misoginia). Anche lui ha lo zucchetto, non richiesto omaggio ai Perifdi Fratelli Ebrei, con effetto comico assicurato: ossimoro deambulante: la sua figura non ha nulla d'ebraico: troppo dinoccolato, troppa sicurezza nell'incedere: Scortato da due effebici ragazzini dal sesso indecifrabile austeramente abbigliati come garçon d'honneur, eccolo passare in rassegna la vedova, il figlio maggiore, il minore, i nipoti e così via in una sequela di convenevoli. Solo ora che mi guarda fisso negli occhi con l'intensità di chi ha tante cose da dire capisco che non ha niente da dirmi. Ancheggia, mettendo continuamente a posto i polsini ingemellati della camicia bianca, come credesse d'essere lui, e non il cadavere, la vera star del cimiteriale rendez-vous.


Adoro questa leggerezza nelle descrizioni degli ambienti e delle persone: il riuscire sempre a mettere in evidenza gli aspetti paradossali che si nascondono nella quotidianità.


Nel frattempo Piperno ha vinto il Premio Strega 2012 con Inseparabili, il fuoco amico dei ricordi.

domenica 18 novembre 2012

PULP - Letterature di fine millennio - n.01 Aprile-Maggio 1996 - £ 7.000








Di questa splendida rivista di Letterature di fine millennio,   possiedo i primi 10 numeri, la rivista ha cessato le pubblicazioni con il n.73 del 2008. E' stata una rivista che ha descritto il panorama narrativo contemporaneo, privileggiando tutte le forme più  originali, compreso cinema, fumetti, musica rock.

In questo primo numero della rivista, che non apre con la solita dichiarazione d'intenti, ma entra subito nel merito, c'è una lunga, interessante intervista di Claudio Galuzzi (1957-1998) a Paco Ignacio Taibo II che alla domanda cosa sia per lui il romanzo, risponde:

Chi lo sa? Non lo so. Posso solo dire che cosa non deve essere un romanzo. Un romanzo non deve essere una prigione in cui entrano scrittori e lettori. Un romanzo deve essere invece un autentito dialogo, deve sorprendere.
Non c'è cosa peggiore di un libro che una volta aperto, quando si comincia a leggerlo, ci da quello che ci aspettavamo. Cioé non ci meraviglia in nessuna maniera. In questo senso credo che violare e superare i limiti e le strutture interne del romanzo, introdurre la non-fiction nella fiction, mescolare, sconcertare, provocare sorprese, sia un dovere per lo scrittore contemporaneo.


E' di Giano A. Nazzaro (Zurigo 1956), giornalista pubblicista, critico cinematografico e autore di testi dedicato al cinema e alla musica, il breve saggio True romance - La scrittura cinematografica di Quentin Tarantino, dove  viene analizzata l'origine letteraria del suo cinema:
Quella di Tarantino  è una scrittura assorbente che si nutre (letteralmente...) delle infinite suggestioni della junk-culture che è stata l'elemento privilegiato di conoscenza (ossia scoperta del mondo) del giovane Quentin. Nei confronti di questa la sua scrittura non si pone come filtro destrutturante, bensì come strumento mimetico atto a ricreare quel paradiso perduto del trash e dell'autoreferenzialità dei generi cinematografici e dei codici narrativi....

Spiega Tarantino (da una intervista a Graham Fuller):

Per quanto riguarda la scena della tortura di Le Jene, cerco di spiegare in continuazione alla gente che non mi sono seduto dicendo "Ok, adesso scriverò questa scena di tortura violentissima". Quando Mr. Blonde tira fuori dallo stivale il rasoio, io sono stato il primo ad esserne sorpreso. Non sapevo che avesse un rasoio. Questo mi succede in continuazione quando scrivo.

