domenica 31 luglio 2011

Serena-Dandini DAI DIAMANTI NON NASCE NULLA - Rizzoli 2011 - € 19,00







Seguo il lavoro televisivo di Serena Dandini dal tempo della TV delle ragazze (1988-89) l'ho seguita poi con Avanzi (1991-93), Tunnel (1994), Pippo Chennedy Show (1997) e infine Parla con me dal 2004.

Ho per lei una grande simpatia, alimentata anche da una condisa visione della realtà italiana, che nel suo lavoro televisivo illustra con una amabile pessimistica ironia.

Quando ho avuto tra le mani il prodotto del suo esordio letterario - gentilmente prestatomi dall'amica Tiziana - Dai diamanti non nasce nulla, 854 gr. per 336 pagine riccamente illustrate da una grafica ironica e accattivante, mi sono detto "Ecco la classica strenna natalizia, l'oggetto-libro da regalare, elegante ma povero di contenuti".

A rendere ancora più severo il giudizio: il suo grande formato e il peso eccessivo (per dare un termine di raffronto il volume La mia Parma di Bevilacqua, che contiene i suoi 4 capolavori pesa 781 gr per 676 pagine!), che non agevolano chi come me predilige la lettura comodamente sdraiato a letto.

Transeat. Ho iniziato quindi la lettura, manifestando dentro di me un chiaro pregiudizio nei confronti dell'opera. Ma come diceva Diderot: L'ignoranza è meno lontana dalla verità del pregiudizio.

E infatti ho dovuto ricredermi. L'ho trovato un libro spiritoso, intelligente, divertente, pieno di notizie gustosissime, insolite, interessanti, tutte politically correct e scritto con gran verve.

Oltre naturalmente condividere l'aspetto politico, propositivo di una società che guardi ad un tipo di sviluppo sostenibile, anzi a una decrescita felice, come sostengono ormai filosofi ed economisti come Latouche, Rifkin e altri in tutto il mondo.

Il libro che prende il titolo dai versi finali di Via del Campo di De Andrè, è diviso in 12 capitoli e una introduzione, segue un regalo, una vera chicca, che Dori Ghezzi ha fatto all'autrice, due pagine autografe di Faber con un progetto sulla disposizione di piante e alberi nella loro tenuta in Sardegna.

Ricche ed esaurienti, e non poteva essere altrimenti, le note ai capitoli, gli indici delle piante e una completa Guida ai luoghi con indicati indirizzi, orari e siti web.

mercoledì 27 luglio 2011

Enzo Siciliano - MIA MADRE AMAVA IL MARE - Rizzoli 1994 - £ 26.000










Enzo Siciliano
è uno scrittore che non ci si stanca di leggere, per la sua prosa pacata, per il linguaggio erudito, ma non ostentato, semplice e colto, elegante.

Il romanzo è la rievocazione del rapporto tenero e conflittuale tra il protagonista - l'io narrante - e la madre, durante l'arco di una vita.

Una cronaca familiare sublimata nel ricordo, che spazia, anche con salti temporali non sempre cronologici, tra le mille piccole vicende, scandite dai sentimenti contrastanti, che caratterizzano i rapporti all'interno di una famiglia


Questo l'incipit:

Mia madre amava il mare ma non sapeva nuotare. Entrava con lentezza in acqua e si fermava quando l'acqua le arrivava al petto. Superava i brividi di freddo con qualche risata o dicendo a voce alta, come chiedendo aiuto: "E' fredda". Poi, piegando le ginocchia si immergeva fino al collo e si sollevava di scatto.

Quest'istantanea colta nella memoria, così nitida e precisa, e in qualche modo universale, mi ha commosso, ricordandomi di non essere mai stato al mare con mia madre, che essendo di capelli rossi e di carnagione bianchissima, non amava stare in spiaggia.

E' un romanzo e anche una biografia, un libro della memoria che tenta di ricostruire quel vincolo particolare che lega un figlio alla madre e viceversa, e ne analizza con acume la mutazione, quando vengono a modificarsi i rapporti di dipendenza. L'infermità della madre prima, la sua progressiva invalidità vengono vissute dal figlio con imbarazzato disagio, se non con aperto fastidio.

La perdita dell'autonomia fisica è un tragico stillicidio: ogni momento ripropone qualche particolarità, un disguido insuperabile, un morso alla propria vita.
Chiedeva che le si leggesse il giornale, ma si annoiava. Il viso le si era chiuso: le rughe le si erano strette nella forma del corruccio. Niente altro. Le labbra, piegate in basso, parevano abbandonate da ogni forma. Poteva sembrare imbronciata. Era del tutto atona, invece.

