martedì 30 settembre 2014

Mao Tse-Tung - 37 POESIE - Oscar Mondadori 1972 - £ 700




Presentiamo le 37 poesie di Mao Tse-tung (1893-1976), per la prima volta edite in Italia nel lontano 1972, tradotte e commentate, con un saggio politico-letterario, dal sinologo Joachim Schickel (1924-2002), e ri-tradotte dal tedesco per Mondadori  da Bruna Bianchi.

Se ci limitassimo a leggere le poesie, saltando il saggio introduttivo di Schickel, correremmo il rischio, in ogni caso, di essere condizionati dal giudizio politico che abbiamo dell'ingombrante autore, e continueremmo ad ignorare lo sforzo fatto dalla Rivoluzione cinese, e da Mao Tze-tung personalmente, per rendere la lingua cinese scritta - e quella letteraria - accessibile all'uomo comune, che fino a quel momento ne era escluso.  

Spiega Schickel:


La letteratura classica si serviva di una lingua scritta esclusiva in luogo della lingua corrente parlata dal popolo, impiegava altri vocaboli (ben più numerosi, ben più difficili) e perfino un'altra sintassi (spesso difficilmente decifrabile) rispetto a quelli in uso nella vita quotidiana, e non era neppure suscettibile di trasmissione orale. (.....)
Nel 1942, alla conferenza di Yenan  sulla letteratura e l'arte, coerentemente Mao chiese allo scrittore di obbedire al verso di Lu Hsün: « ...piegando la testa, sono pronto, come un bue, a servire un bambino», cioé la massa del popolo: lo scrittore doveva parlare la lingua degli operai, dei contadini e dei soldati.


C'è un altro aspetto che l'introduzione di Schickel chiarisce, fondamentale per chi della cultura e lingua cinese è completamente digiuno, ed è la rigidità  della forma nella poesia cinese.

Mao ha scelto di scrivere due terzi delle 37 poesie pubblicate su melodie tz'u - una forma nata nel X secolo, - scrive lo Schickel - in origine arie conviviali composte su base di melodie preesistenti e accompagnate da flauto, liuto e cetra. Oggi gli tz'u sono rimasti senza musica ma non hanno perduto la loro musicalità. Se vengono definiti come poesie "di misure lunghe o brevi, cioé di versi composti alternativamente di tre, quattro o cinque caratteri, è proprio questa variabilità, che certamente non ha nulla a che fare col "ritmo libero", a farci cogliere in essi una qualità lirica o addirittura innica. Nel rimanente terzo egli sembra piuttosto voler emulare gli autori di sonetti, in quanto si sottomette alla più rigorosa prosodia del ch'i-lü: i cui otto versi di sette "piedi" ciascuno (che in cinese corrispondono a sette caratteri monosillabici) appartengono al genere dello shih. Come gli tz'u, anche gli shih sono rimati, solo che le loro regole di ritmo e di accentazione sono talmente rigorose da esporli facilmente alle critiche dei pedanti.

Alcuni esempi. 

 XI
Ta-po-ti
1933, estate.
Si tratta di uno tz'u

Rosso, arancione e giallo, verde, azzurro, indaco e violetto:
chi regge il nastro variopinto , per danzare sul cielo?
Dopo la pioggia torna il nuovo sole del tramonto;
passo monti, creste, ad uno ad uno, s'immergono nell'ombra.

Quell'anno - furioso massacro:
le mura del villaggio crivellate di colpi.
Oggi sono ornamento per questo passo, per i monti,
ancor più belli da guardare.

 


XXIX
Tornato a Shao-shan 
1959, giugno 
Si tratta di un ch'i-lü

Fresco ricordo, la fugace corrente è domata:
la mia casa trentadue anni prima.
Rosse bandiere, si affollano le lance dei contadini,
mani nere levano in alto la frusta dei tiranni.
Poiché si immolano, in molti si immolano, la loro volontà si rafforza,
osa comandare a sole e luna: crea nuovi giorni.
Visione felice: mille onde percorrono risaie e campi di leguminose;
intorno alla valle gli eroi scendono nella nebbia della sera.  

 

XXXI
Sul ritratto di una miliziana
1961, febbraio
Scritta nel febbraio 1961. 
Si tratta di un ch'i-chüeh, cioé uno shih secondo le "Sette regole" ma abbreviato.

Ventata di freschezza, valorosa grazia, cinque piedi il fucile;
splendore mattutino, i primi raggi sul campo di marte.
Straordinaria meta delle ragazze cinesi, tante;
non amano vesti rosse, amano la veste militare.

Per Mao scrivere versi è sempre stato naturale, in tutte le epoche della sua vita: i primi versi sono del 1925, gli ultimi hanno la data del 1963; rime e ritmi stanno altrettanto a cuore all'anziano presidente del partito, come al giovane sovversivo, al condottiero della Lunga Marcia, al presidente della Repubblica Popolare. Racconta Robert Payne che «durante le sedute del governo a Yenan era solito scrivere poesie così come altri scarabocchiano pupazzetti, e dopo quelle sedute c'era sempre una caccia ai versi che Mao, noncurante, aveva buttato per terra».

XXXV
Ode alla ciliegia d'inverno
1962, dicembre. Si tratta di uno tz'u su melodia Pu-suan-tzu.

Vento e pioggia mandano via la primavera,
neve turbine accoglie primavera.
Da tempo declivi e precipizi sotto mille piedi di ghiaccio,
eppure ci sono: rami fioriti e bellezza.

Bellezza, che non gareggia con la primavera,
è solo una guardia per annunciare primavera.
Vedrai che montagne nel tempo sfarzoso dei fiori:
lei sorride, stretta nel mezzo. 


Credo che questo vecchio volumetto, che si è nel frattempo completamente squinternato, rappresenti più di una semplice curiosità su un grande personaggio, osannato e vilipeso come pochi nella storia; credo che possa aiutare a comprendere come l'opera di Mao Tze-tung, oltre che nella sfera politico-economica, abbia profondamente modificato i meccanismi mentali della dialettica e della cultura cinese, creando quello stile  in cui confluiscono l'antico pensiero di Lao-Tse e la dialettica marxista.

giovedì 25 settembre 2014

Bertolt Brecht - POESIE E CANZONI - Einaudi (V edizione) 1968 - £ 1.600


Bertolt Brecht (1898-1956), è universalmente conosciuto come drammaturgo meno come poeta, lo confermano le numerose   opere teatrali prodotte, e rappresentate con successo in tutto il mondo, ricordiamo L'opera da tre soldi (1928), Santa Giovanna dei Macelli (1930), Madre Coraggio e i suoi figli (1939), Vita di Galileo (1938), Il cerchio di gesso del Caucaso (1944), per dire solo le più rappresentate nel nostro paese

Questa storica antologia poetica di Brecht, è arricchita da una fondamentale prefazione di Franco Fortini che aiuta a inquadrare filologicamente l'opera poetica di Brecht,voglio dire far comprendere le condizioni storiche e sociali del suo tempo e del rapporto che esiste tra poesia e attività di drammaturgo. Scrive Fortini:

Brecht scrisse moltissime poesie liriche; relativamente poche ne pubblicò in volume. (....) Ma i suoi drammi contengono quasi sempre molte canzoni, cori e strofette, composte in altra occasione e destinate a subire, quando l'autore le inserisce nel testo teatrale, trasformazioni più o meno rilevanti; o che, invece, scritte per l'opera drammatica, hanno acquisita una loro vita e possono essere lette come isolate liriche.

Sul suo rapporto con il marxismo :

Si direbbe che del marxismo Brecht poeta abbia ritenuto soprattutto due insegnamenti: il pensiero dialettico e la nozione di lotta di classe. Dal primo gli viene l'energia morale, che non riposa mai in una regola senza supporre l'eccezione; della seconda, una posizione che definisce senza equivoci i destinatari del suo discorso.  (......)  Poeta che sapeva bene come la semplicità sia unico davvero esatto riflesso dell'inestricabile e la chiarezza la sola immagine adeguata al caos, Brecht si conferma il più vero e probabilmente l'unico "poeta morale" del socialismo; lui che le mode non sfiorano perché ha accettato di essere, un giorno, consunto dalla storia e in essa risolto: «Scrivo le mie proposte in una lingua durevole - perché temo che molto ci vorrà, finché siano adempiute».

Contro la seduzione

Non vi fate sedurre:
non esiste ritorno.
Il giorno sta alle porte.
già è qui vento di notte.
Altro mattino non verrà.


Non vi lasciate illudere
che è poco, la vita.
Bevetela a gran sorsi,
non vi sarà bastata
quando dovrete perderla.

Non vi date conforto:
vi resta poco tempo.
Chi è disfatto, marcisca.
La vita è la più grande:
nulla sarà più vostro.

Non vi  fate sedurre
da schiavitù e da piaghe.
Che cosa vi può ancora spaventare?
Morite con tutte le bestie
e non c'è niente, dopo.
(1918)

 Un tempo

A me nel gelo un tempo pareva mirabile
vivere e il freddo a me giungeva vivace
e gustavo l'amaro ed era come
fossi io sempre signore della scelta
anche se il buio m'invitava al suo tavolo.

Serenità da fredda fonte attinsi
e il nulla dette questa ampia arena.
Rara si è scissa dolce chiarità
da naturale tenebra. A lungo? No, appena.
Ma io, Morte, ero veloce, vinsi.

Lode del Partito

Perché chi è uno ha due occhi,
il Partito ha mille occhi.
Il Partito vede sette stati,
chi è uno vede una città.
Chi è uno ha la sua ora
ma il Partito ha molte ore.
Chi è uno può essere distrutto
ma il Partito non può essere distrutto
perché è l'avanguardia delle masse
e conduce la sua lotta
con i metodi dei classici, che sorsero 
dalla conoscenza della realtà.  