Mentre Fabio Zucchella - direttore di PULP - scrive  Mondo splatter, un articolo che tratta la cosidetta narrativa abietta:

Se i nostri criteri di giudizio fossero soltanto il buon gusto e il nitore stilistico, temo proprio che lo splatter sia spesso qualcosa di inammissibile. Ma questo è un fenomeno inevitabile, trattandosi di narrativa di genere (o de-genere...). Il fatto è che noi andiamo ragionando di un ambito così pulp che di più non si potrebbe, e la letteratura dell'orrore estremo (come pure altre forme espressive parallele: cinema, fumetto, musica) è fatta anche di ciarpame sensazionalistico: volgare effettismo da macelleria, auto-compiacimenti morbosi e adolescenziali ed abberazioni sessuali. Se è vero, come sostiene Ramsey Campbell, che "l'orrore è ciò che non siamo riusciti ad accettare", è altrettanto vero che i mostri dello splatter tutto sono tranne che i frutti malvagi del sonno della ragione. Qui si parla di bombaroli nel Paradiso dell'ipocrisia e del perbenismo morale e letterario, di sabotatori dell'inconscio.

Marco Denti presenta così Jerome Charin:

E' un bel caos quello di Jerome Charyn, non esita un secondo a mettere insieme James Joyce e Madonna, Pinocchio e Moby Dick, O.J. Simpson e Mussolini, Roma e il Bronx. Eppure nel picaresco disordine a cui vanno incontro i suoi personaggi, c'è un metodo e un senso nella sua follia narrativa. Perché per quanto surreale e vagamente onirico riesce a rendere (come altrimenti non si potrebbe) l'atmosfera allucinata e confusa che è propria dei nostri giorni.

Segue una lunga intervista che chiarisce il punto di vista di Charyn sulla letteratura:

La scrittura deve essere assolutamente personale. Più uno scrittore lo è, e più può sperare di conquistare i suoi lettori: L'arte impersonale è un'idea a posteriori, non esiste proprio. Se devo parlare di romanzo, romanzo americano, devo dire che Lolita di Nabokov e L'urlo e il furore di Faulkner, che io ritengo capolavori assoluti, sono stati scritti senza alcuna prospettiva di essere pubblicati. Potevano essere benissimo lavori di dilettanti senza alcun legame con l'editoria. Del resto basta ricordare quello che è poi successo a Lolita per farsene un'idea. Il libro di Nabokov è stato censurato, bandito, messo da parte, più di una volta ha corso il rischio di non essere nemmeno pubblicato. Insomma erano libri scritti per un motivo che andava oltre uno scopo commerciale, che partivano da molto più lontano. Lo stesso potremmo dire probabilmente per tutta l'opera di Kafka: Per intenderci: più il libro sprofonda nel privato, più diventa universale.

 Claudio Galluzzi ci parla invece di James Ellroy in La forma e lo stile della corruzione:

L'uscita di American Tabloid ha indicato in Ellroy uno degli scrittori più omportanti d'America. Questo perché il romanzoè uno scarto abbastanza forte ed evidente della produzione precedente, aanche se bisogna riconoscere non in misura sconvolgente, visto che già segni di costruzione analoga (per forma e stile, ma più per la prima che per la seconda) si poteva intravedere negli ultimi lavori.
Certo è che questo romanzo segna una tappa importante per la letteratura contemporanea americana: e non solo, segna anche l'avvio (se sono vere le voci che circolano secondo cui Ellroy starebbe già lavorando al seguito) di una storia futura complicata e parecchio ambiziosa, visto che dopo tutto si tratta della Storia, con la maiuscola, degli Stati Uniti. Forse il progetto giusto per uno abituato a ragionare in termini di trilogia e quadrilogia. Per uno che ha nella cultura della saga la propria cornice di riferimento, una cornice dentro cui spennellare le proprie tele.

Segue una lunga intervista in cui Ellroy si mette completamente a nudo, raccontando tra l'altro come è nato il progetto di My Dark Places (1996) che ricostruisce le indagini  intorno all'omicio di sua madre avvenuto nel 1958 ed ancora irrisolto.

Ermanno Pea racconta Luo Reed in L'uomo con la maschera blu:

"Ho sempre pensato a me stesso come a uno scrittore. Se faccio il musicista è perché amo il rock, mi piace suonare la chitarra, adoro scrivere e non è niente male combinare le tre cose che più mi piacciono".

