mercoledì 28 febbraio 2018

Colette - CLAUDINA A SCUOLA, CLAUDINA A PARIGI, CLAUDINA SPOSATA, CLAUDINA SE NE VA, - BUR 1958 - £ 120 cad.


Prima di tutto qualche parola su questa storica collana, la più antica dei tascabili in italia la BUR : Biblioteca Universale Rizzoli. Dobbiamo la nascita di questa collana di successo ad un intellettuale e dirigente d'azienda, di cui oggi pochi ricordano i grandi meriti, Luigi Rusca (1894-1986), che fu dal 1928 al 1945 Direttore Generale nella Mondadori, e occupandosi della collana Medusa, riuscì a portare a casa importanti scrittori stranieri che determinarono il successo della collana verde

Passato alla Rizzoli, che fino a quel momento si era occupato esclusivamente di periodici, Novella, Oggi, Omnibus, l'Europeo, propose di utilizzare il grande potenziale industriale dell'editore per pubblicare libri già conosciuti dal grande pubblico, liberi da diritti d'autore, in una collana super-economica.

Angelo Rizzoli (1889-1970), che era imprenditore con grande fiuto accettò, e nel 1949 fece uscire la nuova collana con cadenza settimanale, formato 10x15, calcolando il prezzo di 50 lire ogni 100 pagine, si avranno così libri singoli, doppi, tripli e quadrupli, e anche la numerazione dei volumi seguirà questo principio.

Il grande successo di questa collana (parliamo delle vecchia Bur, cessata nel 1972) è data non solo dal numero di opere pubblicate, oltre 900, dalle tirature impressionanti per l'epoca, ma anche dal riconoscimento dell'Unesco - unico nel suo genere - che nel 1952 dichiarò la Bur "iniziativa di importanza e interesse mondiale"



Prima di parlare dei suoi libri, dovremmo necessariamente parlare di Colette pseudonimo di Sidonie-Gabrielle Colette (1873-1954), grande personaggio pubblico prima che scrittrice, giornalista, attrice, cantante e ballerina, una delle donne più famose del suo tempo, definita la prima teenager del secolo, insignita della croce di Grand'Ufficiale della Legion d'Onore, prima donna ad ottenere alla sua morte funerali di stato 

Ma ora passiamo a Claudine. Il primo racconto di Colette,  è Claudine a scuola, che inaugura il novecento, viene pubblicato naturalmente a Parigi suscitando grande scandalo e interesse, come accade sempre per i romanzi di rottura che descrivono la realtà fuori dagli schemi convenzionali.  

La narrazione nei primi tre racconti del ciclo è in prima persona ed ha la forma del diario; ci svelano fin da subito l’innata malizia della quindicenne Claudine, e il fascino che esercita sugli adulti di entrambi i sessi. Gli acceni a simpatie tra giovani donne, sempre sull'orlo dell'infatuazione sentimentale, anche se prontamente represse, ci ricordano che è proprio in quegli anni, all'inizio del secolo, che si inizia a sviluppare una cultura lesbica, a cui l'esempio di Colette e la sua ostentata relazione con "Missy", pseudonimo della marchesa Mathilde de Morny, daranno un contributo decisivo.

Colette e Mathilde “Missy” de Morny


Nell'ultimo titolo del ciclo, Claudine s'en va, Claudine vi compare solo, insieme al marito Rinaldo, come comprimaria mentre la vera protagonista è Annie,  la forma è sempre quella della narrazione in prima persona.

Una curiosità letteraria, chiarificatrice della personalità di Colette, è la testimonianza di George Simenon, rilasciata a The Paris Rewiew nel 1955: “Solo una volta un consiglio generico da parte di uno scrittore mi è stato molto utile. Si tratta di Colette. Scrivevo racconti per Le Matin, e Colette era caporedattrice della sezione letteraria all’epoca. Le sottoposi due racconti e li rifiutò entrambi e io continuai a provare, ancora e ancora. Alla fine mi disse: “Senti, sono troppo letterari, sono sempre troppo letterari”. Seguii il suo consiglio. È quello che faccio quando scrivo, la cosa principale quando riscrivo”.


