martedì 27 gennaio 2015

NUOVI ARGOMENTI - Trimestrale diretto da Alberto Moravia Leonardo Sciascia Enzo Siciliano - Terza Serie - Luglio Settembre 1988 - Arnoldo Mondadori Editore - £ 8.000


La storia di questa rivista, NUOVI ARGOMENTI, è totalmente inserita nella storia culturale del nostro paese, dalla fine della seconda guerra mondiale ai nostri giorni. 

Fondata nel 1953 da Alberto Carocci (1904-1972) e Alberto Moravia (1907-1990), di ispirazione di sinistra, come Temps Modernes di Sartre in Francia, ospita scritti di Arbasino, Bassani, Bianciardi, Bobbio, Calvino (che pubblica La nuvola di Smog e il Diario americano) Cassola, Ginzburg, Fenoglio, Maraini, Montale, Morante, Ortese, Ottieri, Piovene, Pratolini, Raboni, Rea, Vittorini, Zolla: cioé i più bei nomi della cultura italiana.  

La rivista sarà diretta, in tempi diversi, da Moravia, Pasolini, Siciliano, Bertolucci (il poeta), Sciascia, Furio Colombo, La Capria, Dacia Maraini.......

In questo numero sono presentate, per la prima volta, una serie di fotografie scattate da Silvio D'Amico (1887-1955) nel palazzetto costruito dalla sua famiglia e soggetto di quel bellissimo romanzo, Le finestre di piazza Navona, ricordato in questo link: http://giorgio-illettoreimpenitente.blogspot.it/2010/01/i-libri-della-memoria-seconda-parte.html
 

Un palazzo costruito a metà degli anni Ottanta dell'Ottocento, di proprietà della famiglia d'Amico. Il costruttore fu uno zio del padre di Silvio d'Amico: Domenico "maestro d'arte" e stuccatore.
Silvio d'Amico, in quel palazzo, ci è nato, ci è vissuto e c'è morto. Lo ha abitato con la sua famiglia, per dir così, tutto dal mezzanino al quarto piano.
In cima al palazzo, oltre il quinto piano, c'era una grande terrazza, con le fontane - come usava - per il bucato di casa. Sulla terrazza, tutti i ragazzi di quella grande famiglia passavano, tempo permettendo, le ore di svago. Ci facevano il teatrino, Silvio aveva messo su una filodrammatica familiare e vi recitava. I suoi figli ci andarono con le automobiline a pedali e ci si divertirono in tutti i modi innocenti con cui i ragazzini di decenni fa si divertivano.
Fotografo appassionato, Silvio scattò istantanee di quella vita, e non soltanto di quella.
Dall'archivio fotografico d'Amico, in possesso del figlio Alessandro, abbiamo scelto alcune di quelle pose (lastre e negativi mirabilmente ristampati da Pasquale de Antonis) che riguardano la terrazza ormai sparita, coperta parzialmente da una sopraelevazione condonata.















 

sabato 24 gennaio 2015

Oscar Wilde - IL RITRATTO DI DORIAN GRAY - Tre traduzioni a confronto -


Ho in casa tre edizioni del Dorian Gray di Oscar Wilde (1854-1900): la prima dell'Editrice Bietti è del 1933, però è stata acquistata usata il 10 giugno del 1948, come scritto a penna nel risguardo; la seconda del Club degli Editori acquistata nel 1964, e infine quella de I Meridiani, che è del 1982. 



L'incipit dell'edizione Bietti, che non indica il traduttore:
Lo studio rigurgitava d'un violento profumo di rose, e ogni volta che un leggero fiato estivo soffiava tra gli alberi del giardino, dalla porta spalancata entrava l'acuta fragranza dei lillà e il sottilissimo profumo delle eglantine.


 Versione Emanuele Grassi e Frida Ballini, del Club degli Editori:

Lo studio era pieno dell'odore delle rose, e quando la brezza estiva passava tra gli alberi del giardino, penetrava dalla porta aperta il profumo pesante del glicine o la fragranza più delicata del biancospino.


Versione Masolino D'Amico, Meridiani:

Lo studio era intriso d'uno splendido odore di rose e quando la lieve brezza estiva frusciava tra gli alberi del giardino, dalla porta aperta penetrava il pesante profumo delle serenelle, o quello più delicato dei rosaspini.

La prima impressione che si ricava dal raffronto dei tre incipit, è che la descrizione riguardi tre giardini diversi, con in comune la sola presenza delle rose. 

Gli altri fiori, il cui profumo entra dalla porta aperta sono: lillà e eglantine nel primo caso; glicine e biancospino nel secondo; serenelle e rosaspini nel terzo.  L'intruso è il glicine che non c'entra niente con  lillà o serenelle, entrambi i nomi si riferiscono infatti alla Syringa vulgaris; biancospino o rosaspina è lo stesso che eglantine, (che vuol dire spinoso) e che è una normale Rosa rubiginosa, arbusto selvatico delle rosaceae. 

