martedì 29 gennaio 2013

Hemingway - TUTTI I RACCONTI - Mondadori 2006 - € 35,00



Avevo una bella edizione rilegata dei Quarantanove racconti di Hemingway che risaliva ai primi anni '60,  commercializzata dal Club degli Editori a cui ero molto affezionato: devo averla prestata (non ricordo a chi) e non è più tornata indietro. Accade quando non si è abbastanza gelosi delle proprie cose, ed io non lo sono !

C'era un racconto in particolare - di cui non ricordavo il titolo - che mi era rimasto impresso: ci sono un uomo e una donna in una stazione ferroviaria che aspettano un treno, di loro non conosciamo i nomi, non viene detto il rapporto che li lega, si intuisce il motivo che li spinge a partire.... 

Quando Mondadori pubblicò Tutti i racconti nella collana i Meridiani, approfittai di un'offerta promozionale e acquistai il volume; così finalmente rilessi quel racconto che mi aveva tanto colpito: si trattava di Colline come elefanti bianchi.

Rileggendolo ho capito perché quella storia mi era rimasta impressa nonostante non vi accadesse niente di particolare, semplicemente perchè Hemingway aveva applicato la sua teoria dell'iceberg, com'è noto dell'iceberg è visibile solo un ottavo della sua massa, il resto rimane sott'acqua. Così di quella storia di un uomo e una donna ci viene accennato solo quel tanto che basta per accendere l'interesse e non ci viene detto tutto, il resto lo deve immaginare il lettore.


 
In questo Meridiano oltre i Quarantanove racconti ci sono tutti i testi successivi compresi i sette racconti postumi e in our time, quei diciotto capitoli numerati, senza nesso, senza una trama unica, ma collegati misteriosamente tra loro, che sono stati chiamati "vignette" o "schizzi" o "minaiature" e hanno creato un esempio di grande sperimentazione linguistica.

Il volume e completato da una Introduzione, Cronologia e Note ai testi a cura di Fernanda Pivano;  una Bibliografia a cura di Rosella Mamoli Zorzi, e una Filmografia a cura sempre della Pivano.



Scrive la Pivano nell'introduzione:

La fama di Ernest Hemingway, legata alla sua quindicina di libri, esplose quando era poco più che un ragazzo e andò crescendo con gli anni in un miscuglio indissolubile tra le sue superbe prestazioni letterarie e il suo stile di vita spericolato. (....)
Col passare del tempo quasta fama divenne sempre più meritata a causa dei racconti che lo rivelarono e continuano a rivelarlo un grande maestro. Fu con i racconti che Hemingway affrontò la fascinosa e difficile via della narrazione sconfinando in pagine terse e drammatiche dei servizi giornalistici che spediva in Canada dall'Europa.

E ancora:

La concisione così travagliata che i critici più superficiali hanno definito con spregio "giornalese" e che effettivamente Hemingway elaborò dalla lezione del giornale dove lavorò da ragazzo filtrandola però attraverso le scoperte linguistiche di Gertrude Stein con la sua paratassi e le sue ripetizioni, di Ezra Pound con i suoi incitamenti verso il "nuovo" e della propria scoperta del linguaggio vernacolare medio-occidentale, è frutto di una concentrazione assoluta, di una precisione da chirurgo, di una concisione grazie alla quale Hemingway cancellava nove aggettivi su dieci, nove avverbi su dieci in revisioni instancabili che per esempio gli fecero riscrivere trentanove volte l'ultima pagina di A Farewall to Arms.

Ci sono aspetti della vita di Hemingway che possono risultare sgadevoli come la caccia, la corrida, un certo machismo, ma non possono certo inficiare il valore della suo opera. Conclude così la Pivano:

A questo punto il suo stile di vita non interessa più, interessano poco anche le tematiche che ne sono derivate. Hemingway resta un grande scrittore per il modo di scrivere che ha inventato, per un dialogo che nessuno è mai riuscito a imitare, per una prosa che regge il confronto con i maggiori scrittori esistiti senza dipendere, in realtà, da nessuno.

 


domenica 27 gennaio 2013

Emilio Cecchi Niccolò Gallo FANTASIA E REALTA' Pagine di narrativa italiana - A.Mondadori Editore 1943 - £ ...


Ho sempre apprezzato le Antologie, ma tra tutte quelle che ho avuto tra le mani, questa del ginnasio di mio fratello Mario è quella che amo di più. Ancora oggi, sfogliandola e leggendovi i brani proposti,  rimango stupito dall'estensione della ricerca che i curatori hanno fatto per offrire un panorama così inconsueto della narrativa italiana.

Ricordiamo  per i giovani, chi sono i due  illustri autori.
Emilio Cecchi (1884-1966) grande giornalista del novecento, è tra i fondatori della rivista La Ronda (con Bacchelli, Cardarelli, Barrili e altri) che si assunse l'onere di sprovincializzare la cultura italiana e renderla indipendente dal potere politico, entrando in fortissima polemica col movimento futurista di Marinetti.