Intrigante l'amicizia con Marcel Proust, che inserisce in modo  anonimo in Claudine en ménage, e così lo descrive: ".. sono stata braccata, educatamente, da un grazioso giovanottino ("un petit jolie garçon") appassionato di lettere. Ha begli occhi, il piccolo, e un sospetto di blefarite... Mi paragonava -- sempre i miei capelli corti! -- a Myrtocleia, a un giovane Ermes [...]  ...il mio piccolo adulatore, eccitato dalle sue stesse parole, non mi lasciava più [...] Mi contemplava con i suoi occhi carezzevoli, dalle lunghe ciglia..."


Marcel ne fu estasiato. Tra i due scrittori nacque un'amicizia che si nutrì di una fitta corrispondenza che è in parte riportata da Julia Kristeva in Colette - Vita di una donna - Donzelli Editore, 2004.

giovedì 22 febbraio 2018

Tullio Serafin e Alceo Toni - STILE, TRADIZIONI E CONVENZIONI DEL MELODRAMMA ITALIANO DEL SETTECENTO E DELL'OTTOCENTO - Ricordi Editore, 1958



Tracciare un compendio della vita artistica di Tullio Serafin (1878-1968) significa fare la storia dell'opera lirica di buona parte del secolo scorso. Basti dire che il diciottenne Serafin, allievo del Conservatorio di Milano, dal loggione della Scala assistette, il 9 gennaio 1893, alla prima del Falstaff, presenti in sala Verdi, Mascagni, Puccini, Giacosa, Carducci...

Il suo debutto come direttore avvenne a Parma nel 1902 con Elisir d'amore, poi fu sostituto di Toscanini alla Scala, e dal 1910 direttore titolare e direttore artistico. Scopritore di talenti, tra cui la Callas,  alla cui formazione artistica contribuì, per ammissione della stessa cantante, in modo fondamentale, specialmente per la tecnica interpretativa.

Immenso il repertorio delle opere dirette dal Maestro, alcune fonti parlano di 243 opere liriche, di cui molte opere di autori contemporanei come Berg, Britten, Alfano e altri. Fu Serafin a riportare alla luce, nel XX secolo, un'opera come la Norma, dopo averla fatta studiare per due anni alla grande soprano Rosa Ponselle, accostata dal maestro a Caruso e Titta Ruffo, unici veri fuoriclasse conosciuti.






L'altro autore di questo libro, Alceo Toni (1884-1969) è stato un compositore e musicologo. Diresse il Conservatorio di Milano dal 1936 al 1940, e critico musicale del Popolo d'Italia, il giornale di Mussolini. A differenze di Serafin, Alceo Toni, da buon fascista convinto, era contrario alle tendenze progressiste e fu tra i promotori del manifesto contro Malipiero e Casella. Sul web non ho trovato foto di Alceo Toni.

Il volume preso in esame è estremamente interessante, innanzi tutto perché delinea con una chiarezza espressiva esemplare i caratteri peculiari, e le differenze distintive del Settecento e dell'Ottocento, delineandone, in pratica, le modalità stilistiche delle esecuzioni.

In sintesi ristretta, diremo che il settecento è misura e contenutezza espressiva: che, lieve di tono, e quasi sempre galante, porta con sé, naturalmente, atteggiamenti e modi eleganti e aristocratici. Al contrario, l'Ottocento è passione e veemenza drammatica, e non sta quasi mai alla levità e ai segni della distinzione più aggraziata.
Le commedie e i drammi musicali del Settecento sfiorano, accarezzano, si direbbe, le emozioni e i contrasti delle loro vicende. La drammaturgia musicale dell'Ottocento li accentua, invece, li penetra in profondità, li anima, talvolta, sino alla violenza enfatica. 
Sembrano, tali parole, di una ovvietà sconcertante, se non fosse che,  anche ai tempi del Maestro Serafin, riletture in chiave moderna stravolgevano opere nate con intenti affatto diversi. Aggiunge il Maestro nello sviluppo del discorso:

Non bisogna dimenticare che il melodramma del secolo galante per antonomasia, il Settecento, è ancora aulico. Si scrive in questo secolo, per la corte: re e cortigiani sono il pubblico a cui quasi esclusivamente ci si indirizza, precipuo, dominante. (....) Come non c'è individualismo nella vita sociale e così non c'è in quella teatrale.
I fatti e le passioni poste in scena e svolte stanno sul generico: rappresentano fatti e passioni conformati all'essenzialità di un carattere d'ordine generale. Son come tipi e casi stereotipati. Hai, ad esempio, il Re, non un re, il Guerriero, non un guerriero, la Villanella, non una villanella; la Scena d'amore, non una scena d'amore: figure e cose, come diremmo oggi, standardizzate.
Il teatro melodrammatico del Settecento sorride nelle sue commedie, non ride mai apertamente. S'appanna teneramente nelle sue scene patetiche, non s'abbandona al pianto aperto appassionato e sconsolato.
A volte si ha l'impressione che nella realizzazione di opere del Settecento, non si tenga alcun conto di questi principi elementari, e si mettano in scene con una visione esegeratamente moderna che ne tradisce lo spirito.