 

lunedì 19 gennaio 2015

Matthias Seefelder - OPPIO - Storia di una droga dagli Egizi a oggi - Garzanti 1990 - £ 19.000


Matthias Seefelder (1920-2001), autore di questo interessante studio sull'Oppio, è un eclettico personaggio con vaste competenze scentifiche e umanistiche, che nel corso della sua vita professionale è riuscito a scalare la struttura aziendale della più grande azienda chimica tedesca, la BASF, da semplice ricercatore a Presidente.

Tra le tante sue pubblicazioni scientifiche, molto successo ebbe questo sorprendente libro di divulgazione, per l'ampiezza degli ambiti nei quali  svolse la ricerca: da quello storico-mitologico, a quello botanico e chimico-farmacologico, una carrellata completa sul fiore di Demetra e sul suo derivato, l'oppio.


Moltissimi i riferimenti ai classici greci e romani; questo in uno scritto di Plinio il Vecchio, 
sembrano le istruzioni destinate ad un moderno raccoglitore di oppio:


Dal papavero nero si estrae un liquido che fa dormire se all'ora terza di una giornata senza nuvole, cioé quando la rugiada che lo ricopre si è asciugata, si incide il gambo, come consiglia Diagora, quando è ancora in crescita,  o come dice Jollas, quando fiorisce. Si raccomanda di inciderlo tra la testa e la capsula.... Il succo viene raccolta pianta per pianta con una lama o se è poco con l'unghia del pollice..... Questa sostanza non ha solo il potere di provocare il sonno, ma se presa in grande quantità causa addirittura la morte nel sonno. Oppium è il suo nome.


Analgesico, narcotico impiegato nei riti misterici, droga mortale: il seme del papavero è noto fin dai tempi più antichi. Se ne trovano i primi indizi nelle tradizioni degli egizi e dei Greci (a Demetra risale per l'appunto uno dei più antichi attestati delle virtù terapeutiche dell'oppio), dei Romani (dove l'oppio viene impiegato anche come veleno) fino al Medioevo (quando la diffusione dell'oppio si propaga all'intero bacino del Mediterraneo e di qui in Cina).



Non sfugge all'autore un dettagliato esame della farmacopea in epoca rinascimentale, con un ampio spazio riservato a Paracelso (1493-1541), medico, alchimista e astrologo svizzero, inventore tra l'altro del Laudano, composto a base di alcol e oppio 




Nell'ottocento l'oppio diviene poi protagonista e causa di ben due conflitti tra Cina e Gran Bretagna, quelli del 1839-1842 e poi del 1856-1860. Con la nostra mentalità di occidentali, portatori di civiltà per definizione, potremmo essere indotti a pensare che l'austera Regina Vittoria avesse fatto guerra per stroncare il commercio dell'oppio del depravati cinesi. Sbagliato, è esattamente il contrario: la Regina Vittoria fece due guerre per imporre alla Cina di aprire i suoi porti, e anche costruirne degli altri, per farvi arrivare l'oppio prodotto dall'India, allora colonia britanica e ottenere con la forza la concessione di Hong Kong.

Un capitolo particolarmente ricco di aneddoti è quello dedicato al rapporto tra oppio  e i suoi derivati con  l'arte in genere: poeti, scrittori, musicisti e cantanti rock.


Christopher Marlowe (1564-1593) nel suo Jew of Malta cita la bevanda saporifera che contiene papavero:
Bevvi del papavero e del succo di mandragola.
Quando dormivo, pensavano che fossi morto del tutto. 
Shakespeare (1564-1616), che soffriva di insonnia e ritorna perciò spesso sui sonniferi, conosceva molto bene la materia. Jago, che già ha portato Otello al culmine dell'esasperazione con parole che hanno eccitato la sua gelosia, così dice della sua vittima:
 
Non papavero né mandragola
né tutte le linfe naturali del sonno
possono farti dolcemente addormentare
in quel sonno che fino a ieri era tuo.

Tra i più famosi, abituali consumatori di oppio, troviamo Walter Scott (1771-1832), Samuel Tylor Coleridge (1772-1834), Edgar Allan Poe (1809-1849), John Keats (1795-1821), Thomas de Quincey (1785-1859), che per la prima volta, raccontava senza pudore, ma anzi compiacendosene, del suo intimo rapporto con l'oppio e, nella sua opera Le confessioni di un mangiatore di oppio del 1821, descriveva il piacere che provava nello stato di ebbrezza:

O giusto, misterioso e potente oppio che ai cuori del poveri e dei ricchi, senza differenza, per le ferite insanabili e per le pene che rendono lo spirito della rivolta, porti un balsamo di pace! (......)
Questo linguaggio altisonante non poteva non spingere molti lettori a seguire abbagliati la stessa strada del poeta. (....) Ormai non era più necessario parlare di un qualsiasi dolore, che fosse stato causa del primo incontro con l'oppio, per giustificare il suo successivo consumo. La motivazione del piacere poteva essere invocata senza veli.
E ancora i poeti inglesi: Lord Byron (1788-1824), Percy Shelley (1792-1822), sua moglie Mary Godwin (1797-1851), Francis Thompson (1859-1907); e i francesi Charles Baudelaire (1821-1867) e Jean Cocteau (1889-1963), e giù giù fino ai nostri idoli musicali: The Doors, The beatles, The Rolling Stones, Elvis Presley, Janis Joplin.