Niccolò Gallo (1912-1971) critico letterario e curatore editoriale della Mondadori. Scrisse di lui Fulvio Tomizza, in occasione della sua prematura e improvvisa scomparsa: "ha sempre ritenuto lo studio della letteratura italiana, di cui era al servizio, un punto di vista privilegiato per esplorare le possibilità delle trasformazioni umane".

 Scrivono i due curatori nella prefazione:

Invitati a preparare un'antologia della narrativa italiana, che rispondesse ai nuovi programmi dei Licei Classico e Scientifico, c'è sembrato anzitutto dover astenerci da presentare frammenti e ritagli d'opere come I Promessi Sposi, Le Confessioni d'un Italiano, I Malavoglia, ecc., che ogni giovane, se già non le conosce, deve affrettarsi a conoscere nella loro integrità.

E dopo aver spiegato i criteri di scelta dei frammenti presentati, concludono con un auspicio:

Il miglior premio per la nostra fatica sarebbe se, trascorsi gli anni di scuola, a questo libro fosse serbato un posto, nel ricordo e nello scaffale dei suoi lettori d'oggi.

Auspicio pienamente realizzato se ancora oggi, dopo 70 anni, occupa un posto privilegiato nella biblioteca di un lettore impenitente e accanito.

A mo' d'esempio trascrivo  per intero il brano di un Anonimo Romano titolato Decapitazione, che è la cronaca dell'esecuzione di Fra Moreale, avventuriero provenzale che dette in prestito a Cola di Rienzo quattromila fiorini perché potesse rientrare a Roma, (da Praga) ma qui il tribuno - nel frattempo trasformatosi in tiranno - lo fece decapitare.

Puoi che fo ne lo piano, là dove fuoro le fonnamenta de la torre, fatta la rota intorno, inginocchiaose in terra: puoi se levao e disse: - Non sto bene - Voitaose vierzo oriente e recommannaose a Dio; puoi se inginocchiao in terra, basao lo cieppo e disse: - Dio te salvi, santa justizia. - Fece co la mano una croce sopra lo cieppo e vasaola; trassesi lo cappuccio e gettaolo; puosta che li fo la mannara in cuollo, favellao e disse: - Non staio bene. - Allora era seco molta bona iente, fra li quali lo suo medico de piaghe. Questo li trovao la ionta dell'osso de lo cuollo. Posto lo fierro, a lo primo colpo stoizao in la. Pochi peli de la varva remasero ne lo cieppo. Frati Minori tòrzero su cuorpo in una cassa, ionto lo capo co lo busto. Pareva che attorno a lo cuollo avesse una zaganella de seta roscia.

In questa breve cronaca, che è un esempio di narrazione giornalistica di grande efficacia, quello che colpisce è quel particolare degno di un grande narratore, l'immagine che si fissa nella mente: Pareva che intorno al collo - decapitato - avesse una frangia di seta rossa.

Quante sorprese può nascondere un'Antologia. 

sabato 26 gennaio 2013

Milo Manara - Hugo Pratt - TUTTO RICOMINCIO' CON UN'ESTATE INDIANA - Milano Libri Edizioni 1986 - £ 21.000


Dall'incontro tra il veneziano Pratt e il veronese Manara nasce questo grande affresco storico dell'America puritana, che si colloca tra L'Ultimo dei Moicani  di Fenimore Cooper e La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne.

I testi di questo vero e proprio romanzo d'avventure sono di Hugo Pratt (1927-1995) e i disegni del suo allievo Milo Manara (1945): è una storia che si svolge a New Caanan (Connecticut) nel New Englad, dove si intrecciano le vicende di una giovinetta venduta al reverendo Black che abuserà di lei, del figlio del peccato nato  da quell'unione, di uno strupro di una giovinetta, del coinvolgimento degli indiani, di vendette e di sordi rancori 

In una apocrifa prefazione firmata James Fenimor Cooper, che inquadra storicamente gli eventi, viene detto:

Pratt il veneziano e Manara il veronese ci dicono che entrambi insieme ripercorreranno i sentieri delle grandi lotte indiane come un altro già fece. Era dunque l'inizio del XVII secolo, anche il mondo americano ebbe il suo aedo, cantore di una Iliade di eroi e numi tutelari di puritani e di quaccheri. Essi combatterono con bibbie e archibugi contro indiani narragansett e mohegan armati di frecce e tomawak. Guerre che coinvolsero varie tribù di aborigeni del litorale nordatlantico di Cape Cod nel Massachusetts e una società di commercianti religiosi che, avvalendosi di una "patente" rilasciata dalla corona inglese, prese possesso, in questa parte del nuovo continente, della regione occupata dagli indiani appartenenti alla grande famiglia degli abenaki.























Scrive ancora nella prefazione Fenimore Cooper:


Stupisce come un veneziano e un veronese potessero avere tali doti di ricostruzione di ambienti e situazioni da rendere veri persino ai nostri occhi quegli attacchi, quegli scontri, quelle vicende familiari, quelle turpitudini e quelle violenze così vive per noi che mai abbiamo osato descrivere a causa della forte pressione esercitata sulle nostre opere dalle comunità puritane e dalle loro censure. (.......)
Dalla nostra lontananza azzardiamo una domanda al maestro di Verona. Nella sequenza dell'attacco indiano a New Caanan non ha disegnato un po' troppi guerrieri indiani? Certamente se fossero stati tutti quelli che il bravo Manara ha messo sulla scena, nessuno degli abitanti di quella colonia puritana sarebbe sopravvissuto, parola di Fenimore Cooper. Ma questo è senza ombra di dubbio dovuto alla grande passione del disegnare che lui ci ha dimostrato in tutta questa estate indiana che anche tu, o lettore, devi assaporare come noi abbiamo fatto, coi nostri occhi lontani, senza mai sostare.

giovedì 24 gennaio 2013

Pabro Neruda - da "20 poemas de amor" la poesia CUERPO DE MUJER - Due traduzioni a confronto: Giuseppe Bellini e Salvatore Quasimodo.









Lasciamo ai luoghi comuni e alle frasi fatte l'affermazione che la  traduzione implica sempre un tradimento; anche se la radice di entrambi i termini è uguale. Traduzione dal latino traducere = far passare, da trans = al di là e ducere = condurre, condurre qualcuno o qualcosa da un luogo a un altro, far passare un'opera da una lingua all'altra. Tradire dal latino tradere =  consegnare, dare al di là.

La traduzione letteraria è un compromesso necessario alla fruizione di capolavori di tutti i tempi e luoghi, senza la quale rimarebbero inaccessibili. Bisogna sempre tener presente che la traduzione è, comunque, una ri-creazione, la trasformazione di qualcosa in qualcos'altro, quasi la stessa cosa e quel quasi - ha scritto Umberto Eco - è lo spazio avventuroso del ricreare.

Queste considerazioni per presentare due traduzioni di una poesia di Pablo Neruda, Cuerpo de mujer dalla raccolta 20 poemas de amor y una canción desesperada (1924), una dell'illustre ispanista Giuseppe Bellini e l'altro del poeta Salvatore Quasimodo.




CUERPO DE MUJER


Cuerpo de mujer,blancas colinas, muslos blancos,
te pareces al mundo en tu actitud de entrega.
Mi cuerpo de labriego selvaje te socava
y hace saltar el hijo del fondo de la tierra.


Versione Giuseppe Bellini (Nuova Accademia,1963)


Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
tu rassomigli al mondo nel tuo atteggiamento d'abbandono.
Il mio corpo di contadino selvaggio ti scava
e fa saltare il figlio dal fondo della terra.

Versione Salvatore Quasimodo (Einaudi, 1952)


Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
tu appari al mondo nell'atto dell'offerta.
Il mio corpo di contadino selvaggio ti scava
e fa saltare il figlio dal fondo della terra.

Fui solo como un túnel. De mí huían los pájaros,
y en mí la noche entraba su invasión poderosa.
Para sobrevivirme te forjé como un arma,
como una flecha en mi arco, como una piedra en mi honda.


Versione Giuseppe Bellini :

Sono stato solo come una galleria. Da me fuggivano gli uccelli
e in me la notte entrava con la sua invasione possente.
Per sopravvivermi ti ho forgiata come un'arma,
come una freccia al mio arco, come una pietra nella mia fionda. 


Versione Salvatore Quasimodo:

Fui deserto come un tunnel. Da me fuggivano gli uccelli,
e in me la notte forzava la sua invasione poderosa.
Per sopravvivere ti forgiai come un'arma.
come freccia nel mio arco, pietra nella mia fionda. 


Pero cae la hora de la venganza, y te amo.
Cuerpo de piel, de musgo, de leche ávida y firme.
Ah los vasos del pecho ! Ah los ojos de ausencia !
Ah las rosas del pubis ! Ah tu voz lenta y triste !   


Versione Giuseppe Bellini :

Ma cade l'ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del petto ! Ah gli occhi dell'assenza !
Ah la rosa del pube ! Ah la voce lenta e triste.
Versione Salvatore Quasimodo :

Ma viene l'ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah, le coppe del seno ! Ah, gli occhi d'assenza !
Ah, le rose del pube ! Ah, la tua voce lenta e triste !

 
Cuerpo de mujer mía, persistiré en tu gracia.
Mi sed, mi ansia sin límite, mi camino indeciso !
Oscuros cauces donde la sed eterna sigue,
y la fatiga sigue, y el dolor infinito. 


Versione Giuseppe Bellini :

Corpo di donna mia, persisterò nella tua grazia.
La mia sete, la mia ansia senza limite, la mia strada indecisa !
Oscuri fiumi dove la sete eterna continua,
e la fatica continua, e il dolore infinito.