L'ineluttabile infine si compie, mentre il narratore è a Spoleto per una sua commedia da rappresentare al Festival dei Due Mondi, la madre muore

Era morta sola, in un luogo che non avevo mai visto.... Cercavo nella mia testa se nella notte appena passata ci fosse stato un momento in cui l'immagine di lei mi fosse sorto davanti per un addio, o se un brivido mi avessi attraversato per un presentimento. Niente di tutto questo. "Il teatro ti distrae" mi aveva detto spesso lei. Mi aveva lasciato solo con quel lavoro, voltandomi le spalle senza che me ne rendessi conto. (.....)

Il suo corpo morto aveva bisogno d'amore, un amore che solo la natura avrebbe potuto darle. I miei occhi non avevano più sguardo: mi sentivo abbandonato quanto lei - e per questo non avevo potuto guardarla. (.....)

L'odore della cera misto a quello dell'incenso bruciato mi suggerì poco dopo, con semplicità, che la morte è irreversibile.


La morte della propria madre è sempre un fatto abnorme, vissuto con dolore, rimpianto e un fondo di rimorso, per le tante occasioni non colte di restituirle, in parte, quanto da lei ricevuto.

lunedì 25 luglio 2011

Ludovico Geymonat - LA LIBERTA' - Rusconi 1988 - £ 18.000





Ludovico Geymonat (1908-1991), torinese, laurea in filosofia e matematica, comunista, partigiano, tenne la prima cattedra di filosofia della scienza in Italia, si deve a lui l'introduzione in Italia delle opere di epistemologia di Karl Popper.

Nella nostra epoca - scrive Geymonat - non solo ha perso ogni significato il concetto di indipendenza assoluta, ma anche quello di indipendenza relativa ha subito molte restrizioni, cosicchè in parecchi casi possono sorgere fondati dubbi se si possa ancora parlare di indipendenza.


Accanto a queste parole il filosofo ricorda che la libertà dei popoli è un concetto molto vago anche se riscuote il massimo interesse. E che il termine schiavitù si presta a parecchi equivoci.

Ma non tutto finisce qui. Appena la filosofia approfondisce il concetto di libertà i problemi si complicano. Se non abbiamo la libertà, come ottenerla? E, in questa lotta, che posto spetta alle armi, alla violenza? Geymonat dà una risposta. La scrive non soltanto per i filosofi, perché le sue parole diventano, di fronte a tali quesiti, di una chiarezza esemplare.

Il saggio è articolato nei seguenti capitoli:
  1. La libertà come indipendenza
  2. La libertà degli individui
  3. Libertà e violenza
  4. Libertà del pensiero
  5. Libertà dei sentimenti
  6. Libertà della fantasia
  7. Libertà e potere
Semplice, e perciò, illuminante la conclusione del saggio:


Ciò che intendiamo combattere con la nostra analisi non è l'esistenza di un Potere ma la sua trasformazione in qualcosa di intoccabile, cioè di un'entità metafisica.
Difendere la libertà significa difendere il cambiamento, o almeno la possibilità di cambiamento.

domenica 17 luglio 2011

Stefano Jacomuzzi - UN VENTO SOTTILE - Garzanti 1988 - £ 22.000



Ho scovato questo incredibile romanzo in uno dei tanti scatoloni di libri, che mio fratello mi ha affidato, non avendo lui spazio a sufficienza per contenere tutti quelli che, da tempo immemorabile, quotidianamente acquista.

E l'ho trovato incredibilmente interessante, con una scrittura nitida e fantasiosa, con personaggi storici e di fantasia miscelati con autenticità, collocati in una Parigi fine anni '20 di una bellezza elegiaca.

Stefano Jacomuzzi (1924 - 1996) è un autore atipico, non riconducibile ad alcuna corrente letteraria, alcun cenacolo culturale, simile solo a se stesso, un vero cane sciolto della narrativa a cui approda, dopo una vita dedicata all'insegnamento della letteratura italiana all'Università di Torino. Pubblica studi dedicati a Dante, alla letteratura del Cinquecento, Manzoni, saggi sulla letteratura degli anni Trenta e sulla poesia del Novecento.

Un vento sottile (1988) è il suo romanzo di esordio, seguiranno Le storie dell'ultimo giorno (1993) e Cominciò in Galilea (1995), ma anche una Storia delle Olimpiadi e un volume per la Utet Gli sport e questo forse spiega - in parte - l'anomalia di Un vento sottile: una delicata, poetica e, in un certo senso, struggente ricostruzione della vita del boxer Panama Al Brown, uno dei più grandi boxer di tutti i tempi, nel suo periodo parigino, tra personaggi come Jean Cocteau, Jean Marais, