giovedì 20 settembre 2012

Gaia Servadio - DON GIOVANNI - L'AZIONE CONSISTE - Feltrinelli 1968 - £ 1.500



Nello scaffale della Coop di Genzano dedicato ai libri abbandonati, ho trovato questo stranissimo esperimento editoriale della Feltrinelli datato 1968, una sorta di libro bifronte: da una parte il romanzo Don Giovanni e, capovolgendo il volume, l'altro romanzo, L'azione consiste. Vederlo e farlo mio è stata questione di un attimo.

Non conosco l'autrice, apro il volume e trovo una sua paradossale biografia che vale la pena  riprodurre:





Troppo divertente! A questo punto l'interesse per lo strano libro aumenta enormemente, ma anche per la sua originale autrice.

Chi è Gaia Servadio?

 Basta rovesciare il libro è c'è la sua vera biografia. Così apprendiamo che Gaia Servadio è nata nel 1938 e risiede a Londra  dove, dopo la laurea sposa William Mostyn-Owen, storico dell'arte e assistente di Bernard Berenson. Giornalista eclettica, collabora a "Il Mondo", "L'Espresso", "Il Caffè", "La Gazzetta di Parma", "Il Corriere della Sera", "La Stampa ", "La Fiera Letteraria", "The Daily Telegraph", alla "BBC Television", alla "BBC italiana" e alla RAI. Ha esordito con il romanzo Tanto gentile e tanto onesta (1967), tradotto in molti paesi, Un'infanzia diversa (1988), Il lamento di Arianna (1988), La storia di R. (1990), E i morti non sanno (2005). Nella saggistica: Luchino Visconti (1984), La donna nel Rinascimento (1986), Mozia. Alla scoperta di una civiltà scomparsa (2003)

L'azione consiste
è la storia di due romanzi in divenire. Salomè, la moglie, scrittrice di successo, alla continua ricerca del romanzo perfetto, descrive la propria vita in appunti pieni di dettagli e di calcolate bugie, ben sapendo che il marito li leggerà. Il marito, un pigro intellettuale,  impegnato in una interminabile traduzione di Milton, legge e chiosa gli appunti della moglie, filtrando ciò che è vero da ciò che è narrazione.


Dagli appunti di Salonè:


Descrivere il marito della protagonista. E' biondo e basso. Assomiglia fisicamente ad un tenore wagneriano, in magro. Non è un personaggio importante e la relazione tra lui e la protagonista non è mai descritta. Lei ricorderà, mentre gli telefona, di come si sono incontrati e di cosa si dicono, in genere. Gli dirà che ha degli affari da discutere con il suo editore e non può tornare a colazione. Sarà a casa tardi perché poi deve andare a farsi fare delle fotografie.

Mentre il marito,  ma è lui il vero protagonista del romanzo? (perché nella narrativa chi scrive in prima persona  è protagonista), così annota:
Intanto descrivermi in questo modo. Sono biondo ma non somiglio affatto a un tenore wagneriano. Comunque Salomé non è mai stata all'opera in vita sua. Lo sapevo benissimo quando mi ha telefonato. Questo editore che tira sempre in ballo non avrebbe tempo di pubblicare un solo libro se davvero la portasse fuori ogni cinque minuti. Non che mi sia dispiaciuto. Quando lei non c'è riesco sempre a lavorare. A meno che Salomé non stia scrivendo un libro come adesso. Allora mi diverte leggermelo, così so esattamente cosa ha fatto. Il guaio è che non fa altro che scrivere libri. La telefonata con me non la descrive neanche.
Bisogna che io sia preciso e dica subito che questo non è un diario. I diari non si scrivono più e comunque quelli veri si buttano via. Questi, invece, sono pensieri che trascrivo.
Figuriamoci, un diario non lo potrebbe mai essere. Nè potrebbe essere una lettera. Pensavo che se avessi potuto corrispondere con amici avrei potuto fotocopiare i pezzi salienti dei brogliacci di Salomé, e mandare i fogli. E così sarebbe saltato fuori "il romanzo". Per eccellenza, quello non stampato. Ma con un lettore anonimo si arriva a un linguaggio più coerente. Più di finzione, se vogliamo. Ma il mio rapporto con Salomé è teatrale, quindi va benissimo.

Era il 1968, con la fine del neorealismo si andavano affermando linguaggi  che abolivano di fatto le forme  tradizionali della narrazione, questo della Servadio ne è un esempio mirabile.

Don Giovanni,  è una trasposizione moderna dal libretto di  Da Ponte, che sarebbe interessante far leggere a quel genio della regia teatrale di Carsen che ha curato una discutibile regia del Don Giovanni all'inaugurazione della Scala,  pensando di fare una cosa molto moderna. Il Don Giovanni di Gaia Servadio è del 1968 cioé di quarantacinque anni fa!

Nel complesso un libro sorprendentemente stimolante.

martedì 18 settembre 2012

Francesca Duranti - LIETO FINE - Rizzoli - 1986


Una lettura fresca, come un bicchiere d'acqua quando hai sete, come una ventata improvvisa che scompiglia i capelli, come un libro ottimista che costruisce una storia in cui il lieto fine è la conclusione non scontata, ma naturale.