Molto spazio viene dedicato al punto di vista della scienza e alla ricerca farmacologica.

In appendice, oltre i dati di produzione del prodotto, curiose ricette a base di oppio da antichi codici medievali.

Così conclude Seefelder :

Presi come siamo dall'ansia di una nuova  e terribile era della droga, ci dimentichiamo quasi che un tempo Demetra, la Madre della Terra, ha donato il meconio(1) agli uomini per lenire le sofferenze e togliere il pungolo del dolore. Ma è la Maga Circe che sembra dominare la nostra vita quotidiana. Essa ammalia gli uomini e li fa disponibili ai suoi voleri. Li trasforma fino a rendere irriconoscibile il loro volto. Solo quando gli uomini, come il navigatore Ulisse, avranno imparato a resistere a questo incantesimo e volgeranno  lo sguardo lontano da quegli orizzonti fatti di sogni per desiderare l'imediato, sarà allora che la società moderna riuscirà a risolvere il problema della droga. 
 (1) succo denso che si ricava incidendo la capsula del papavero
   
Che è come dire: Campa cavallo che l'erba, in questo caso il Papavero, cresce.
 

mercoledì 14 gennaio 2015

SCENARIO - Lo Spettacolo Italiano - Rivista Mensile delle Arti della Scena - Luglio 1939 - £ 3




Nelle giornate uggiose cosa c'è di meglio che rovistare in vecchi scatoloni, dove la mania conservativa ha tesaurizzato scampoli di passato, sotto forma di libri, giornali, riviste, fumetti, ricordi e scampoli di vita.

Oggi la ricerca ha riportato alla luce due numeri di una rivista di spettacolo, a dimostrazione che anche in periodi difficili, in famiglia, giustamente, non ci si è mai privati del superfluo!

SCENARIO è la storica rivista fondata da Silvio D'Amico nel 1932 e che diresse fino al 1936 con Nicola De Pirro. La copia del luglio 1939 ha in copertina una bella foto di Evi Maltagliati (1908-1986)

Notare la differenza grafica del titolo della rivista, che, nell'edizione del 1939 ha una sua eleganza formale, mentre in quella del 1943, forse per quello che stava passando l'Italia in quel momento,  la scelta del carattere è pesante e funerea, in linea con le demenziali scritte osannanti il regime ormai alla fine.



Il primo articolo annuncia l'apertura delle Terme di Caracalla agli spettacoli con parole entusiastiche tipiche dell'epoca:


Gli spettacoli alle Terme di Caracalla, che superando la loro natura artistica, assurgono ad un vero e proprio avvenimento di carattere sociale e politico, hanno avuto inizio il 4 luglio e si protraranno, fra le acclamazioni entusiastiche e la commossa ammirazione del popolo festante, fino al 20 agosto.
La geniale idea del Duce - sempre sensibile alla voce del popolo ed ai palpiti del suocuore, pronto sempre ad andare con franco sorriso e profonda comprensione verso la massa - non amorfa ed incolta, ma forgiata nel clima nuovo di volontà, di disciplina, di educazione spirituale - è stata sviluppata e realizzata in Roma, per opera del Governatore, in maniera perfetta. (.....)

Nella seconda pagina troviamo il sommario e scopriamo che l'editore è Rizzoli, ma nella storia della rivista c'è stato anche Mondadori ed altri editori.


Un interessante editoriale del direttore Nicola de Pirro sulle origini del teatro, che fascisticamente conclude, (né avrebbe potuto concludere in modo diverso):

Un teatro può anche richiamare a sè le folle e muoverle e commuoverle senza peraltro avere la sua essenziale socialità; così come non l'ha oggi il cinematografo. Ma quando un teatro è l'espressione idealmente concreta di un organismo sociale unitario e coesivo e nasce da un mondo spirituale mosso da impulsi storicamente direttivi e totali, allora esso trova veramente la sua vera ed intima ragionecome fenomeno di vita e come arte.


Un ironico articolo di Vittorio De Sica, come recita il titolo, in bilico tra cinema e teatro, non in grado di scegliere - così dice - a quale delle due arti dedicarsi, lamentando la scarsezza del repertorio disponibile per il palcoscenico e la ripetitività dei ruoli offerti per il cinema, scrive:


Io, per esempio, sono stanco di interpretare la solita parte di buon ragazzone ben voluto dalle donne, ma un po' disgraziato nella vita a causa della sua ingenuità incorreggibile. Ardo dal desiderio di provarmi in opere di mole più importante, in parti più consistenti e artisticamente più vaste.








Di seguito alcune pagine della rivista, tutte interessanti per gli argomenti trattati, ma irresistibili nelle immagini pubblicitarie, quelle pienamente in grado di dare l'autentico sapore dell'epoca.