Dopo quasi trent'anni ho ripreso in mano e riletto questo romanzo e ancora una volta ne sono rimasto coinvolto per la forze narrativa che esprime, per la incredibile storia raccontata e per i personaggi che la animano.
Carlo Sgorlon (1930-2009), friulano, romanziere tra i più prolifici con più di trenta romanzi pubblicati, racconti e saggi, vincitore di oltre quaranta premi letterari, nel raccontare con tolstoiana immaginazione storica la tragica epopea kazàk in Friuli, tra il 1944-45, disvela un fatto storico poco conosciuto della II Guerra Mondiale.
I tedeschi, pressati dalle armate sovietiche in piana offensiva, fecero affluire in Friuli per combattere i partigiani italiani, un'armata di cosacchi antistalinisti. Un pittoresco esercito di uomini, donne, bambini, cammelli, cavalli, scimitarre, tende e icone, raccolti nella Biellorussia occupata dall'esercito nazista, alla ricerca illusoria di una patria provvisoria: la Kosakenland friulana.
I tedeschi, pressati dalle armate sovietiche in piana offensiva, fecero affluire in Friuli per combattere i partigiani italiani, un'armata di cosacchi antistalinisti. Un pittoresco esercito di uomini, donne, bambini, cammelli, cavalli, scimitarre, tende e icone, raccolti nella Biellorussia occupata dall'esercito nazista, alla ricerca illusoria di una patria provvisoria: la Kosakenland friulana.
(Marta) Accettava l'idea che fossero un poco selvaggi, ma per il resto se li immaginava ingenui come bambini. Li sentiva come un popolo che si era adattato a quella condizione di nomadismo per recuperare la libertà e le tradizioni del tempo. Se li immaginava stanchi, sfiduciati, affamati, vittime della guerra, che rendeva le cose sempre più tremende e complicate. Desiderò andarli a vedere.
Vide scendere i cosacchi dal treno con i loro stalloni da traino, enormi e tranquilli, i loro cavalli da sella, piùminuti e nervosi, e le carrette ricoperte di pelli o di teloni, come quelle dei coloni del Far West. Erano impolverati, spaesatri, dispersi, meravigliati di tutto quello che vedevano scndendo dal treno. Avevano spesso la pelle giallastra, gli occhi orientali, le guance grigie di barba, i piccoli colbacchi scuri gettati all'indietro, sulla nuca, o berretti più leggeri e adatti alla stagione.
Si diffusero per tutto il paese come le cavallette, cinque o sei per ogni casa, divisi per famiglie. Così sistemati finalmente al chiuso, con un tetto sulla testa, vicino al fuoco e alle cucine, pian piano rinacque il buonumore e il gusto di essere vivi. Ridevano, motteggiavano, cantavano i dumy epici o le canzoni del Terek, e pareva loro subito di trovarsi in spazi diversi e in altre atmosfere. In certo modo volevano la partecipazione della gente di casa, chiedendola con molti ammiccamenti: "Vina, vina!".
"Niente vino. Non ne abbiamo" rispondevano i paesani.
"Non vero. Voi molto vina. Nascosto. Domani noi trovare. Vina per tutti..."I kosacchi sono figure frequentate in letteratura: mi vengono in mente quelli resi immostali da Isaac Babel nell'epopea L'Armata a cavallo (Конармия 1926), ma anche quelli presenti nel ciclo romanzesco Il placido Don (Tichij Don 1928) del premio Nobel 1965 per la Letteratura Michail Ŝolochov.
In questa commovente, eroica favola d'amore, Sgorlon disegna all'interno di una vicenda tragica, dove tutti sono vittime di un destino di disperazione, la possente la figura di Marta, che non riesce a vedere nemici da nessuna parte, pronta a donare affetto e pietà ai più maltrattati dalla sorte.
Era una donna semplice, perfino elementare, che attorno a sé, come sempre, non riusciva a vedere se non uomini, soltanto uomini, tutti simili tra loro, che parlavano lingue diverse, che avevano in mente cose diverse, ma erano tutti tartassati dalla guerra e dalle sventure, tutti dispersi nel disordine e nel buio del mondo. Tutti avevano freddo, fame, sete, paura d'essere mandati a morire, tutti desideravano stare con una donna e possedere un rifugio.
Il romanzo vinse il Premio Strega nel 1985 e fu un discreto successo editoriale della Mondadori.
Per concludere, una lettura che è anche un'esperienza profonda che aiuta a riflettere sul dolore che accompagna ogni vicenda umana.
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