Dopo aver esaminato Settecento e Ottocento melodrammatico e Tradizioni e convenzioni, il libro passa ad esaminare nel dettaglio:

  • La serva padrona di Pergolesi
  • Il matrimonio segreto di Cimarosa
  • Il barbiere di Siviglia di Rossini
  • L'Italiana in Algeri
  • La Cenerentola
  • Guglielmo Tell

lunedì 12 febbraio 2018

Alfredo de Vigny - GIORNALE DI UN POETA - Edizioni della Bussola, 1944


E adesso spunta fuori questo GIORNALE DI UN POETA di Alfred Victor de Vigny (1797-1863), traduzione e prefazione del poeta Adriano Grande (1897-1972), finito di stampare il 20 maggio 1944 in Roma per conto della C.E.R. Edizioni della Bussola nello Stabilimento Editoriale del Giornale d'Italia.

Ma come, ci si chiede, nel 1944 il paese era devastato dalla guerra; è proprio di quei giorni di maggio tra le altre e più gravi, ma non registrate distruzioni, quella dello storico Museo Internazionale della Ceramica di Faenza ad opera di un bombardamento alleato; Roma malgrado la sua condizione di città aperta stretta nella morsa dell'occupazione nazista, a soli due mesi dall'ecidio delle Fosse Ardeatite, viveva la sua vita apparentemente normale, perché anche negli accadimenti più infelici, c'è sempre quella parvenza di normalità che consente all'essere umano di sopravvivere, e poteva quindi stamparsi questo volume e provocare la nostra ingenua sorpresa.

Illuminante della personalità di Alfredo de Vigny, il saggio che a mo' di prefazione Adriano Grande, pone in apertura del volume:

  Il ritratto spirituale più perfetto di Alfredo de Vigny, poeta, pensatore ed uomo, coi suoi meriti davvero eccezionali e i difetti che li contrappesano ma eran poi soltanto le superficiali apparenze delle sue qualità d'animo, è contenuto il questo suo « Giornale » che riunisce in se il carattere di una raccolta di massime e di pensieri volta a volta frettolosi o distillati, e quello d'una serie di notazioni di lavoro, con gli elementi di una autobiografia essenziale, d'un colloquio da sè a se stesso.

  Religioso e ateo, democratico convinto e aristocratico per nascita, educazione e temperamento, antiautoritario e ammiratore delle grandi personalità della storia che come fari illuminano e guidano il cammino delle genti, nemico del livellamento e della mediocrità collettiva  e amico fidente del progresso universale: tutte queste contraddizioni erano in lui, e non sembravano tali, poiché egli le fondeva nel giusto equilibrio superiore della poesia. Talchè, sia per la potenza dell'ingegno che per i significati che reggono la sua opera, meglio e più aderentemente di altri scrittori suoi contemporanei, anche grandi, egli può essere assunto a ritratto cosciente d'un'epoca che vide la Francia titubare tra i principi monarchici e quelli repubblicani, oscillare a lungo tra i poli della rivoluzione e quelli della conservazione.
E ancora:

Possiamo aggiungere che, a bene osservare, tutta la poesia francese successiva al Vigny - fino al Mallarmé incluso e oltre, anche se ciò a prima vista non sembri - trae forse le sue origini spirituali da lui, più assai che da qualunque altro.

Alcuni pensieri che  troviamo nel Giornale del poeta:

La stampa è una bocca costretta a stare sempre aperta, a parlare sempre. Vien da ciò ch'essa dica mille cose di più di quelle che ha da dire; e che sovente divaghi in stravaganze.
Succederebbe lo stesso a un oratore, persino a Demostene, che fosse costretto a parlare senza interruzioni per tutto l'anno.

DEI GIORNALI
Il borghese di Parigi è un re che tutte le mattine, al suo levarsi, ha un cortigiano compiacente, un adulatore che gli racconta venti storie. Non è obbligato a offrirgli da pranzo, lo fa tacere quando vuole e gli restituisce la parola a suo piacimento; e tanto più gli è caro, questo docile amico, in quanto tutti i giorni gli suggerisce la sua opinione in termini un poco migliori di quelli che avrebbe potuto trovare da sé; toglietegli quell'amico e gli sembrerà che il mondo si fermi: questìamico, questo specchio, quest'oracolo, questo parassita poco costoso.
 

Una delle cose che più mi hanno commosso nelle Memorie di Sant'Elena è che quel povero Napoleone non poteva ottenere un esemplare di Polibio per leggervi istruzioni immaginarie sulla guerra che non avrebbe mai più avuto il piacere di fare.

DELLA STAMPA
Gli antichi avevano su noi il vantaggio di non conoscere la stampa. Sembrerà singolare, ma è mia convinzione che tale ignoranza, sfavorevole alla rapidità della propagazione delle idee e alla loro conservazione, era favorevole alla purificazione del gusto e alla scelta dei capolavori. Demostene, da qualche parte, dice che copiò cinque volte, di mano sua, le opere di Teucidide. Un poeta o uno scrittore avevano così dei lettori forzatamente attenti, applicati a conoscere e osservare minuziosamente il più piccolo particolare delle bellezze dello stile.  Queri lettori sceglievano le cose più belle per moltiplicarle. Come api, non si posavano che sui fiori più belli; tutto il resto veniva sdegnato; ed io non penso gran che bene di ciò che non è pervenuto sino a noi. (...)

 Il « Giornale » copre il periodo che va dal 1824 al 1847. Poi contiene POEMI DA FARE, frammento di Elena, frammento di Fantasie, e il Discorso d'Ingresso all'Accademia di Francia. 256 pagine.

domenica 11 febbraio 2018

Rabindra Nath Tagore - L'UFFICIO POSTALE - R.Carabba Editore, Lanciano 1917-



Rabindranath Tagore (1861-1941), premio Nobel per la Letteratura nel 1913, è uno di quegli autori a cui un editore non può rinunciare, per il prestigio universale di cui gode il grande poeta mistico, e per il lustro che se ne ottiene diffondendone il verbo illuminato.

Autore quanto mai prolifico, si contano a centinaia i libri al suo attivo, romanzi, novelle, drammi, saggi, poesie, opere teatrali, alcune musicate da lui stesso, opere filosofiche, mistiche, conferenze, autobiografie ...ma alla fine, un po' per superficialità e un po' perché loro sono sempre tanti a scrivere e io solo a leggere, ciò che si conosce maggiormente sono le massime, gli aforismi, le cosiddette perle di saggezza.

Quando ho letto nella sua biografia che questo illuminato autore, è stato il beneficiario di un patrimonio immenso accumulato dal nonno Dwarkanath, che prendeva il the con la Regina Vittoria e in combutta con la famigerata Compagnie delle Indie, noi che fin dall'infazia siamo stati dalla parte di Sandokan e Yanez, contro la Compagnia delle Indie, abbiamo provato una sorta di diffidenza per Tagore.  Fin dal nome, infatti, si desume l'estrazione sociale del poeta: Thakur  (anglicizzato in Tagore), è titolo che indicava generalmente i grandi latifondisti medievali d'origine moghul, significa Signore, Principe o semplicemente padrone.


Non migliora la stima per l'illustre  padrone bengalese sapere che a 22 anni ha sposato una bambina di soli 10 (dieci) anni, con conseguenza che stima, considerazione, soggezione, rispetto nei confronti di questo sant'uomo è venuta meno, e così l'interesse per sua opera.



Comunque, L'Ufficio Postale (Dak Ghar, 1912) è sicuramente l'opera teatrale di Tagore più conosciuta da noi, anche perché legata a eventi drammatici in Europa: nel 1940, alla vigilia dell'occupazione nazista di Parigi, venne letta alla radio nella versione francese di Adré Gide, mentre il 18 luglio1942  Janusz Korczak, medico pediatra, pedagogo, scrittore polacco ebreo, nella Casa degli Orfani all'interno del ghetto di Varsavia mise in scena questo dramma dove un bambino muore senza poter uscire dalla sua casa a causa di una terapia sbagliata del medico. Alla domanda: «Perché hai fatto recitare ai bambini un testo così triste?» Korczak rispose: «Perché i bambini imparino a morire serenamente». Di lì a poco furono tutti deportati e lo stesso  Korczak trovò la morte a Treblinka.


Amal, il giovane protagonista della pièce, ha una commovente e ottimistica visione della vita, ma c'è anche la visione salvifica della figura del Re che tutto può e benevolmente concede ai sudditi fedeli. Noi sempre dalla parte di Sandokan e Yanez!

Nel link un filmato dei funerali di Tagore a Calcutta nel 1941, dove ci furono manifestazioni di macabro feticismo.

venerdì 9 febbraio 2018

Vladimir Nabokov - MARIA - Mondadori 1971 - £ 1.800



Màshenka (diminutivo di Maria) è il primo romanzo di Nabokov, scritto in russo nel 1925 a Berlino, ma qui tradotto dalla versione inglese nel 1971 per Mondadori, sulla scia del successo di Lolita che è del 1969.

L'azione si svolge nel 1924, in una claustrofobica pensione, nella Berlino del periodo d'oro di Weimar, quando era cancelliere il democratico-liberale Stresemann (1878-1929), dove convivono con le loro storie di rimpianti e di miseria un gruppo di esuli russi, il cui destino sembra essere quello della ricerca di un altrove che non esiste.

Scrive nella prefazione Nabokov:

A causa dell'insolita lontananza dalla Russia e per il fatto che la nostalgia rimane la folle compagna di tutta una vita, le cui strazianti stranezze si è abituati a sopportare in pubblico, non mi sento per nulla imbarazzato ad ammettere la pena sentimentale del mio attaccamento a questo primo libro.  I suoi difetti, prodotti dell'innocenza e dell'inesperienza...

Come  nell'autobiografia Parla, ricordo, Nabokov riesce a districarsi con naturalezza nelle ellissi temporali di cui fa frequente ricorso anche in questo romanzo, riuscendo a dare vivacità ad un testo che  altrimenti sarebbe stato piatto e molto noioso. 

Dipenderà dal fatto che in questo periodo le storie mi hanno stancato, e con loro i romanzi che le raccontano, e se non trovo a giustificarne la lettura una scrittura particolarmente fantasiosa, o semplice, ma profondamente vera, sentita, l'abbandono senza rimorso e passo ad altro. Questa Maria, non mi ha entusiasmato, sono tuttavia arrivato alla fine, ma, sinceramente, non mi ha lasciato molto, solo la curiosità di scoprire com'era la Berlino descritta, e ho trovato questo filmato che m'è molto piaciuto, spero piaccia anche a voi.


 https://www.youtube.com/watch?v=TVqPoV9q4ck

domenica 4 febbraio 2018

Vasco Pratolini - IL QUARTIERE - Vallecchi 1954 - £ 200





Che emozione ritrovarmi tra le mani, dopo tanti anni, questo minuscolo volumetto formato 16x11, praticamente le dimensioni di una cartolina, n.3 della collana Contemporanea Vallecchi. Così l'Editore presenta la collana in terza di copertina:

Questa nuova Collana popolare, dedicata alla narrativa italiana contemporanea, è il tentativo di portare finalmente a contato col pubblico vastissimo dei lettori potenziali, di quelli che non entrano quasi mai in una libreria ma che vorrebbero leggere e soprattutto conoscere il mondo e il tempo in cui vivono, i romanzi italiani d'oggi.Si sa benissimo che la maggiore diffusione del libro contribuisce a farne diminuire il prezzo: se ogni italiano comprasse un libro al mese, i libri costerebbero molto meno.

Vasco Pratolini (1913-1991) è uno scrittore che ho molto amato, forse per quel suo essere un irregolare nella letteratura, così simile a quegli scrittori americani autodidatti, che dopo aver esercitato tanti diversi lavori, decidono di dedicarsi alla scrittura: una sorta di Martin Eden fiorentino

L'Epigrafe che Pratolini inserisce all'inizio del romanzo, è un omaggio all'amico Montale, entrambi frequentatori dello storico Giubbe Rosse di Firenze: è la chiusa della poesia posta all'inizio della raccolta Ossi di Seppia:

  Codesto solo oggi possiamo dirti:
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


L'incipit:

Noi eravamo contenti del nostro Quartiere. Posto al limite del centro della città, il Quartiere si estendeva fino alle prime case della periferia, là dove comincia la via Aretina, coi suoi orti e la sua strada ferrata, le prime case borghesi, e i villini. Via Pietrapiana era la strada che tagliava diritto il Quartiere, come sezionandolo fra Santa Croce e l'Arno sulla destra, i Giardini e l'Annunziata sulla sinistra. Ma su questo versante era già un luogo signorile, isolato nel silenzio, gravitante verso San Marco e l'Università, disertato dalla gente popolana che lasciava i figli a scavallare sulle proprie strade dai nomi d'angeli, di santi e di mestieri, nomi antichi di famiglie "grasse" del Trecento: Via de' Malcontenti ne era un'arteria e un monito; via dell'Agnolo la suburra, sulla quale immetteva Borgo Allegri ove in un'età lontana un'immagine della Madonna, dipinta da un concittadino immortale, portata in processione, si degnò miracolare in mezzo al popolo, "rallegrandolo".

Ri-letto dopo oltre cinquant'anni l'ho trovato di nuovo bellissimo, genuino e di grande freschezza, lineare nella forma, con la voce narrante (Valerio) che diventa plurale quando il discorso riguarda il quartiere, e poi l'opportuno gradevole uso di toscanismi, in altre parole un esempio di grande vitalità  narrativa, propria del mai abbastanza lodato neorealismo in letteratura.

venerdì 2 febbraio 2018

Anna Frank - IL SAGGIO MAGO E ALTRI RACCONTI - Universale Cappelli - 1960 - £ 300

 Di questa indimenticabile eterna quattordicenne si è scritto e sproloquiato a dismisura, ma sembra che sia rimasto fuori dal profluvio di parole spese, l'elemento centrale della sua personalità: Anna Frank è (non era) è una scrittrice autentica, d'incantevole sincerità. Scrisse perché aveva un suo mondo da rappresentare, e la sua fu perciò una grande vocazione, afferma con la sua autorità Francesco Flora (1891-1962) nella prefazione a questo ahimè dimenticato, e un po' triste nella veste editoriale dimessa, libretto di fiabe, che nessun editore ha più ripreso dal lontano 1960. Per dire la miopia degli editori italiani, per altri versi così solleciti a pubblicare cenci di residuali personaggi televisivi. Ma così va il mondo.

I racconti presenti nel volume sono:
  1. Blurry, l'orsacchiotto che voleva scoprire il mondo;
  2. Il sogno di Eva;
  3. Il saggio mago;
  4. La fioraia;
  5. L'angelo custode;
  6. Enrichetta;
  7. Kitty;
  8. Katrientje;
  9. La fata;
  10. Perché;
  11. Dare.
La disarmante semplicità dei sentimenti che da questi racconti traspare, potremmo definirla, rovesciando l'assioma di Hannah Arendt, la banalità del bene, ma ancora non l'avremmo definita compiutamente. 

Scrive tra l'altro Francesco Flora nella prefazione:
I motivi infatti che hanno ispirato queste novelle sono gli stessi che ella esprime quando narra che dall'alloggio segreto guardando il cielo ravviva in sè le speranze, quelle che la sua condizione di prigioniera in quel nascondiglio, nell'orrore della persecuzione e della guerra, più sembra dichiarare assurde: poi ch'ella crede nella bellezza delle cose e nella bontà naturale della creatura umana.

Nella loro semplicità questri racconti oltre che morali, e edificanti come in fondo sono tutte le fiabe, sono anche divertenti e sorprende che non si sia trovato, per esempio, un buon illustratore per farne un libro per ragazzi, come fecero gli Editori Riuniti nel 1966 per L'albero del riccio di Gramsci. http://giorgio-illettoreimpenitente.blogspot.it/2014/01/antonio-gramsci-lalbero-del-riccio.html

giovedì 1 febbraio 2018

1894: se il mondo, come al solito, da il peggio di se, lo riscatta da Firenze il miracolo della lettera d'amore di Giorgina a Cesarino (2^ e ultima parte)









In un  mondo che si affaccia nella turbolenta dimensione della modernità, l'elegiaco sprazzo di serenità che le parole di Giorgina infondono, sembrano suggerire una verità eterna: la felicità è nelle piccole cose quotidiane.