E tante e tante altre cose interesanti, che sarebbe qui troppo lungo elencare, su questa bellissima rivista, che per caso ho ritrovato,  di cui oggi possiamo solo lamentarne la scomparsa.

martedì 13 novembre 2012

Milena Milani - EMILIA SULLA DIGA - Mondadori 1954 - Lire ottocento


Milena Milani, nata a Savona nel 1917. Scrittrice, pittrice, giornalista, poetessa. Una ragazza di novantacinque anni il prossimo 24 dicembre, una vagabonda che ha attraversato la seconda parte del '900 da protagonista nell'arte e nella letteratura.

Esordisce nel 1944 con un volume di poesie Ignoti furono i cieli, segue nel 1946 una raccolta di racconti  L'estate, è del 1947 il romanzo Storia di Anna Drei con il quale vince il Premio Mondadori 1948, segue il racconto lungo Gli orsi di Mera nel 1951, Uomo e donna del 1952, ancora un volume di poesie nel 1953 La ragazza di fronte, poi ancora dei racconti nel 1954 questi di Emilia sulla diga

Nel 1964 è la volta di La ragazza di nome Giulio, il suo libro più famoso, che suscitò scandalo nell'Italia perbenista e ipocrita di quegli anni, con conseguente blocco delle vendite, sequestro dei volumi distribuiti e una condanna nel 1966 a 6 mesi di reclusione e 100.000 di multa. L'assoluzione in appello non fu sufficiente a togliere alla Milani la reputazione di scrittrice pornografica.

Per chi fosse interessato ad approfondire la conoscenza di  questa sorprendente donna, c'è una bella intervista su questo sito:
            http://www.segniesensi.it/index.php?option=com_content&task=view&id=162&Itemid=31

Il racconto che da il titolo al libro, sono due paginette che mi piace trascrivere per fare, spero, cosa gradita ai lettori del blog, e per dare un'idea di questo  suo particolare linguaggio.
Emilia sulla diga
Nel periodo del gran caldo io ragionavo pochissimo. Emilia telefonava al mattino; erano appena le sette e incominciava a dire: "Sei pronta? Fai in dieci minuti, ti aspetto alla fermata in piazza."
Io ancora non ero pronta, ma bastava la sicurezza della voce di Emilia a scuotermi, così mi alzavo in fretta e ancora più rapidamente mi preparavo.  Prendevo la borsa di paglia dove entravano un mucchio di oggetti, tra cui il costume da bagno, lo specchio e un bellissimo pettine di tartaruga chiara, con i denti radi.
La frutta la comperavo nel negozio sotto casa, era frutta meravigliosa, appena arrivata dal mercato, e il padrone per sbalordirmi cercava per me la migliore, pesche enormi e tenere con la polpa gialla, susine anch'esse gialle e grosse che si disfacevano in bocca, certe albicocche che avevano un sapore di ananasso.
Arrivavo all'autobus che questo stava per partire, ma Emilia aveva convinto il conducente ad attendere ancora qualche minuto. Subito essa protestava che se l'avessimo perduto, avremmo dovuto attendere il successivo per oltre mezz'ora, ma io non replicavo; ascoltavo, senza dire una parola, tutte le parole di Emilia.
Essa pensava, ragionava, decideva anche per me.
Io avevo abbandonato me stessa nelle sue mani; Emilia diceva che per reagire al caldo si doveva andare al mare dalle prime ore del mattino, e se fosse dipeso esclusivamente da lei, e non ci fossero state difficoltà d'altro genere, come a esempio l'impossibilità di trovare alloggio proprio vicino alla spiaggia, il costo elevato di quelle abitazioni, essa mi avrebbe costretta a cercare casa da quelle parti.
Avevamo ottenuto quindici giorni di vacanza dal direttore dell'ufficio dove insieme lavoravamo, e quei quindici giorni li stavamo spendendo l'uno dietro l'altro, quasi fossero stati gli ultimi della nostra vita. Ognuno di essi, aveva, per questa nascosta ragione, una sua particolare bellezza, anche se in realtà assomigliava al precedente.
Io me ne accorgevo, ma il mio cervello, la mia mente erano spesso privi di consistenza, mi sembrava che il calore del sole si fosse avvicinato alla terra e si divertisse a bruciare i pensieri degli uomini.
Effettivamente questi uomini mi assomigliavano. e intendo dire che essi erano, come io ero, svagati, e anche svuotati; giacevano sulla sabbia in pose di abbandono, o nuotavano stancamente nel mare; le donne, i bambini avevano anch'essi perduto una parte della consueta vitalità, e tutto il giorno stavano all'ombra, con la testa coperta da un fazzoletto.
Emilia, no, al mare essa era diversa dagli altri; il suo sistema nervoso la rendeva simile a una scintilla, venuta fuori da un gran fuoco, e come una scintilla risplendeva, si agitava, piccola e scura di sole, con il suo costume rosso, e i capelli chiarissimi lunghi sul collo.
La ricordo qualche giorno fa, mentre correva sulla diga.
La gente riversa in riva al mare, non si muoveva per estrema stanchezza, il sole rendeva la sabbia come l'oro, il mare anch'esso oro fuso; spiccavano senz'ombra le capanne nel fondo, con le tende a righe.
Emilia si alzò di scatto, e mentre io dicevo: "Che cosa fai? Dove vai?" essa era già lontana.
Si era tolta i sandali per correre più svelta, li teneva con una mano, la diga bianca battuta dal sole doveva essere infuocata, ma Emilia non sentiva quel calore.
Pigramente io socchiudevo gli occhi e il mio cervello affascinato seguiva quei movimenti leggeri, quel piccolo punto rosso che era Emilia, le gambe di Emilia che correvano.
Poi dietro le mie ciglia, incominciarono a danzare punti colorati, erano gialli, rossi, arancione, blu; il sole mi invadeva gli occhi, penetrava sotto le palpebre.
Allora, veramente, non ho più ragionato, è caduto il sonno su di me; non ero che un corpo in riva al mare.

sabato 10 novembre 2012

Juan Rulfo - PEDRO PÁRAMO - Einaudi 2011 - Traduzione Paolo Collo - € 12,50



Ci sono autori la cui importanza è inversamente proporzionata al numero delle opere pubblicate. Prendiamo ad esempio Sherwood Anderson. Con il suo Winesburg, Ohio, (Racconti dell'Ohio, in italiano) ha influenzato una generazione di scrittori da Emingway a Faulkner, da Steinbeck a Wolfe, ad altri ancora.

Analogamente, Juan Rulfo (1917-1986) considerato il maggiore scrittore messicano del novecento, ha pubblicato  in vita solo due romanzi,  La pianura in fiamme (1953) e questo Pedro Pàramo (1955), ma ha orientato con la sua scrittura una schiera di narratori che, con l'ostinata abitudine occidentale di etichettare tutto, abbiamo definito del realismo magico.

In terza di copertina, Gabriel Garcia Marquez così racconta il suo incontro con questo incredibile romanzo:
Álvaro Mutis salì a grandi falcate i sette piani di casa mia con un pacco di libri, separò dal mucchio il più piccolo e mi disse ridendo forte: "Leggi questa sciocchezza, cazzo, e impara!" Era Pedro Pàramo. Quella notte non riuscii a dormire prima di aver finito di leggerlo per la seconda volta.


La singolarità di questo romanzo che lo rende così particolare, è dato dalla  sistematica violazione della cronologia temporale, come se passato e presente fossero amalgamati inestricabilmente.

Così inizia il romanzo:


Venni a Comala perché mi avevano detto che mio padre, un tal Pedro Pàramo, abitava qui. Me lo disse mia madre. E io le avevo promesso che sarei venuto a trovarlo quando lei fosse morta. Le avevo stretto le mani per farle capire che l'avrei fatto; lei aveva deciso di morire e io di prometterle qualsiasi cosa. "Non mancare di fargli visita, - mi raccomandò. - Si chiama così e cosà. Sono sicura che gli farà piacere conoscerti". Per cui non potei far altra cosa che dirle che l'avrei fatto, glielo assicurai e continuai a dirglielo anche dopo che alle mie mani costò fatica liberarsi dalle sue mani morte.
Il viaggio onirico di Juan Precìado alla ricerca del padre, ricostruisce il paese Comala - una Macondo ante litteram - con i suoi abitanti che vivono o muoiono in un tempo circolare, dove presente e passato sembrano coincidere.

Infatti, la chiave di lettura si trovi qualche riga più avanti, quando aggiunge:

Ma non pensai a mantenere la promessa. Fino a ora, quando cominciai a sognare, a far volare le illusioni. E in questo modo prese forma un mondo intorno all'aspettativa rappresentata da quel signore chiamato Pedro Pàramo, il marito di mia madre. Per questo venni a Comala.

Devo un ringraziamento veramente speciale  all'amica Elisabeth San Juan-San Juan che mi ha fatto conoscere questo autore, suo connazionale, facendomi  dono di quest'opera geniale, edita dalla Fondaciòn Juan Rulfo,  che per una maggiore comprensione ho integrato con l'ultima traduzione italiana (ne esistono ben tre di traduzioni italiane!), questa per  Einaudi di Paolo Collo.



Interessanti le 40 copertine delle traduzioni dell'opera di Rulfo in tutto il mondo:



mercoledì 7 novembre 2012

Mario Schettini - I RAGAZZI DI MILANO - La Medusa degli italiani n. 103 - A.M.E. 1956 - £ 1.000


La Medusa è la storica collana che fece conoscere agli italiani tanti autori stranieri, che il regime fascista voleva mantenere fuori dai nostri confini culturali: Arnoldo Mondadori, da quel grande editore che era, riuscì a realizzare questo grande  progetto facendone un successo anche economico.

Dopo la guerra, nel 1947, Mondadori estese il progetto agli scrittori italiani creando La Medusa degli italiani che continuò le pubblicazioni fino al 1961.

Questi ragazzi di Milano sono i rampolli della borghesia industriale, nati intorno agli anni venti del novecento e cresciuti nella società creata dal fascismo, anzi abituati ad identificare il fascismo con lo Stato.  Ma i romanzo non parla di fascismo, la prima parte del libro si occupa essenzialmente dei sentimenti di questi ragazzi, dei difficili rapporti tra coetanei e con il mondo adulto, una panoramica di quel periodo difficile della vita che solo un inveterato ottimismo può definire felice, cioé l'adolescenza. 

Questo l'incipit:

Il lago di fronte al collegio era astratto. Nessuno ci faceva caso. Pareva vuoto, senza una percettibile profondità come un colore del cielo. Sotto il sole splendeva assente e distaccato, tanto che i ragazzi del collegio guardavano sempre un po' meravigliati le onde che si rinfrangevano contro la riva, come se l'acqua ribollisse all'improvviso. I fiori sulla riva di cemento erano sgargianti, vellutati, diritti entro le aiuole. Era un paesaggio ricco e composto, ma sfuggiva a ogni emozione. Paolo aveva l'impressione di non toccare niente con mano: gli alberghi massicci, le ville, i prati pettinati,  gli alberi, avevano la stessa cristallina freddezza dei monti azzurri che spuntavano dietro la riva opposta del lago.
Eva e Paolo, uniti da una loro intima solitudine e da un identico sentimento di evasione, non riescono a infondere alla loro breve storia quel calore in grado di trasformarla in amore salvifico.

Eva amava la sua spiccata femminilità. Ne era orgogliosa. Ma nessuno doveva fargliela notare. I compagni con i quali si dimostrava così impaziente d'amore, non ne accennavano mai, l'avrebbero offesa duramente. Era ormai un'amante perfetta. Ma guai a dirlo!
E poi l'Italia entra in guerra:

Cominciarono le vacanze. All'ansia, alle preoccupazioni dei primi giorni di guerra, nella comitiva dei ragazzi era subemtrata una dolce inerzia, una tranquilla attesa. E anche partire, viaggiare, farsi i bagni come ogni estate, pareva inutile. Non c'era più niente che potesse interessare, allettare oltre la guerra: avevano voglia di divertirsi, ma come per ingannare il tempo. Non che la guerra piacesse. Ma la guerra imponeva una severità che non avevano sentito prima in ness'altra norma. Il tempo passava solo per la guerra. Non restava che un'attesa indifferente, irresponsabile. Tutta la vita dipendeva da circostanze estranee alla propria volontà.
Nella seconda parte il protagonista, dopo l'esperienza della guerra, ritorna in una Milano profondamente mutata, rivede i vecchi compagni, ripensa la vicenda di Eva, il collegio, l'infanzia e qui il racconto si interiorizza fino a farsi memoria.

giovedì 1 novembre 2012

Almudena Grandes - LE ETA' DI LULU' - Guanda 1990 - £ 20.000



Che i generi letterari non esistano e che siano solo schemi di comodo che l'intelletto introduce facendo opera di classificazione, estranea in quanto tale, all'arte, e che si tratti quindi di una indebita intrusione della categoria logica in quella estetica, è cosa arcinota, nondimeno alcuni noti romanzi, forse arbitrariamente, continuano ad essere classificati come facenti parte del genere erotico. Semplificazioni del settore vendite per attirare lettori o il genere esiste, con buona pace di Don Benedetto?

Quando finalmente in italia nel 1960 Mondadori finalmente pubblicò L'amante di Lady Chatterley - l'ho già ricordato in un post di qualche tempo fa - arrivò la Questura nei magazzini  a sequestrare tutti i volumi invenduti, lo stesso accadde qualche mese dopo per Cioccolata a colazione di Pamela Moore, ma questo non fece altro che aumentare le richieste, sicché quando un tribunale poco dopo ne ammise la distribuzione, le vendite raggiunsero vette impensabili, come è sempre accaduto da Gutenberg in poi  (che prima  provvedevano dissoluti copisti per arrotondare).

La differenza tra uno scritto erotico da uno pornografico è chiaramente risolto da un aforisma di Marcuse, che definisce il primo sesso celebrativo e il secondo sesso masturbatorio.

Ma come altrimenti definire questo romanzo di esordio di Almudena Grandes, che segue la via tracciata da  Histoire d'O di Pauline Réageè  del 1954, ma anche da Emmanuelle della Arsan del 1967, se non  romanzo erotico, per la centralità che la sessualità assume, anche nei suoi aspetti più trasgressivi, nelle vicende dei protagonisti, la quindicenne Lulù e il quasi trentenne Pablo, nella cupa Madrid franchista?

A lui piaceva, però. Mentre ascoltavo i suoi gemiti smorzati e accompagnavo i suoi movimenti con la testa, per evitare la nausea che mi scuoteva quando rimanevo ferma, cercavo di secernere più saliva possibile per spingere giu l'ultima dose, come con i cavolini di Bruxelles, che sanno di marcio, e pensavo che a lui piaceva, in ultima analisi, e mi veniva in mente una delle eterne giaculatorie di Carmela, la tata che mia madre si era portata in dote al matrimonio, una vecchia bigotta e puzzolente, piena di arteriosclerosi, ormai completamente rimbecillita, che ripeteva sempre come un fantasma nel corridoio, il Signore ce la dà e il Signore ce la toglie, con l' "ABC" in mano, aperto alla pagine degli annunci mortuari e dei "Grazie, Spirito Santo", il Signore ce la dà e il Signore ce la toglie, lui me lo dà e lui me lo toglie, va bene, si chiude il ciclo, tutto inizia e si chiude nello stesso posto, a lui piace e va bene così.

Se l'etichetta di romanzo erotico funziona come accelleratore di vendite, d'altra parte, e in un certo, senso, svilisce l'opera ingabbiandola in un sottogenere che tende ad offuscarne il valore letterario.

Potrebbe essere interessante analizzare i motivi che vedono attualmente solo autrici femminile cimentarsi in romanzi erotici, dopo che per anni anche questo terreno era dominio  maschile. Ce ne da una spiegazione la stessa Almudena Grande:
"Quello femminile, il punto di vista delle donne su sesso e sensualità, non era rappresentato perché la letteratura, come tante altre cose, è stato un ambito maschile per tanti anni ed erano gli uomini a mostrare la prospettiva dell'erotismo anche dal punto di vista delle donne. Presentavano miti sulla sessualità femminile in un modo che noi non possiamo condividere proprio perché eravamo le protagoniste mute. Questo è un atteggiamento che credo che non esista più."

Ce n'è abbastanza per accendere un interesse.......anche nei lettori più puritani.