Lode del Comunismo

E' ragionevole, chiunque lo capisce. E' facile.
Non sei uno sfruttatore, lo puoi intendere.
Va bene per te, informatene.
Gli idioti lo chiamano idiota e, i sudici, sudicio.
E' contro il sudiciume e contro l'idiozia.
Gli sfruttatori lo chiamano delitto.
Ma noi sappiamo:
è la fine dei delitti. 
Non è follia ma invece 
fine della follia.
Non è il caos ma
l'ordine, invece.
E' la semplicità
che è difficile a farsi.
(1933) 
Liquidare Bertolt Brecht come autore comunista, per gli argomenti dei suoi drammi o delle sue poesie, significa incorrere nello stesso grossolano errore che commise la House Committee on Un-American Activities (Commissione per le attività antiamericane) che nel 1947 lo interrogò sulle infiltrazioni comuniste nel cinema. In questo link il divertente interrogatorio, che dimostra ancora una volta la stupidità della politica quando si scontra con la cultura.  
http://www.filmtv.it/post/1308/archivio-2-il-testimone-ostile-bertolt-brecht-davanti-alla-h/#rfr:none 

In calce alla trascrizione dell'interrogatorio, una dichiarazione che Bertolt Brech consegnò alla Commissione, dove l'artista ricostruisce le sue peregrinazioni in fuga dal nazismo, ma dal quale si evince anche come il maccartismo americano ricordi, per chiusura mentale e stupidità, le persecusioni che subì la cultura sotto il nazismo.

sabato 20 settembre 2014

Antonio Tabucchi - SOSTIENE PEREIRA - Feltrinelli 1994 - £ 27.000




Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d'estate. Una magnifica giornata d'estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione, non sapeva che fare, il direttore era in ferie, lui si trovava nell'imbarazzo di mettere su la pagina culturale, perché il "Lisboa" aveva ormai una pagina culturale, e l'avevano affidata a lui. E lui, Pereira, rifletteva sulla morte. Quel bel giorno d'estate, con la brezza atlantica che accarezzava le cime degli alberi e il sole che splendeva, e con una città che scrintillava, letteralmente scintillava sotto la sua finestra, e un azzurro, un azzurro mai visto, sostiene Pereira, di un nitore che quasi feriva gli occhi, lui si mise a pensare alla morte. Perché? Questo a Pereira è impossibile dirlo. Sarà perché suo padre, quando lui era piccolo, aveva una agenzia di pompe funebri che si chiamava Pereira La Dolorosa, sarà perché sua moglie era morta di tisi qualche anno prima, sarà perché lui era grasso, soffriva di cuore e aveva la pressione alta e il medico gli aveva detto che se andava avanti così non gli restava più tanto tempo, ma il fatto è che Pereira si mise a pensare alla morte, sostiene.
 Questo l'incipit del romanzo che nel 1994 ha dato grande notorietà ad Antonio Tabucchi (1943-2012), almeno in Italia, perché all'estero, come spesso accade, era molto tradotto, letto e conosciuto. Qui da noi, pur avendo dal 1975 pubblicato molto, era rimasto un autore di nicchia, che suscitava l'intesse di una ristretta cerchia di appassionati e addetti ai lavori che ne seguivano l'attività con una fedeltà da iniziati. Oggi è uno degli scrittori italiani più letti nel mondo.

 

Professore di letteratura portoghese all'Università di Pisa, si deve a lui la diffusione in Italia delle opere di Fernando Pessoa, alla cui conoscenza contribuì con traduzioni e saggi. 


Scrittore ironico, fortemente impegnato nel dibattito sui temi della libertà d'informazione e sulla figura dell'intellettuale nella società moderna (vedi il polemico saggio La gastrite di Platone - Sellerio 1998), autore di decine di romanzi, raccolte di racconti, saggi, biografie, opere teatrali, traduzioni. 

Questo blog si era occupato di Antonio Tabucchi presentando I volatili di Beato Angelico, una deliziosa raccolta di racconti che esaltano la sua vena fantastica. http://giorgio-illettoreimpenitente.blogspot.it/2012/04/antonio-tabucchi-i-volatili-del-beato.html



La vicenda umana di Pereira, con la progressiva presa di coscienza delle condizioni  di arbitrio e repressione che la società portoghese sotto la dittatura di Salazar vive, è raccontata con un singolare espediente narrativo, quello dell'anonimo estensore di una relazione, non si sa bene a quale scopo redatta e diretta a chi. La forma scelta, i perfetti tempi narrativi, i caratteri dei personaggi, fanno di questo romanzo una lettura avvincente e godibile.

Bello e fedele il film di Roberto Faenza del 1995, con Marcello Mastroianni, ultima sua grande interpretazione in un film italiano.

https://www.youtube.com/watch?v=6TSPjA7vSAE

 

mercoledì 17 settembre 2014

Corrado Stajano - IL SOVVERSIVO - Vita e morte dell'anarchico Serantini - Einaudi 1975 - £ 1.400


Se siete fortunati e nati, diciamo, dopo gli anni ottanta, magari non avete mai sentito parlare di questo libro, né del suo protagonista, e della sua storia: in questo caso smettete di leggere il post, leggete qualcos'altro, o andate al cinema.