Versione Salvatore Quasimodo :

Corpo della mia donna, resterò nella tua grazia.
Mia sete, mia ansia senza limite, mia strada indecisa !
Oscuri alvei da cui nasce l'eterna sete,
e la fatica nasce, e l'infinito dolore.  

La versione di Salvatore Quasimodo, del poeta Quasimodo, a me sembra  corrisponda di più  all'originale, anche dal punto di vista della musicalità del verso.

mercoledì 23 gennaio 2013

Bernard Moitessier - CAPO HORN ALLA VELA - Mursia 1969 - £ 3.200





Splendida l'avventura  di Soldini e il suo Team che a bordo di Maserati, su la tratta New York S.Francisco,  oggi ha doppiato Capo Horn, stabilendo un primato in 21 giorni, 23 ore e 14 minuti di navigazione.

L'entusiasmo per questa grande prova di virtù marinara mi ha ricordato un libro magico, che mi ha fatto scoprire la vela - siamo alla fine degli anni '60 - questo di Bernard Moitessier (1925-1994): un uomo di mare straordinario che a bordo di Joshua un ketch in acciaio,  lungo 12 metri, per alberi due pali telegrafici di18 metri, e per equipaggio la sola  moglie (digiuna di navigazione), percorre 14.000 miglia senza scalo, passando per Capo Horn con onde alte 20 metri! Inutile dire che non disponeva di GPS, ma solo di carte nautiche, effemeridi, portolano, sestante e cronometro, come si navigava una volta quando la tecnologia informatica era solo fantascienza

Questo il percorso del Joshua; era stato dato questo nome all'imbarcazione in onore del grande Joshua Slocum (1884-1909), (il primo uomo a circumnavigare il mondo a vela percorrendo 46.000 miglia tra il 1895 e 1898 su uno sloop di m. 11,2 denominato Spray).







Un uono eccezionale Moitessier, per dirne una: durante la prima regata intorno al mondo in solitario, il Golden Globe Race (1969), pur essendo in condizioni di vantaggio e prossimo ormai alla vittoria, decide di allungare la traversata e doppia per la seconda volta il Capo di Buona Speranza, rinunciando così alle 5000 sterline di premio.

Per chi ama il mare e la vela, un libro  avvincente, emozionante, indimenticabile!

martedì 22 gennaio 2013

Jack Kerouac - I SOTTERRANEI - Universale Economica Feltrinelli 1973 - £ 800

                                          


C'è una dichiarazione di Kerouac, che, secondo me, è un indizio eloquente per valutare complessivamente la sua opera, dice infatti nel 1962:

« La mia opera forma un unico grosso libro come quella di Proust, soltanto che i miei ricordi sono scritti di volta in volta. A causa delle obiezioni dei miei primi editori non ho potuto servirmi degli stessi nomi di persona in ogni libro. [...] non sono che capitoli dell'intera opera ch'io chiamo La Leggenda di Duluoz[...] veduta attraverso gli occhi del povero Ti Jean (io), altrimenti noto come Jack Duluoz »

Keruoac come Proust, dunque, un'unica lunga narrazione della sua fatica di vivere.  Gli editori non lo apprezzarono abbastanza e lo pubblicarono non tanto perché credevano nel valore letterario delle sue opere, quanto perché di moda il movimento beatnik che lui raccontava. Per questo la sua aspirazione di riunire tutti i suoi romanzi in un'opera unica, con gli stessi personaggi, a somiglianza della recherche proustiana, non venne realizzata. 

Henry Miller ha trovato in Kerouac l'autentica incarnazione di quanto profetizzato da  un suo personaggio (in Tropico del Cancro) il quale dice, a proposito del libro che intende scrivere: "Mi stenderò sul tavolo operatorio, e metterò in mostra le budella". E' esattamente quello che Kerouac compie scrivendo e vivendo, scrivendo come vive e vivendo come scrive, fino alla prevedibile fine.

Dalla prefazione che Henry Miller scrisse per l'edizione Feltrinelli di I Sotterranei del 1960, nella collana Le Comete:

Jack Kerouac ha violentato a tal punto la nostra immacolata prosa, che essa non potrà più rifarsi una verginità. Appassionato cultore della lingue, Kerouac sa come usarla. Da virtuoso nato qual è, egli si compiace di sfidare le leggi e le convenzioni dell'espressione letteraria ricorrendo ad una comunicazione rattratta scabra liberissima tra scrittore e lettore.

Questa  edizione dell'Universale Economica, tradotta da un Anonimo di cui non sono riuscito a risalire all'identità, è arricchita  dalla presentazione di Miller e un'Introduzione di Fernanda Pivano, che è un saggio sull'opera di Kerouac e un minuzioso esame del suo linguaggio, della struttura jazzistica del suo stile.

Scrive Fernanda Pivano:


Non è uno scrittore di idee: le sue idee si sono concentrate e manifestate nello sforzo di individuare e ricreare il costume descritto; la sua qualità non va ricercata nel pensiero, ma nell'intensità emotiva. Che dipende dalla sua lingua, dal suo linguaggio, dal suo stile jazzistico, o che dipenda semplicemente da un suo vigore espressivo, sta il fatto che la vita e le immagini evocate da Kerouac sono dense e vibranti come in pochi scrittori della storia letteraria americana.

Questo l'Incipit :

Ero una volta giovane e aggiornato e lucido e sapevo parlare di tutto con nervosa intelligenza e con chiarezza e senza far tanti retorici preamboli come faccio ora; in altre parole questa è la storia di uno sfiduciato che non è più padrone di se e insieme la storia di un egomaniaco, per costituzione e non per facezia - questo tanto per cominciare dal principio con ordine ed enucleare la verità, perché è proprio questo che voglio fare. - Cominciò una calda notte d'estate, si, con lei seduta su un parafango quando Julien Alexander che sarebbe..... Ma cominciamo dalla storia dei sotterranei di San Francisco.

E' la storia del tormentato rapporto tra l'autore, Leo Percepied,  e Mardou, bellissima mezzosangue - madre nera e padre cheroke, perennemente in giro per i locali di San Francisco, dove si fa jazz,  tra giovani scrittori beat, poeti e perditempo, tra sogni di redenzione e distruttive sbornie. 

martedì 15 gennaio 2013

Trilussa - ACQUA E VINO - OMMINI E BESTIE - LIBRO MUTO - BMM n. 109 del 1959 - Prezzo netto £ 350


Carlo Alberto Salustri più noto come Trilussa, dall'anagramma del cognome, (1871-1950), appassionato dell'opera del Belli, esordì giovanissimo con alcune poesie sul Rugantino, storico periodico romanesco che vide la luce a Roma addirittura nel 1848 con un placet di PIO IX, che per la prima volta concedeva uno spazio alla libertà di stampa!

Del  Rugantino ho un tenero ricordo perché era una lettura frequente in casa da parte di mia nonna Elvira, che ricordo,  a volte, chiedeva a me di di leggerle  i feuilleton che pubblicavano a puntate.

 



 Nelle poesie e nei sonetti la satira amara di Trilussa spazia in cinquant'anni di cronaca italiana, dall'età giolittiana attraverso il fascismo, la guerra, il dopoguerra, e gli anni della ricostruzione.


CAFFE' DER PROGRESSO
Er Caffè der Progresso
è una bottega bassa, così scura
ch'ogni avventore è l'ombra de se stesso.
Nessuno fiata. Tutti hanno paura
de dì un pensiero che nun è permesso.

Perfino la specchiera,
tutt'ammuffita da l'ummidità,
è diventata nera
e nun rispetta più la verità.

Io stesso, quanno provo
de guardamme ner vetro,
me cerco e nun me trovo...

Com'è amaro l'espresso
ar Caffè der Progresso !
(1938)

Trilussa, sebbene avesse evitato di prendere la tessera fascista, mantenne buoni rapporti col regime, e preferiva definirsi non-fascista piuttosto che antifascista, anche se sottilmente lo prendeva di mira nei suoi versi.

DIFETTO DE PRONUNCIA

Er Re, finito er giro der castello,
chiese ar guardiano : - E dov'avete messo
quer pappagallo che strillava spesso
"Viva la libbertà!", dietr'ar cancello ?

Ancora me ricordo de la pena
che provò l'avo mio quanno l'intese;
s'interessò der fatto e a proprie spese
decise d'allungaje la catena. -

Er guardiano rispose : - Ancora campa:
ma je se rotto er becco p'er motivo
ch'ogni tanto faceva er tentativo
de levasse l'anello da la zampa.

Mò sta avvilito, povera bestiola,
e ogni vorta che chiacchiera s'ingrifa:
invece de di "viva" dice "fifa"...
e 'r rimanente je s'incastra in gola.

(1936)

L'ironia nella poesia di Trilussa manifesta quella forma di pessimismo che è strutturale in tutto il movimento letterario ottocentesco.
Pappagallo ermetico

Un Pappagallo recitava Dante :
"Pepe Satan, pepe Satan aleppe..."
Ammalappena un critico lo seppe
corse a sentillo e disse : - E' impressionante !
Oggigiorno, chi esprime er su' pensiero
senza spiegasse bene, è un genio vero :
un genio ch'è rimasto per modestia
nascosto ner cervello d'una bestia.
Se vôi l'ammirazione de l'amichi
nun faje capì mai quelo che dichi.
(1937)

Politicamente Trilussa lo si può definire uno scettico qualunquista, un classico borghese convinto che tutti coloro che si schierano politicamente hanno il loro bravo tornaconto, ne consegue che la satira è sempre venata da un amaro sceticismo.

Lo vediamo in
 alcuni sonetti sull'argomento "Elezioni politiche".


L'INDENNITA'

Adesso, ar Parlamento Nazzionale
ogni rappresentante der Paese
sai quanto pija? Mille lire ar mese :
dodicimila all'anno... Non c'è male!

Chi je li da ? Nojantri: è naturale !
Ne la paga, però, ce so' comprese
l'opinioni politiche e le spese
pe' sostené la fede e l'ideale.

Quelli che ne potrebbero fa' senza,
perché so' ricchi e cianno robba ar sole,
li spenneranno pe' beneficenza.

Er mio, defatti, pare che li dia,
ar Pro-Istituto de le donne sole
ch'anno bisogno d'una compagnia...
 (1913)

LA SINCERITA' NE LI COMIZZI

Er deputato, a dilla fra de noi,
ar comizzio ciagnede contro voja,
tanto che a me disse : - Ih Dio che noja ! -
Me lo disse, è verissimo : ma poi

sai come principiò ? Dice : - E' con gioja
che vengo, o cittadini, in mezzo a voi
per onorà li martiri e l'eroi,
vittime der Pontefice e der boja ! -

E, lì, rimise fòra l'ideali,
li schiavi, li tiranni, le catene,
li re, li preti, l'anticlericali...
Eppoi parlò de li principî sui :
e allora pianse : pianse così bene
che quasi ce rideva puro lui !

MINISTRO

Se sa : l'uomo politico italiano
procura d'annà appresso a la corrente;
si lui nun ciriolava, certamente,
mica finiva còr potere in mano !

Perché da socialista intransiggente
un giorno diventò repubblicano.
poi doppo radicale e, piano piano,
sortì dar gruppo e fece er dissidente.

Adesso ?  E? ricevuto ar Quirinale !
E, siccome è Ministro, nun te nego
che sia 'na conseguenza naturale :

però nun so capì co' che criterio
chiacchieri còr Sovrano, e nun me spiego
come faccia er Sovrano a restà serio !
(1911)

Quando nei versi compaiono gli animali, la satira si fa più leggera, e l'amarezza, se vi traspare, ha un sapore bonario.

LA FESTA DEL SOMARO

Le Capre compativano er Somaro :
- Quanto devi soffrì co' 'sta capezza !
- Mah ! - fece lui - quann'uno ce s'avvezza
finisce che je serve da riparo.

Eppoi, se la domenica er padrone
me porta in giro, dove c'è la fiera,
co' li pennacchi e co' la sonajera,
me scordo tutto. Che soddisfazzione !
(1938)

Voglio finire con questo breve sonetto, la panoramica del primo dei quattro volumi di Trilussa, che sembra disegnare l'essenza del carattere del popolo romano, il suo scetticismo che gli impedisce di prendere le cose sul serio,  che gli viene da secoli di convivenza con il potere oppressivo del papato, ma anche dall'aver visto, attraverso gli avi, la gloria dell'Impero Romano e la sua tragica fine.


LA STRADA MIA

La strada è lunga, ma er deppiù l'ho già fatto :
sodov'arrivo e nun me pijo pena.
Ciò er core in pace e l'anima serena
der savio che s'ammaschera da matto.

Se me frulla un pensiero che me scoccia
me fermo a beve e chiedo ajuto ar vino :
poi me la canto e seguito er cammino
 còr destino in saccoccia.






Questi gli altri tre volumi di Trilussa nella classica edizione BMM, i Nr.  184 - - 292 - 345


































giovedì 10 gennaio 2013

Edmondo De Amicis - CUORE - Garzanti 1951 - £ 550

                        


Questo libro in brossura, tenuto assieme alla meglio con una striscia di adesivo trasparente, mi è particolarmente caro perché mi è stato regalato da mia madre nel 1953, quando avevo 14 anni. Nel foglio di guardia vi è la dedica che mia madre scrisse con l'augurio che la  lettura potesse rendermi sempre migliore. 

Sul verso del frontespizio, dove si indica la proprietà letteraria, una annotazione dell'editore ricorda che: "Ogni esemplare di quest'opera che non rechi la firma del figlio dell'Autore deve ritenersi contraffatto". Infatti sotto vi è la firma a timbro di Ugo De Amicis

Edmondo De Amicis (1846-1908) dopo l'Accademia di Modena diventò ufficiale e partecipò alla Battaglia di Custoza, nel 1867 lasciò l'esercito e diventò giornalista e inviato di guerra per conto del Ministero, in seguito fu inviato di guerra del giornale La Nazione di Firenze, dove si era nel frattempo trasferito. Come giornalista assistette alla presa di Roma nel 1870.

La prima edizione del Cuore si ebbe nel 1886 presso l'editore Treves è fu subito un grande successo letterario che in pochi mesi superarono le quaranta edizioni e  decine di traduzioni in altre lingue.

Il libro è costruito come la finzione letteraria di un diario tenuto da un alunno di terza elementare, e così lo presenta De Amicis in una sorta di prefazione:


Questo libro è particolarmente dedicato ai ragazzi delle scuole elementari, i quali sono tra i nove e i tredici anni, e si potrebbe intitolare: Storia d'un anno scolastico, scritta da un alunno di terza d'una scuola municipale d'Italia - Dicendo scritta da un alunno di terza, non voglio dire che l'abbia scritta propriamente lui, tal qual è stampata. Egli notava man mano in un quaderno, come sapeva, quello che aveva visto, sentito, pensato, nella scuola e fuori; e suo padre, in fin d'anno scrisse queste pagine su quelle note, studiandosi di non alterare il pensiero, e di conservare, quanto fosse possibile, le parole del figliolo. Il quale poi, quattro anni dopo, essendo già al Ginnasio, rilesse il manoscritto e v'aggiunse qualcosa di suo, valendosi della memoria ancor fresca delle persone e delle cose. Ora leggete questo libro, ragazzi: io spero che ne sarete contenti e che vi farà del bene.

La suddivisione in capitoli segue i mesi dell'anno scolastico: inizia a ottobre e finisce a luglio, all'interno di ogni mese ci sono delle lettere che il padre e la madre periodicamente scrivono a Enrico - l'io narrante del libro - per raccomandare, esortare, rimproverare: esercitare, insomma, quella fondamentale attività educativa  che i  genitori sono chiamati a svolgere.

Ci sono poi le letture mensili, che i ragazzi fanno e commentano, si tratta di racconti che si possono definire edificanti, che esaltano le virtù del coraggio, dell'altruismo, della generosità, dell'amor patrio: Dall'Appennini alle Ande, Sangue romagnolo, La piccola vedetta lombarda eccetera.

Martedì 29 novembre, scrive la madre a Enrico:
Dare la vita per il proprio paese, come il ragazzo lombardo, è una grande virtù; ma tu non trascurare le virtù piccole, figliolo. Questa mattina, camminando davanti a me quando tornavamo da scuola, passasti accanto a una povera, che teneva fra le ginocchia un bambino stentino e smorto, e che ti domandò l'elemosina. Tu la guardasti e non le desti nulla, e pure ci avevi dei soldi in tasca. Senti, figliolo, non abbituartti a passare indifferente davanti alla miseria che tende la mano, e tanto meno davanti a una madre che chiede un soldo per il suo bambino. Pensa che forse quel bambino aveva fame,pensa allo strazio di quella povera donna. Te lo immagi il singhiozzo disperato di tua madre, quando un giorno ti dovesse dire: - Enrico, oggi non posso darti nemmeno il pane? - Quand'io do un soldo a un mendico, ed egli mi dice: - Dio conservi la salute a lei e alle sue creature - tu non puoi immaginare la dolcezza che mi danno al cuore quelle parole, la gratitudine che sento per quel povero. Mi par davvero che quel buon augurio debba conservarci in buona salute per molto tempo, e ritorno a casa contenta, e penso: "Oh! quewl povero m'ha reso assai più di quanto gli ho dato!". Ebbene, fa' ch'io senta qualche volta quel buon augurio provocato, meritato da te; togli tratto tratto un soldo alla tua piccola borsa per lasciarlo cadere nella mano d'un vecchio senza sostegno, d'una madre senza pane, d'un bimbo senza madre. I poveri amano l'elemosina dei ragazzi perché non li umilia, e perché i ragazzi, che han bisogno di tutti, somigliano a loro: vedi che ce n'è sempre intorno alle scuole, dei poveri. L'elemosina di un uomo è un atto di carità; ma quella di un fanciullo è insieme un atto di caritàe una carezza; capisci? E' come se dalla tua mano cadessero insieme un soldo e un fiore. Pensa che a te non manca nulla, ma che a loro manca tutto; che mentre tu vuoi essere felice, a loro basta di non morire. Pensa che è un orrore che in mezzo a tanti palazzi, per le vie dove passano carrozze e bambini vestiti di velluto, ci siano delle donne, dei bimbi che non hanno da mangiare. Non aver da mangiare, Dio mio! Dei ragazzi come te, buoni come te, intelligenti come te, che in mezzo a una grande città non han da mangiare, come belve perdute in un deserto! Oh, mai più, Enrico, non passare mai più davanti a una madre che mendica senza metterle un soldo nella mano!
                                                                                                           Tua madre


Nelle lettere che il padre scrive sul diario di Enrico, e nei racconti mensili che i ragazzi leggono, c'è la storia del nostro paese in un preciso momento storico, quando l'unità d'Italia era ancora una pagina fresca d'inchiostro e l'entusiasmo e le speranze non ancora disilluse.

Nonostante il libro esalti quelle virtù che sono tanta parte della cultura cattolica: modestia, carità, altruismo, fedeltà, valore della famiglia eccetera, non vi è alcun riferimento alla Chiesa, né alle feste religiose come il Natale e la Pasqua, e per questo il libro Cuore fu aspramente criticato  dai cattolici.

