giovedì 28 marzo 2013

Gabriel Garcìa Márquez - IL GENERALE NEL SUO LABIRINTO - Mondadori 1989 - £ 27.000



Il generale del titolo non è Aureliano Buendia, ma la personalità politica più carismatica dell' America Latina, dal Mexico a Capo Horn, combattente per la libertà di un intero continente, colui che si è guadagnato il titolo di  el Libertador, lottando contro la corona spagnola prima e per tutta la vita alla realizzazione di un'utopia: unificare in una federazione tutti gli stati dell'America del sud: Simón José Antonio de la Santísima Trinidad Bolívar y Palacios de Aguirre, Ponte-Andrade y Blanco, noto come Simón Bolívar (1783-1830).

Della grande venerazione dei venezolani per Simon Bolivar ebbi un'imbarazzante dimostrazione durante la mia permanenza in Porlamar, Isla Margarita, quando, attraversando in diagonale un giardino al centro della cittadina, venni bruscamente bloccato, redarguito e rimandato indietro per fare il giro completo della piazza, da una poliziotta. Ma quale colpa avevo commesso? Proseguendo nell'attraversamento mi sarei trovato sotto la statua di Simon Bolivar in pantaloncini corti e con due buste della spesa nelle mani, che rappresenta una grave mancanza di rispetto.  Venerazione formale, forse, ma la forma non è anche sostanza?

Garcìa Màrquez della lunga e avventurosa vita di Simon Bolivar, prende in esame l'ultimo, misterioso viaggio lungo il fiume Magdalena, quando, a seguito della sua rinuncia alla presidenza della Colombia nel 1830, malato e amareggiato per i continui tentativi dei suoi nemici di disfare quanto da lui faticosamente costruito, pensa  di lasciare il paese ed esiliarsi in Francia.


Questo l'incipit:
José Palios, il suo domestico più antico, lo trovò che galleggiava sulle acque depurative della vasca da bagno, nudo e con gli occhi aperti, e credette che fosse annegato. Sapeva che era uno dei suoi molti metodi per meditare, ma lo stato di estasi in cui giaceva alla deriva sembrava quello di chi non appartiene più a questo mondo. Non si azzardò ad avvicinarsi, ma lo chiamò con voce sorda secondo l'ordine di svegliarlo quando non fossero ancora le cinque per mettersi in marcia alle prime luci. Il generale emerse dalla màlia, e vide nella penombra gli occhi azzurri e diafani, i capelli crespi color scoiattolo, la maestà impavida del suo maggiordomo di tutti i giorni che reggeva in mano la ciotola dell'infuso di papavero con gomma arabica. Il generale strinse senza forza le anse della vasca da bagno, ed emerse dalle acque medicinali in uno slancio da delfino che non ci si sarebbe aspettati da un corpo così infiacchito.


Nel raccontare il disagevole viaggio lungo il fiume Magdalena, Garcìa Márquez ricostruisce le fasi salienti dell'azione politica del generale e i continui intralci frapposti dai suoi nemici - sia quelli palesi che quelli occulti - per neutralizzarne gli effetti.



Il sogno del generale cominciò a cadere a pezzì lo stesso giorno in cui culminò. Aveva appena fondato la Bolivia e concluso la riorganizzazione istituzionale del Perù, quando dovette ritornare di gran carriera a Santa Fe, richiamato dai primi tentativi separatisti del generale Pàez nel Venezuela e dai calappi politici di Santander nella Nueva Granada.

Un romanzo nel senso pieno del termine che è perciò anche una ricostruzione storica di eventi e di luoghi:

 La molto nobile ed eroica città di Càrtagena de Indias, più volte capitale del vicereame e mille volte cantata come una delle più belle del mondo, non era allora neppure l'ombra di quanto era stata. Aveva sopportato nove assedi militari, per terra e per mare, ed era stata saccheggiata più volte da corsari e da generali. Tuttavia, nulla l'aveva deteriorata quanto le lotte di indipendenza, e poi le guerre tra una fazione e l'altra. Le famiglie ricche dei tempi dell'oro erano fuggite. Gli antichi schiavi erano rimasti alla deriva in una libertà inutile, e dai palazzi dei marchesi occupati dai poveri uscivano nell'immondezzaio delle vie certi topi grossi come gatti.


 Il rapporto del generale con le donne è un  capitolo importante nella storia della sua vita, e qui nello straziante ultimo suo viaggio, vengono evocate come un sintomo della sua vecchiaia:


Sospinto dal suo buon umore e dalla sua tendenza alle confidenze, Montilla non resistette alla tentazione di provocare cordialmente il generale.
"Solo Manuela si fermava?" gli domandò.
"Tutte si fermavano" disse sul serio il generale. "Però Manuela più di tutte le altre."
Montilla strizzò un occhio a O'Leary, e domandò:
"Lo confessi, generale: quante sono state?"
Il generale si sottrasse alla risposta. "Molto meno di quanto pensa lei."
La sera, mentre faceva il bagno caldo, José Palacios volle chiarirgli i dubbi. "Secondo i mei conti sono state trentacinque" disse. "Senza contare le fringuelle di una sola notte, naturalmente." La cifra coincideva con i calcoli del generale, ma questi non aveva voluto dirlo durante la visita.
"O'Leary è un grand'uomo, un gran soldato e un amico fedele, ma prende nota di tutto" spiegò. "E non c'è nulla di più pericoloso della memoria scritta."

Com'era fisicamente il generale in  quell'ultimo anno di vita:

Qualche mese prima, mettendosi un paio di pantaloni di daino che non aveva più indossato dopo le notti babiloniche di Lima, lui aveva scoperto che a mano a mano che calava di peso diminuiva di statura. Persino la sua nudità era diversa, perché aveva il corpo pallido e la testa e le mani come abbrustolite dall'abuso delle intemperie. Aveva compiuto quarantasei anni il precedente mese di luglio, ma ormai i suoi aspri riccioli caraibici erano diventati cinerognoli e aveva le ossa sconquassate dalla decrepitudine prematura, e lui tutto aveva un aspetto così smunto che non sembrava capace di durare fino al luglio successivo. Tuttavia, i suoi gesti risoluti sembravano di un'altra persona meno bistrattata dalla vita, e camminava senza tregua intorno al nulla.



Di sua iniziativa - dopo essersi rifiutato varie volte alle sollecitazioni del suo seguito con la motivazione che "Non ho nulla da lasciare a nessuno", iniziò a dettare un brogliaccio delle sue ultime volontà:


Visto che Fernando era ammalato, cominciò a dettare a José Laurencio Silva una serie di note un po' scucite che esprimevano non tanto i suoi desideri quanto i suoi disinganni: l'America è ingovernabile, chi serve una rivoluzione ara nel mare, questo paese cadrà senza scampo in mano alla folla sfrenata per poi passare a piccoli tiranni quasi impercettibili di ogni colore e di ogni razza, e molti altri pensieri lugubri che già circolavano sparsi in lettere a diversi amici.


Il viaggio di Simon Bolivar lungo il fiume Magdalena si conclude in tutti i sensi nella Quinta de San Pedro Alejandrino di proprietà dello spagnolo don Joaquin de Mier, oggi monumento nazionale :
                                      
                                             http://museobolivariano.org.co/



Esaminò il locale con la chiaroveggenza delle sue insonnie, e per la prima volta vide la verità: l'ultimo letto prestato, la toeletta di pietà il cui fosco specchio di pazienza non l'avrebbe più ripetuto, il bacile di porcellana scrostata con l'acqua e l'asciugamano e il sapone per altre mani, la fretta senza cuore dell'orologio ottagonale sfrenato verso l'appuntamento ineluttabile del 17 dicembre all'una e sette minuti del pomeriggio ultimo. Allora incrociò le braccia sul petto e cominciò a udire le voci raggianti degli schiavi che cantavano il salve delle sei nei frantoi, e vide dalla finestra il diamante di Venere nel cielo che se ne andava per sempre, le nevi eterne, il rampicante le cui nuove campanule gialle non avrebbe visto fiorire il sabato successivo nella casa sbarrata dal lutto, gli ultimi fulgori della vita che mai più, per i secoli dei secoli, si sarebbe ripetuta.


In questo link c'è l'omaggio a Simon Bolivar del  complesso cileno Inti illimani
       

                  http://www.youtube.com/watch?v=AObTf9yOdoQ


Per i lettori interessati al volume, qui di seguito un link dove trovarlo in versione usato.


lunedì 18 marzo 2013

Carlo Sgorlon - L'ARMATA DEI FIUMI PERDUTI - Mondadori 1985 - £ 18.000


Dopo quasi trent'anni ho ripreso in mano e riletto questo romanzo  e ancora una volta ne sono rimasto  coinvolto per la forze narrativa che esprime, per la incredibile storia raccontata e per i personaggi che la animano.

Carlo Sgorlon (1930-2009), friulano, romanziere tra i più prolifici con più di trenta romanzi pubblicati, racconti e saggi, vincitore di oltre quaranta premi letterari, nel raccontare con tolstoiana immaginazione storica la tragica epopea kazàk in Friuli, tra il 1944-45, disvela un fatto storico poco conosciuto della II Guerra Mondiale. 