Se siete ansiosi, irritabili, pronti a reagire ad ogni provocazione, lasciate perdere perché questa storia, e questo libro, riaprono ferite mai rimarginate, perché questa storia fa ancora incazzare.

Chi è Corrado Stajano (1930): giornalista e scrittore, autore televisivo con Ermanno Olmi di documentari di argomento politico e sociale come  In nome del popolo italiano; Le radici della libertà; Nascita di una formazione partigiana, e con altri registi  La repubblica di Salò  e La forza della democrazia. E' stato senatore DS dal 1994 al 1996 e membro della commissione antimafia, ha scritto sulla strage di Piazza Fontana e sul terrorismo.


Questo libricino del 1975 è una Storia Italiana Esemplare, una storia senza tempo. La rappresentazione  della continuità storica del nostro paese: dalla conquista piemontese del Sud, alla lotta al brigantaggio, passando per la monarchia sabauda - ricordate Bava Beccaris? - e dal fascismo alla repubblica. Costantemente lo Stato borghese ha oppresso i più deboli, con una violenza ininterrotta nel corso degli anni, usando  i suoi corpi repressivi e coprendone, con una magistratura connivente, gli abusi più clamorosi.

Corrado Stajano, con la meticolosità del ricercatore, avvalendosi di verbali, atti e documenti ufficiali, articoli e testimonianze, ricostruisce la storia della breve vita, dal befotrofio al riformatorio di un ragazzo sardo che, fin dalla nascita, portava le stimmate del martirio. 

Racconta, Stajano, del desiderio di riscatto che spinge Franco Serantini, ragazzo intelligente e generoso, a studiare, a farsi una cultura politica, a impegnarsi socialmente contro quelle che ritiene le macroscopiche ingiustizie della nostra società e i rigurgiti fascisti che si manifestavano in quegli anni - conniventi pezzi dello stato - con una violenza inaudita.

Stajano riporta integralmente il durissimo articolo di Umberto Terracini, pubblicato sul n. 20 di  Rinascita del 1972, dal titolo Un assassinio firmato:


   Questa volta, diciamolo, il nostro animo insorge inorridito e la coscienza invoca a gran voce severe pronte sanzioni non soltanto perché dinanzi a noi c'è un altro morto ammazzato dalla polizia che segna di sanguigno l'aspro cammino che il popolo italiano batte e ribatte per la difesa delle proprie libertà contro l'ignavia colpevole dei governanti e la criminalità di ritorno della ribalteria fascista, ma anche per il modo crudelissimo dell'ammazzamento e per la rivelazione ch'esso ci ha fatto del grado estremo di avvilimento a cui il regime ha portato, tra intrighi tenebrosi di complici omertà, il potere statuale della Repubblica.
   Perché a Pisa, a perpetrare l'orribile assassinio di Franco Serantini, lavoratore studente, e a tentare di mandarlo impunito, si sono indubbiamente dati voce e mano, non senza qualche ammiccamento da Roma, tutte le componenti del suo poderoso apparato repressivo: polizia, magistratura e galera. I poliziotti infatti hanno massacrato a mazzate il giovane sventurato, i carcerieri, in complicità con i vari funzionari della prigione, lo hanno abbandonato senza cure nella sua straziante agonia; e infine un giudice ha creduto di gettare sull'atroce dramma la gelida coltre burocratica della sua verbalizzata indifferenza, fingendo di non accorgersi che interrogava un morente raccogliendone la deposizione solo più ad memoriam.

Per la cronaca, e per far comprendere  il clima di quegli anni, Umberto Terracini, la cui firma è in calce alla Costituzione Italiana, viene per questo articolo denunciato dalla Procura della Repubblica di Roma per vilendio della magistratura e delle forze armate dello Stato!


Le immagini dei funerali di Franco Serantini



Il monumento eretto Pisa
 



 Ballata di Serantini
 https://www.youtube.com/watch?v=CCyzmJ-NUj8


Recentemente sono saliti alla ribalta della cronaca diversi casi di omicidio i quali, in qualche modo, sono ascrivibili  alle forze di polizia:
  • Marcello Lonzi  ucciso nel carcere di Livorno 11 luglio 2003
  • Federico Aldovrandi assassinato il 25 settembre 2005
  • Riccardo Rasman ucciso da quattro poliziotti a Trieste il 27 ottobre 2006
  • Aldo Bianzino trovato morto nel carcere di Perugia il 14 ottobre2007
  • Gabriele Sandri ucciso da un colpo accidentale 11 novembre 2007
  • Giuseppe Uva  forse violentato e ucciso in caserma 14 giugno 2008
  • Stefano Cucchi ucciso durante la custodia cautelare 12 ottobre 2009

domenica 14 settembre 2014

Patrizia Cavalli - IL CIELO -Einaudi 1981 - £ 4.000


Lo spazio storicamente assegnato dalle librerie  alla Poesia è sempre stato modesto, ma nel corso degli anni si è ridotto quasi all'insignificanza, così accade che gironzolando tra gli scaffali di una libreria, se sei fortunato, puoi trovare, in uno scaffaletto seminascosto, poche decine di volumetti della collana bianca, la fortunata Collezione di Poesia Einaudi, nata nel 1964. 