In seguito De Amicis, amico di Filippo Turati,  aderì al partito socialista e collaborò ai giornali Critica sociale e Lotta di classe.

Questi sono i racconti mensili,  otto come i mesi di scuola, e si presentano con un diverso carattere tipografico rispetto a quello usato per il diario di Enrico, mentre  le lettere dei genitori sono in corsivo:
  1. Il piccolo patriota padovano
  2. La piccola vedetta lombarda
  3. Il piccolo scrivano fiorentino
  4. Il tamburino sardo
  5. L'infermiere di Tata
  6. Sangue romagnoloValor civile
  7. Dagli Appennini alle Ande
  8. Naufragio

Non so se l'augurio espresso  da mia madre si sia realizzato, se la lettura edificante abbia in qualche modo influito sull'uomo che poi sono diventato, certo alcuni principi sono passati e fanno da sempre parte del mio essere; tuttavia ancora oggi il mondo semplice raccontato in questo romanzo per ragazzi, continua a commuovermi. Ma forse dipende semplicemente dal fatto che invecchiando ci si rincitrullisce.

mercoledì 9 gennaio 2013

GRAND GOURMET - Rivista internazionale di alta cucina - 1984 - £ 8.000 (versione rilegata £ 12.000 in Libreria))



Là, tout n'est qu'ordre et beautè, Luxe, calme et volupté. 

I versi di Baudelaire sembrano l'headline per una campagna pubblicitaria di questa straordinaria rivista di alta cucina, apparsa nelle edicole italiane nei lontani anni '70, e poi scomparsa come tutte le cose belle.

Questa bella rivista, che si proponeva di sprovincializzare la ristorazione italiana, era stata fondata da un personaggio che sembra uscito dalle pagine di un romanzo: Giuseppe Maffioli (1925-1985), regista negli anni '60 di opere del Ruzzante e attore-caratterista in una  trentina di film negli anni '70. La sua vera passione fu la gastronomia, storico dell'arte culinaria, autore di decine di libri, fu collaboratore della Cucina Italiana, fondatore del Primo Festival Gastronomico; Marco Ferreri lo volle come esperto gastronomico per la realizzazione dei piatti nel suo capolavoro La grande bouffe.

Direttore della rivista era stato chiamato Alfredo Beltrame (1924-1984), cuoco e giramondo: fu direttore dell ristorante del Casinò del Cairo, in seguito chef della reggia di Faruk, in Italia fondò  l'elegante El Toulà di Cortina, capostipite di una fortunata catena di locali in tutta italia.

Dall'incontro di questi  due uomini di cultura nacque questa rivista, destinata a raccogliere il più straordinario campionario di oggetti, prodotti, vini, ricette, servizi, foto e articoli intorno alla grande cucina: dove finisce l'alimentazione e inizia il voluttuoso percorso edonistico vaticinato da Brillat Savarin.





Le ricette sono semplicissime, e i pochi sceltissimi ingredienti subiscono brevi cotture, a volte a bagnomaria, come la terrina di verdure in alto a destra su maionese di pomodoro crudo, l'unica ricetta provata personalmente con grande successo.


Semplicissima, ma che richiede una perfetta esecuzione, le Fragole in sfoglia carammellata qui a fianco.




Vini da seduzione e meditazione per eccellenza i Sauternes di cui qui sotto vediamo una importante selezione. L'articolo racconta l'impervio percorso che porta le uve (Semillon 80% e Sauvignon 20%) ad acquisire quelle particolari caratteristiche organolettiche che ne fanno un vino imparaggiabile.
     



Non c'è niente di strano in un fornaio con l'aspetto del vero fornaio.

Questi è Monsieur Mittelette, nel suo negozio al 48 di rue Caulaincourt, vecchio di cento anni La Galette, si trova il miglior pane di Montmartre.












Parigi. Come dire la tradizione, la suntuosità, la massima raffinatezza, ma anche il rinnovamento per tutto quanto riguarda l'arte della cucina. Culla storica e trampolino delle intuizioni della nouvelle cuisine. Non è certo agevole illustrare sinteticamente quanto questa città può offrire per la delizia del palato e degli occhi, l'unica strada è focalizzare alcuni elementi caratterizzanti. Una sorta di percorso ragionato, senza grandiose velleità, ma con la precisa consapevolezza di poter proporre qualcosa di assolutamente vicino al "top".



Le edicole sono stracolme di riviste di cucina che, in ossequio alla crisi, sono orientate al massimo risparmio, manca l'oggetto elegante, la proposta raffinata come era Grand Gourmet che anche nella pubblicità proponeva i prodotti più pregiati.

La rivista, che usciva in quattro numeri annui e costava  £ 8.000, ha cessato le pubblicazioni per la morte prima del suo direttore e poi del fondatore, avvenute ad un anno di distanza,   entrambi a 60 anni.