Le vetture senza cavalli 6 agosto 1894

L'anarchico Sante Jeronimo Caserio pugnala a morte Presidente francese Carnot (1894)
Terremoto in Calabria 1894 (Palmi) Wikipedia

Processo per la truffa della Banca Romana (1894)

Il J'accuse di Emile Zola in difesa di Dreyfus (1894)




Il nonno sta meglio assai ce lo disse lo zio ieri mattina e poi lo vidi ieri sera da me perché andammo lassù. Dopo desinare mi sentivo un poco stanca fino a che non ho fatto l’abitudine ad alzarmi alle 6 mi fa questo effetto ma poi mi ci abituo e non me ne accorgerò nemmeno più, volevo anzi andare un poco distesa, ma poi pensai: se mi addormento mi entra male alla testa è meglio non farne di niente. Allora incominciai a cifrare cioè a disegnare una infinità di GDV e cos’ è stato un perditempo risparmiato per il giorno di lavoro ed una cosa necessaria che io mi trovo già fatta. Ora manca il più cioè cucire e cifrare, ma con l’aiuto d’Iddio e delle buone persone spero presto di veder fatto anche questo.
Speravo di ricevere la tua lettera alle quattro come al solito e così io la leggevo e subito dopo ponevo a scriverti e continuavo fino alle 17 ½ ora in cui bisogna che mi andassi a preparare per andare al Pian dei Giullari. Chi fa i conti senza l’oste… con quel che segue , dice il proverbio e seguì proprio così anche a me. Figurati che quando le 16 furono vicine scesi giù dalla nonna ad attendere per riceverla più presto, ma aspetta le 16 le 16 e mezzo le 17… niente non verrà mi dicevo ed ogni poco correvo alla finestra ma sempre inutilmente; il postino non si vedeva. Volevo scriverti, ma come fare? Con quell’agitazione che mi metteva addosso l’inutile attesa non mi sarebbe stato possibile di mettere giù un solo rigo, e poi a che pro rattristarti? Davanzo povero Ninuccio mio sei solo solo in codesta bene detta Ischia e non puoi nemmeno udire la tua Giorgina che ti ripete ti amo tanto! Cercai d’ingannare il tempo parlando con la nonna ed anzi lei mi domandò se mi avesse portato male avere in regalo una coroncina. Io le disse che da te non l’avrei voluta, ma da lei si, ed allora me ne regalò una che è qualcosa di grazioso e di bellino. Gliela portò da Roma lo zio Beppe e lei l’ha data a me perché abbia il ricordo suo e dello zio uniti. Quanto mi vuol bene e che pensieri gentili che ha quella nonnuccia mia vero? Finalmente alle 17 ¼ ebbi la cara tua! Come mi batte forte il cuore a quella suonata di campanello! La coroncina mi aveva portato fortuna ed il mio raggio di felicità era giunto. Grazie Ninuccio grazie! Quando lessi la tua prima frase mi sentii allargare il cuore. Ti amo Ninuccio, ti amo tanto e quando sei triste soffro io pure e rido quando ridi. La mia anima è strettamente collegata alla tua, essa ne comprende le pene e le divide, non gusta la felicità che quando tu sei felice.
E’ morto se Dio vuole il mese di Agosto, pace a lui; il settembre è incominciato è un aumento di felicità ma la felicità vera sarà l’ottobre. Non ho ragione? Non pensavi così quando per provare se veramente eri leggiero come ti sembrava, ti saresti magari precipitato dalla finestra? Ma sai come sarebbe andata a finire?  Che l’aria non solo non ti avrebbe sostenuto, ma avrebbe esclamato: “non gli basta di respirarmi tutto il giorno e la notte anche, vuole che gli serva pure di mezzo gratuito per fare un viaggetto, è un poco troppo” e ti avrebbe abbandonato a te stesso lasciandoti capitombolare fino alla madre terra che come mamma essendo più compassionevole sarebbe stata di sotto per riceverti. Siccome però ti avrebbe ricevuto per troppo tempo, è meglio non aver bisogno di questa prova di affetto materno.
Dunque, via, ti è proprio rimasto addirittura indigesto quel fogliettino abborracciato? Battiti dunque il petto ed esclama come nel confiteor mea culpa mea culpa mea massima culpa! Non ti ricordi cosa mi scrivesti una volta ma non adesso? Che nelle mie lettere ti dispiaceva di trovare la carta bianca sia pure un pezzettino. Ora per rimediare a questo inconveniente io riempiva il foglietto, e siccome il benedetto orologio col suo tic tac sembra che dica: “è tardi Giorgina, la posta parte e la lettera resta” , tic tac tic tac”domani Cesarino tuo sospirerà invano la tua lettera e non l’avrà” tic tac tic tac “la Luisa va via non ti aspetta più e per chi farai impostare allora?” E così la sua vocina stridula mi incalzava mi spingeva ed allora io per dargli retta incominciavo a correre correre e giù alla rinfusa tanto per non lasciare ne carta libera ne la lettera a Firenze fino a che do don don suonavano le nove ed io balzavo dalla sedia mettevo giù un Giorgina bistorto e via di corsa a mettere il francobollo a fare l’indirizzo e a dar la lettera alla Luisa. Non ci credi?