La particolarità di questa collana bianca, ma forse anche il segreto del suo successo, è la copertina, frutto della collaborazione dell'eclettico artista Bruno Munari (1907-1998) - uno dei massimi protagonisti dell'arte, del design e della grafica del XX secolo - e il design svizzero Max Huber (1919-1992): mai, come in questo caso, la scelta grafica -  fondo bianco della copertina con i versi dell'autore - fu più pertinente. 

Esaminandola attentamente, ci si accorge che la semplice elegante bellezza di questa copertina è data dalla sua proporzione aurea, inoltre, prendendo in mano il volume, si è già dentro il contenuto, ma questa scelta, si capisce, è possibile solo con la poesia: per nessun altro genere questa scelta grafica funzionerebbe. 

Se mi sono dilungato su questo argomento, che può sembrare marginale, è perché ho sempre avuto una grande passione per la grafica, tanto da spingermi - negli anni '70 - a frequentare un corso di grafica pubblicitaria, ma anche per dire che la scelta di acquistare questo volume di poesie di Patrizia Cavalli (1947) Il cielo è nata dalla lettura di quella breve ma intensa poesia stampata in copertina.

Quella nuvola bianca nella sua differenza
insegue l'azzurro sempre uguale:
lentamente si straccia nella trasparenza
ma per un po' mi consola del vuoto universale.
 E quando cammino per le strade
e vedo in ogni passo una partenza
vorrei accanto a me un bel viso naturale.
Non sono un esperto di poesia, e per dirla tutta non so neanche cosa sia la poesia, vado a orecchio, a intuito: questa mi piace, questa mi lascia indifferente, ma senza entrare nel merito del contenuto o nella forma, non ne sarei capace. Mi è piaciuta la musicalità del verso che mi ha ricordato il Montale di Ossi di seppia, poi riflettendo mi accorgo che a farmela accostare al Maestro  è  la metrica usata,  l'endecasillabo.


Che la morte mi avvenga dentro un desiderio
oltrepassando un uscio, ché altrimenti
non potrei sopportare che piano piano
mi si svanisca dagli occhi
o dalla memoria il lenzuolo celeste,
la coperta bianca, la luce bellissima
che schiariva la stanza.
(.................)
               

Fuori in realtà non c'era cambiamento,
è il mondo stagionato che mi sottrae alle strade:
dentro di me è cresciuto e mi ha corrotto gli occhi
e tutti gli altri sensi: e il mondo arriva
come una citazione.
Tutto è accaduto ormai, ma io dov'ero?
Quando è avvenuta la grande distrazione?
Dove si è slegato il filo, dove si è aperto
il crepaccio, qual è il lago
che ha perso le sue acque
e mutando il paesaggio
mi scombina la strada? 

Spesso i versi hanno la brevità e il tono ironico dell'epigramma:

Ma si, sono sincera,
non fingo i sentinmenti,
ma cosa posso farci
se in due minuti 
diventano tradimenti?

           §§§§§

Ora che sei partita
che sei sicuramente andata
lo devo riconoscere
non sono mutilata.
Farò una passeggiata
fino a via delle Grotte.

             §§§§§

Due ore fa mi sono innamorata.
tremo d'amore e seguito a tremare,
ma non so bene a chi mi devo dichiarare. 

             §§§§§

Il cielo è la seconda opera poetica di Patrizia Cavalli, che aveva esordito, sempre per Einaudi, nel 1974 con Le mie poesie non cambieranno il mondo, nel 1992 ha pubblicato Poesie 1974-1992 e nello stesso anno L'io singolare proprio mio, Sempre Aperto Teatro del 1999, Pigre divinità e pigra sorte del 2006. L'ultima raccolta è Datura  del 2013.

In occasione del Premio Citta di Recanati 2000 Patrizia Cavalli recita alcune brevi poesie dalla raccolta Sempre Aperto teatro:

https://www.youtube.com/watch?v=Sjn6krxvZIo
 
 

mercoledì 10 settembre 2014

Giovanni Arpino - UN'ANIMA PERSA -Rizzoli1981 - £ 9.000







L'altro giorno Rai 3 ha mandato in onda il film di Dino Risi (1916-2008) Un'anima persa del 1977, tratto dall'omonimo romanzo del 1966 di Giovanni Arpino (1927-1987), con  l'istrionico Vittorio Gassman, bravissimo come sempre, e la bellezza eterea di Catherine Deneuve, fotografia straordinaria di Tonino Delli Colli.

Qualche scena del fim a questi link:


https://www.youtube.com/watch?v=H0JQTAupG5I

Un'anima persa è stato definito il più torinese dei romanzi di Arpino, e forse per svincolarlo da questa connotazione, e comunque per dargli un carattere più spettacolare, Dino Risi ha deciso di ambientarlo in una suggestiva Venezia autunnale, in un vecchio e splendido palazzetto sulla laguna che mirabilmente supplice al clima cupo del romanzo.

Dice il giovane protagonista all'inizio della storia:


   Ho sempre avuto paura, ma oggi è ancora diverso, oggi appena sveglio sento già tra le costole un trasalimento angoscioso, che batte, fa male, che non rieco a soffocare con le sole forze della ragione. 
    Devo aprire gli occhi, guardare, guardarmi, e finalmente rendermi conto che questa paura è assurda, che la stanza dove ho dormito, benché estranea, non nasconde pericoli, e così la casa, la strada fuori, la città.
   Poco fa il debole scricchiolio di un passo nella camera sopra la mia mi si è rivoltato in cuore e in gola come una misteriosa minaccia.
(......)
   Sono arrivato ieri sera, in un caldo fermo, denso, che aggrava le chiome già polverose degli ippocastani. Anche nel tassì in corsa non entrava che un alito d'aria, tiepida come brodo. Era il crepuscolo, con quieti palazzi chiusi, piazze e viali dissanguati, opachi fantasmi nell'ombra più concreta dei portici. 
In appendice una "Confessione dell'autore" dove Arpino parla ampiamente della gestazione e nascita di questo suo romanzo e del rapporto con le opere tratte da suoi romanzi:

   Diversi anni dopo, questo romanzo venne voltato in film. Non ho visto la pellicola che ne trassero Dino Risi regita e Vittorio gassman interprete. Penso che un autore non debba spiare dal buco della serratura ciò che combinano i suoi figli nel giorno delle nozze. E siccome un romanzo è un figlio bato adulto, vestito, che ha compiuto il servizio militare, vada dunque per il mondo come gli pare, senza che il padre gli ansimi dietro (per identiche ragioni non ho mai avuto l'impudicizia di assistere alle recite di due mie commedie, condotte da Tino Buazzelli e Milly con Tino Scotti. Attendevo questi attori amici in camerino, qualche volta, ma mi sarei vergognato di studiarli dalla platea d'un teatro colto delle mie parole).
   Nessuno, mentre si girava il film tratto dal romanzo, mi interpellò. Lo trovai e lo trovo giusto, un autore va trattato da defunto, l'opera è quello che rimane di lui, e Dino Risi mi stava appunto trattando come avrebbe fatto con Turghenev. Perché non essergli sinceramente grato? Non c'è vero padre che non si arrenda a un tutore, o a un padrino, o a un precettore dei figli lontani.
          (........) 


   Un'ultima confessione: prima di decidermi a scrivere Un'anima persa, e naturalmente ignorandone la fine, con fatica cercai di disegnare una mappa della casa dove si sarebbero svolti i fatti. Mi turbava quel proposito, che pur ritenevo necessario: mi pareva un espediente di maniera, anche se lo legittimavano fior di romanzieri, come Faulkner, e fior di "giallisti". Disegnai la mappa, non mi servì a nulla, anzi vi inciampai più di una volta: i personaggi, nascendo e crescendo, finirono col prendermi la mano, io afferrai la loro, ed in equilibrio mentale preseguimmo fino all'ultimo rigo.
   Memorie di antiche e adorate donne di servizio, immagini di zie autentiche o quasi, di ambienti familiari, mi nutrirono per caratterizzare una voce, un angolo di salotto, una scala, una presenza, la collocazione di frasi proverbiali, insomma il bagaglio necessario alla psicologia di questo e quel personaggio. Forse, in Un'anima persa - ma non ci giurerei - ho speso gli ultimi ricordi legati a un'infanzia che ebbi vasta e felice: non nascondo che legare ricordi così densi e ilari ad una situazione drammatica mi stimolò, mi diede pepe, irrobustì le certezze necessarie a un narratore quando costui, dannandosi, narra.

sabato 6 settembre 2014

IMPAZZA SUL WEB LA CORSA ALLE CLASSIFICHE DEI LIBRI


Beh, non c'è da meravigliarsi che sul web impazino elenchi, i più disparati, di libri che bisogna assolutamente aver letto. C'è un elenco nientemeno che della BBC,  con cento titoli: alcuni ovvi, altri discutibili e altri ancora decisamente risibili.


Questi i primi dieci:
  1. ORGOGLIO E PREGIUDIZIO di J.Austen
  2. IL SIGNORE DEGLI ANELLI di Tolkien
  3. IL PROFETA di K. Gibran
  4. HARRY POTTER di J. K. Rowling
  5. SE QUESTO E' UN UOMO  di P.Levi
  6. LA BIBBIA di AA.VV.
  7. CIME TEMPESTOSE di E. Bronte
  8. 1984 di Orwell
  9. I PROMESSI SPOSI di A.Manzoni
  10. DIVINA COMMEDIA  di D.Alighieri
Credo che ogni lettore abbia in mente una propria classifica, formatasi nel corso degli anni, secondo un itinerario personale, fatto  di letture, secondo la sua cultura, sensibilità e inclinazione.

Negli anni ottanta ricevetti in regalo Il signore degli anelli, non ho difficoltà ad ammettere che non portai a termine la lettura perché mi annoiava profondamente; trovarlo al secondo posto nell'elenco della BBC non mi ha sorpreso, mi ha scandalizzato, ma è un'opinione personale..... Harry Potter al quarto posto poi, la BBC deve aver tenuto conto di quanto questo libro sia stato importante per PIL di quel paese, ma tutto questo non ha molto a che fare con la letteratura.