Da un po' di tempo sono attratto dalla narrativa al femminile, mi sembra di scorgervi meno disperazione e un qualche elemento in più di speranza per i poveri personaggi che animano la narrativa contemporanea. 

 Mia madre bevve l'ultimo goccio di caffe, e con i gomiti appoggiati sul tavolo tenne sollevata la tazza, a metà strada tra i suoi occhi e i miei. Era una tazza di terraglia bianca con una striscia verdina, di quel colore che sembra scelto deliberatamente per dare un'ulteriuore impronta di desolazione a tutto ciò che - pubblico o privato - è comunque povero: zoccoli verniciati nelle bettole più squallide, porte di gelide aule scolastiche, moscaiole in legno e rete metallica rugginosa per contenere cibi sciatti e insufficienti. E' il colore della miseria, e per un certo periodo, subito dopo la guerra, divenne assurdamente di moda, con il nome di "verde pennicellina"

Falsario in gioventù e mercante d'arte di successo nella maturità, Aldo esce brillantemente dalla miseria cui sembrava destinato e ora può osservare, dall'alto della sua villa, la vita che si svolge nelle altre tre ville che sorgono nello stesso complesso, appartenenti alla stessa famiglia di cui vorrebbe far parte.


Sono alla finestra della mia torre guardando il parco Santini, attendendo che accada qualcosa, che lo spettacolo abbia inizio.
Certo sono in grande anticipo - cosa mai può avvenire in quest'ora bruciata? Ma non ho fretta. Il sole, il vino bianco bevuto alla piscina hanno dilatato i miei processi mentali ed essi si svolgono ora con movimenti rallentati, pigramente subacquei e in forma di spirale, sempre riavvolgendosi lungo il proprio percorso ma senza mai ritrovarsi allo stesso punto.
Una commedia brillante animata da personaggi originali, raccontati con affettuosa ironia e grande sensibilità stilistica, che ne fanno una lettura partricolarmente gradevole.

mercoledì 12 settembre 2012

Milan Kundera - L'IGNORANZA - Gli Adelphi 2005 - € 8,00


L'ignoranza cui allude Milan Kundera non ha niente a che fare con quella forma di conformismo  che ha portato decine di migliaia di persone in libreria a comprare lo stesso romanzaccio del nuovo genere, il cosiddetto mommy-porn, spinte da un pruriginoso passaparola. 

L'ignoranza a cui fa riferimento Milan Kundera è quella che determina la nostalgia (nóstos: ritorno, álgos: sofferenza), del non sapere cosa ne è della persona cara, cosa succede nel paese lontano.

Mi piace come scrive Milan Kundera, come riesce ad imbastire storie interessanti, anche trattando su quell'unico argomento che per decine di romanzi sembra averlo completamente assorbito, e cioè l'esilio, la lontananza dalla patria,  l'impossibilità del ritorno, ma sempre spaziando in tutte le direzioni, con digressioni di carattere letterario, filosofico, storico o musicale.

L'Odissea, l'epopea fondatrice della nostalgia, è nata agli albori dell'antica cultura greca. Va sottolineato: Ulisse, il più grande avventuriero di tutti i tempi, è anche il più grande nostalgico. Partì (senza grande piacere) per la guerra di Troia e vi rimase dieci anni. Poi si affrettò a tornare alla natia Itaca, ma gli intrighi degli dèi prolungarono il suo periplo, dapprima di tre anni pieni dei più bizzarri avvenimenti, poi di altri sette, che trascorse, ostaggio e amante, presso la dea Calipso, la quale, innamorata, non lo lasciava andar via dalla sua isola.
Nel quinto canto dell'Odissea, Ulisse le dice: "So anch'io, e molto bene, che a tuo confronto la saggia Penelope per aspetto e grandezza non val niente a vederla..... Ma anche così desidero e invoco ogni giorno di tornarmene a casa, vedere il ritorno". E Omero prosegue: "Così diceva: e il sole s'immerse e venne giù l'ombra: entrando allora sotto la grotta profonda l'amore godettero, stesi vicino uno all'altra".
 E ancora:
Non c'è niente da fare. Omero rese gloria alla nostalgia con una corona d'alloro e stabilì in tal modo una gerarchia morale dei sentimenti. Penelope sta in cima, molto al di sopra di Calipso.
Calipso, oh Calipso! Penso spesso a lei. Ha amato Ulisse. Hanno vissuto insieme sette anni. Non sappiamo per quanto tempo Ulisse avesse condiviso il letto di Penelope, ma certo non così a lungo. Eppure tutti esaltano il dolore di Penelope e irridono alle lacrime di Calipso.

Il romanzo racconta l'incontro casuale di Sylvie e Josef, due esuli cecoslovacchi, mentre tornano in patria, le loro storie diverse, le ragioni dell'esilio e l'impossibilità di stabilire un rapporto, anche perché dopo una lunga assenza "i loro ricordi non si somigliano".