I tedeschi, pressati dalle armate sovietiche in piana offensiva, fecero affluire in Friuli per combattere i partigiani italiani, un'armata di cosacchi antistalinisti. Un pittoresco esercito di uomini, donne, bambini, cammelli, cavalli, scimitarre, tende e icone, raccolti nella Biellorussia occupata dall'esercito nazista, alla ricerca illusoria  di una patria provvisoria: la Kosakenland friulana.

 (Marta) Accettava l'idea che fossero un poco selvaggi, ma per il resto se li immaginava ingenui come bambini. Li sentiva come un popolo che si era adattato a quella condizione di nomadismo per recuperare la libertà e le tradizioni del tempo. Se li immaginava stanchi, sfiduciati, affamati, vittime della guerra, che rendeva le cose sempre più tremende e complicate. Desiderò andarli a vedere. 
Vide scendere i cosacchi dal treno con i loro stalloni da traino, enormi e tranquilli, i loro cavalli da sella, piùminuti e nervosi, e le carrette ricoperte di pelli o di teloni, come quelle dei coloni del Far West. Erano impolverati, spaesatri, dispersi, meravigliati di tutto quello che vedevano scndendo dal treno. Avevano spesso la pelle giallastra, gli occhi orientali, le guance grigie di barba, i piccoli colbacchi scuri gettati all'indietro, sulla nuca, o berretti più leggeri e adatti alla stagione.

Si diffusero per tutto il paese come le cavallette, cinque o sei per ogni casa, divisi per famiglie. Così sistemati finalmente al chiuso, con un tetto sulla testa, vicino al fuoco e alle cucine, pian piano rinacque il buonumore e il gusto di essere vivi. Ridevano, motteggiavano, cantavano i dumy epici o le canzoni del Terek, e pareva loro subito di trovarsi in spazi diversi e in altre atmosfere. In certo modo volevano la partecipazione della gente di casa, chiedendola con molti ammiccamenti: "Vina, vina!".
"Niente vino. Non ne abbiamo" rispondevano i paesani.
"Non vero. Voi molto vina. Nascosto. Domani noi trovare. Vina per tutti..."
I kosacchi sono figure  frequentate in letteratura: mi vengono in mente quelli resi immostali da Isaac Babel nell'epopea L'Armata a cavallo (Конармия 1926), ma anche quelli presenti nel ciclo romanzesco Il placido Don (Tichij Don 1928) del premio Nobel 1965 per la Letteratura Michail Ŝolochov.

In questa  commovente, eroica favola d'amore, Sgorlon disegna all'interno di una vicenda tragica, dove tutti sono vittime di un destino di disperazione, la possente la figura di Marta, che non riesce a vedere nemici da nessuna parte, pronta a donare affetto e pietà ai più maltrattati dalla sorte.


Era una donna semplice, perfino elementare, che attorno a sé, come sempre, non riusciva a vedere se non uomini, soltanto uomini, tutti simili tra loro, che parlavano lingue diverse, che avevano in mente cose diverse, ma erano tutti tartassati dalla guerra e dalle sventure, tutti dispersi nel disordine e nel buio del mondo. Tutti avevano freddo, fame, sete, paura d'essere mandati a morire, tutti desideravano stare con una donna e possedere un rifugio.






Il romanzo vinse il Premio Strega nel 1985 e fu un discreto successo editoriale della Mondadori.


Per concludere, una lettura che è anche un'esperienza profonda che aiuta a riflettere sul dolore che accompagna ogni vicenda umana.

lunedì 11 marzo 2013

Mario Soldati - L'ARCHITETTO - Rizzoli 1985 - £ 16.000



C'è una frase di Graham Greene, vecchio amico di Mario Soldati, che è riportata  da Antonio Dini nella terza di copertina : "La verità non ha mai avuto per nessuno un autentico valore. Forse è uno scopo che matematici e filosofi perseguono come un simbolo. Ma nei rapporti umani gentilezza d'animo e bugie valgono mille verità".

In questo provocatorio assioma che, se non si è troppo ipocriti, nella pratica quotidiana  verifichiamo spesso, è racchiuso il senso di questo romanzo. L'architetto Vittorio Franzi, anziano libertino - come l'autore - da Chicago, dove costruisce un centro universitario, registra per la gelosa moglie in Italia, un messaggio destinato a far chiarezza sui reciproci tradimenti. 

Come in tutti i romanzi di Soldati, niente è veramente quello che sembra, c'è sempre una verità ulteriore e le sorprese per il lettore sono continue. Qui Soldati approfondisce i temi più intimi dell'esistenza: amore, gelosia, desiderio, vita coniugale. Soldati come sempre affascina con la sua prosa semplice ma ricca di risvolti commoventi e divertenti insieme.