Un'altra ricerca importante è quella realizzata dal giornale Le Monde in collaborazione con una catena di librerie francesi che hanno svolto un sondaggio tra i loro lettori: I cento libri del secolo, questi i primi dieci:

  1. LO STRANIERO di Camus
  2. ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO di Proust
  3. IL PROCESSO di Kafka
  4. IL PICCOLO PRINCIPE di Saint-Exupèry
  5. LA CONDIZIONE UMANA di Malraux
  6. VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE  di Céline
  7. FURORE  di Steinbeck
  8. PER CHI SUONA LA CAMPANA di Hemingway
  9. IL GRANDE MEALNES di Fourner
  10. LA SCHIUMA DEI GIORNI di Vian
E', evidentemente, una classifica decisamente francofona, né avrebbe potuto essere altrimenti, a stento mitigata dalla presenza di Kafka, Steinbeck e Hemingway.
 
Un altro punto di vista interessante è un bel libro di Piero Dorfles intitolato I cento libri che rendono più ricca la nostra vita, che è stato definito un intelligente portolano per orientarsi tra i libri che bisogna aver letto. Un contributo, alla ricerca che quanto prima inseriremo tra i prossimi acquisti.
 
Su Facebook è partita immediatamente un'analoga corsa a produrre l'elenco di dieci libri ritenuti importanti, e nominando altri amici a fare lo stesso, in una catena di S.Antonio che in questo caso ha il merito, se la lista è sinceramente prodotta e non concepita solo per far bella figura, di allargare quanto più possibile questo invito reciproco alla lettura.

Sarebbe bello, mi piacerebbe, che anche i lettori del blog creassero ciascuno una lista dei dieci libri che ritengono più importanti, indipendentemente dall'importanza dell'autore e della notorietà del libro e poi, magari, potrebbe essere un'occasione di parlarne tra noi. 
 Ad esempio, su Fb sono stato invitato ad indicare dei titoli e non ho avuto difficoltà a farlo, e questi sono:
 

  1)  Pinocchio
  2) Tre Moschettieri e Ventanni dopo
  3) Il libro della Jungla di Kipling

  4) Martin Eden di Jack London
  5) I 49 racconti di Hemingway
  6) Trilogia USA di Dos Passos
  7) Il grande Gatbsy di Fitzgerald
  8) La Valle dell’Eden di Steinbeck
  9) Il Maestro e Margherita di Bulgakov
10) Cent’anni di solitudine di Marquez
11) Proust Alla ricerca del tempo perduto
12) Madame Bovary
13) Anna Karenina
 
In questo elenco sono fuori autori e libri che amo, come Lo scialo di Pratolini, Il nome della rosa di Eco, Dona Flor e i suoi mariti di Amado,  Il porto di Toledo della Ortese, e tutto Sciascia, e quasi tutto Buzzati, e Calvino, e Milan Kundera e Pasolini e, Faulkner e.... e tanti altri che non ho aggiunto perché ho ritenuto importante inserire quei primi libri letti da ragazzo, che mi hanno fatto scoprire il piacere della lettura. 

Per me Pinocchio, che ho letto appena sono riuscito a ricostruire dai suoni dei dittonghi la parola, e dalla serie delle parole la frase, sarà sempre il Primo Libro. E così Dumas, e così Il libro della jungla, perché il piacere della lettura è quando scopri che le parole si trasformano nel tuo cervello in immagini e le storie prendono realmente vita, ed è come un miracolo che avviene. E questi ricordi rimangono scolpiti e quei libri, almeno per me, rimangono i più importanti per mio percorso di lettore. Come dire che  il primo libro non si scorda mai!
 

mercoledì 3 settembre 2014

Giovanni Giudici - ADDIO, PROIBITO PIANGERE - Einaudi 1982 - £ 18.000


Amo quelle librerie dove si può passare un pomeriggio parlando amabilmente con anziani commessi che conoscono la clientela abituale, e sono in grado di consigliare sempre il libro giusto.

Questo libro di traduzioni, Addio, proibito piangere, - il titolo è tratto da un verso di John Donne - mi fu consigliato da una gentile signora che dirigeva una piccola libreria che frequentavo negli anni ottanta, in zona Prati, vicina all'ufficio di rappresentanze commerciali dove lavoravo; consiglio che, inizialmente, accettai più per condiscendenza, che per convinzione. Poi leggendolo, e tornando a leggerlo nel corso degli anni, l'ho apprezzato moltissimo, ed è uno di quelli che spesso occupa il posto d'onore sul comodino.

Giovanni Giudici (1924-2011) uno dei massimo poeti del Novecento, come recitano tutte le biografie che lo riguardano, ligure, poeta per passione, giornalista per vocazione, traduttore per caso, e su commissione..... come lui stesso si definisce,  con quell'ironia che gli era propria, nella prefazione al volume, che è anche una esposizione ragionata sui principî della traduzione.  