Da qui avanti so che se il foglietto resta mezzo bianco, Cesarino non brontola ma anzi è contento di vedere che ho scritto meglio e forse ci trova meno spropositi, per cui non avrò bisogno di correre ma scriverò con tutta calma, sei contento?
Dimmi la verità quanti sbagli trovi nelle mie lettere che butto giù sempre alla svelta senza rileggere e con le idee strane e arruffate come una matassa stata fra le zampine di un gatto? Ma fa niente vero, chi non fa non falla e poi tu ci passi sopra a queste piccolezze, oramai ci hai fatto l’abitudine!! Perché poi vuoi che mi arrabbi se mi dici che mi fanno scrivere poco ecc. ecc.?Sarebbe impossibile tanto so che non è vero e la colpa è sempre mia che voglio scrivere molto e che mi ci metto tardi … tardi ho detto? Ritiro la parola mi alzo apposta alle 6! E’ la posta che parte troppo presto! Ma insomma o l’uno o l’altro. Fatto si è che le lettere erano scritte da ultimo con la massima furia e che se ci avevo pensato poco su dovevo accorgermene subito che ciò non ti poteva dar piacere. Diamine! Però non era sempre il non dover lasciare carta bianca che mi faceva correre dunque se mi spicciavo la colpa era tua. Va bene? Ma scherzo sai, non te ne avere a male, oggi mi sento più contenta era lieta la tua lettera d’ieri ed è così sempre quando le tue lettere sono liete sto più tranquilla, quando tristi mi sento afflitta come se mi fosse capitata una gran disgrazia. Ti voglio tanto bene Ninuccio mio che mi sembra fino impossibile di poter vivere tanto lontano da te, ma è per la tua salute che bisogna fare questo sacrifizio e mi rassegno molto più che i bagni ti fanno tanto bene. Credi ne sono proprio contenta e ne ringrazio il buon Dio, soffri dunque con coraggio Cesarino mio adorato, per amore della tua Giorgina che darebbe chissà cosa per alleviarti codesta sofferenza magari prendendola per se, e pensa che fra breve sarai sano e felice.
Domani o domani l’altro scriverò alla mamma e così le farò gli auguri per la sua festa. Cara mamma, l’amo tanto! Scriverò anche a Marietta ed intanto le dirò che quello che le ha detto quel cattivaccio di Cesarino era una bugia e che io le voglio bene quanto a Fortunata ossia tanto tanto.
Ieri sera dunque andammo al Pian dei Giullari; il nonno come ti ho detto sta benino ma ha il piede destro enfiato ed il medico vuole assolutamente che stia a letto. Dice che si tratta di dolori artritici gottosi. Figurati a lui che è così insofferente! Lo trovai però assai di buon umore e rise e scherzo assai. Mi disse che quando ti scrivevo ti salutassi e ti ringraziassi della premura che ti prendesti per lui. Anche lo zio e la zia ti salutano e stanno bene. Pare che il male del nonno più che altro sia stato causato da strapazzo, perché uno dei giorni scorsi ci fu un bruciamento dal contadino e lui stette ritto assai tempo per vedere i pompieri che spegnevano e camminò anche assai. Speriamo però che sia niente e che continui a migliorare.

Ma sai che con codesti pranzi luculliani ti abituerai male davvero? Come farai quando venendo a cena da noi troverai il vassoio di patate rifatte? Indovino la tua risposta è inutile che tu me la dica, lo so che le patate di Firenze saranno più saporite dei polli e dei pasticcini d’Ischia! Le scarpine lucide non mi fanno male e le rimetterò adesso quando dovrò provarmi l’abito bianco. La risposta circa le carte l’hai già avuta percui non aggiungo altro. Tutti ti salutano la nonna ti baci, mi ripete sempre che lei l’ha fatto proprio per contentarti di mandarti quel ritratto e che tu l’hai presa più a benvolere di quanto si merita. Figurati! Scrivile, son certa che la farai contenta.

Per oggi smetto perché la zia Marianna mi aspetta per andare con lei a comprare un vestito.
Ti mando mille baci ed abbracci e sperando ricevere anche oggi una tua che mi consoli mi dico sempre tua
                                  Giorgina