I fatti contano, certo, ma non contano mai come i pensieri, i desideri, le riflessioni che noi riveliamo quasi sempre con le nostre bugie appunto perché non sono ancora fatti ! Quante bugie-verità vorrei sapere , di te e di me, rimaste oscure !
........
No, non è una finzione, perché nella realtà fisica è stato proprio così: il destino o, se vuoi, una nostra più o meno cosciente cautela, ci ha sempre risparmiato la volgarità del vero guaio, ci ha sempre salvato da un incidente così sgradevole.
Allo  stesso tempo, invece, è si, una finzione, perché tu e io sappiamo benissimo come stanno le cose: se per un momento trascuriamo la frequenza del fatto e l'identità del terzo personaggio, tu e io sappiamo benissimo che tu mi hai tradito e che io ti ho tradita.

Non sarebbe, dunque, finzione, sarebbe, è realtà senonché è una realtà ambigua, bivalente, che nel suo più profondo significato contiene nascosto un nucleo di falsità, così come la prima e superficiale apparenza del fatto, quella apparenza che ci siamo abituati a chiamare finzione, contiene invece la verità, ciò che più importa di tutta la verità.

L'ultima sorpresa ce la riserva la segretaria dell'architetto nell'ultima pagina del romanzo, ma non svelo niente, nel caso sia riuscito con questi criptici stralci a suscitare una qualche curiosità in  nuovi lettori.

mercoledì 6 marzo 2013

Mario Soldati - LA MESSA DEI VILLEGGIANTI - Mondadori 1959 - £ 1.500




Mario Soldati (1906-1999)  giornalista, scrittore, regista, storico dell'arte, di famiglia torinese, ma con un nonno materno toscano anch'egli scrittore, a cui fu molto legato; formatosi nel severo ambiente cattolico di un collegio di gesuiti  torinesi, nonostante una  esperienza di vita addirittura libertina, rimase sostanzialmente fedele ai quei principi religiosi.

La Messa dei villeggianti (1959) è costituito da una trentina di racconti con unico protagonista lo stesso Soldati, in viaggio per l'Europa, di volta in volta raffinato buongustaio dal robusto appetito e conversatore di inesauribile curiosità. Un autoritratto leggero e ironico di momenti diversi della sua vita, come  in un diario intimo nel quale analizza i suoi sentimenti.

Amo l'apparente semplicità della scrittura di Mario Soldati. Amo la sua prosa nitida, le descrizioni della natura, che rivelano l'occhio del grande regista che seleziona e rappresenta il mondo circostante con la precisione dello storico dell'arte che era.

Dal racconto Disco Rosso:

Il treno, rallentando, mi sveglia. Alzo la tendina, vedo, riconosco la campgna toscana, poco dopo Arezzo.
Nella luce dorata del tardo pomeriggio estivo, i campi, i prati, i frutteti, i boschi, le strade, i sentieri, le fattorie, le case sparse, le ville alte sui colli, tutto ciò che vedo è magicamente in ordine, di una bellezza suprema e straziante.
Ecco, il treno rallenta sempre più, ora si ferma in mezzo alla campagna. Ricordo improvvisamente. Si era fermato allo stesso modo, press'a poco nello stesso luogo e nella stessa stagione e nella stessa ora del giorno, tanti anni fa, più di trent'anni fa. Ero molto giovane, quasi un ragazzo. Andavo a Roma, anche allora. Per gli studi, come oggi per il lavoro.
Mi sorprendo affacciato al finestrino come allora, a guardare angosciato quella bellezza e a cercar di capirne il perché prima che il treno riparta.
Un vento leggero sfiora l'erba ai margini delle rotaie. Voci sparse, allegre, giungono dal treno, e, più lontante, dalla campagna. Guardo quei colori dolci, tutti i verdi di tutti gli alberi, quello derli ulivi, quello dei cipressi, quello delle querce, quello dei castani, quello dell'erba; le terre giallastre, rossastre; le case bianche, rosate, grigie; il cielo teso e azzurrino.
Guardo quella geometria segreta, indecifrabile eppure sensibile, onde l'intero paesaggio appare costruito come il paesaggio nel quadro di un sommo pittore. Non c'è dubbio: la felicità, la bellezza, il senso della vita sono davanti a me. E come allora, quando ero giovane, mi ero chiesto: che cosa devo fare per essere degno di questa bellezza, per toccare questa felicità, per capire quale sia questo senso della vita? Così ora mi chiedo, con la medesima ansia : che cosa ho fatto, in tutti questi anni, per essere fedele al ricordo di quel momento ?


Un caleidoscopio di personaggi animano questi racconti: scrittori, pittori, registi, aspiranti attrici, vecchie inglesi, industriali ma anche operai, ragazze e ragazzi di città e di campagna: tutti nascondono dietro un'apparenza convenzionale un segreto, dietro una bugia una verità inattesa. E' il fascino della scrittura di Soldati.