   Dei dodici poeti qui proposti nelle mie occasionali traduzioni soltanto otto hanno scritto nel nostro secolo e possono dunque, stando alla convenzione, definirsi contemporanei; tre sono del secolo scorso e uno, infine, del secolo XVII. Fra gli otto contemporanei appena due io ebbi il privilegio di incontrare personalmente: forse tre volte (ma senza cavarne più che sette parole) il vecchio Pound, una sola volta Jiří Kolář, settembre 1968, nel pomeriggio di una soffitta praghese. Soltanto Kolář, di tutti, è ancora vivo e operante. Ero andato a trovarlo per chiedergli qualche poesia da includere, tradotta in italiano, in una frettolosa scelta di poeti cechi: - Ah grazie, molto gentile, - mi disse segnandone alcune in un suo libro. - Questa qui, o questa, o questa ancora: scelga lei, a suo piacere-. Il poeta Kolář, voglio dire, deponeva docilmente il suo collo sul ceppo della ghigliottina traduttiva; eppure si sarà domandato: «Come farà a tradurmi costui che non spiccica una parola nella mia lingua?»
   Beh, questo sarà un altro problema (non minore di quello che si ponga a chi, pur espertissimo nella lingua straniera di cui si serve la poesia da tradurre, non lo sia altrettanto in quella lingua straniera in grado ulteriore (o lingua strana, tout court) che è la «lingua poetica» in cui la data poesia consiste). Dal poeta Kolář, che non ho più incontrato, non mi pervennero rimostranze, forse (se non erro) ancora ringraziamenti: non so se ciò fosse dovuto ad assenza di errori nelle mie traduzioni o a sua pigrizia nel protestare (per quanto mi riguarda, quando il tradotto sono io, non protesto mai e quasi sempre ringrazio). Magari fu dovuto a intoppi del sistema di comunicazioni postali fra paesi come la Cecoslovacchia e l'Italia, divisi dal cuius regio del nostro tempo. E poi quante parole potrà sapere in italiano il poeta Kolář
L'unica poesia del boemo Jiří Kolář (1914-2002) che Giudici ha inserito in questo volume, è intitolata Mensile di poesia, trentuno norme a cui attenersi per fare poesia, scandite in versi una per giorno:

Chi si mette a scrivere una poesia il primo del mese
non deve perder la testa
altrimenti il mistero non riconosce la sua passione degna di riscatto dalla mortalità
e dovrà contentarsi solo del corpo della poesia.
Chi si mette a scrivere il due del mese
deve fare attenzione al linguaggio
perché chi imprime ai versi un tono altro dal linguaggio reale della gente
anche se parli in diamanti
scriverà sui diamanti
ma non farà poesia. 
(.................)
Il trenta
deve sapere che le parole sono rose e anche capestri
ma che è segno di stupidità
regalare senza  sgarbo un mazzo di capestri o impiccarsi a una rosa
perché la poesia non è
non senso ma miracolo di vita.
Il trentuno
deve capire che il destino non è un salto di morte sotto un treno
ma un salto sotto un treno
scampandone senza il minimo danno
Di un altro poeta boemo, Jiří Orten (1919-1941), morto a soli 22 anni a Praga, lui che da ebreo già soffriva per i divieti imposti dagli occupanti nazisti, fu investito e ucciso da un loro carro; Giudici ha inserito molte poesie, che erano già apparse in una raccolta del 1969 per Einaudi col titolo La cosa chiamata poesia.

La cosa chiamata poesia
quella vorresti fare?
In solitudine singhiozzare
e tanto volere bene

Senti? E' il tuo ticchettio
Così disperato giocare
La cosa chiamata poesia
quella vorresti fare?

Forse lo sai che spesso
la parola è troppo sciocca
ma Dio ti chiude la bocca
e altro non ti può dare

La cosa chiamata poesia
quella vorresti fare?
 7.12.1938
 Di chi sono?

Io sono dei piovaschi e delle siepi
e delle erbe chinate dalla pioggia
e della chiara canzone che non gorgheggia,
del desiderio che sta chiuso in lei.

Di chi sono?
Io sono di ogni piccola cosa smussata
 che mai spigoli ha conosciuto,
dei piccoli animali che reclinano la testa,
sono della nuvola quando è straziata.

Di chi sono?
Io sono del timore che mi ha tenuto
con le sue trasparenti dita,
del coniglietto che in un giardino in penombra
esercita il suo fiuto.

Di chi sono?
Io sono dell'inverno ostile ai frutti
e della morte, se il tempo lo chieda,
io sono dell'amore, di cui sbaglio la porta,
al posto di una mela ai vermi lasciato in preda.
26.5.1940

Questa la cospicua squadra di poeti presenti nell'antologia, che per la grande eterogeneità delle loro personalità e opere, rende molto prezioso questo volume.


  • John Donne
  • Hart Crane
  • Emily Dickinson
  • Ezra Pound
  • Robert Frost
  • John Crowe Ramson
  • Jiří Orten
  • Jiří Kolář
  • Aleksandr S. Puškin
  • William B. Yeats
  • Samuel T. Coleridge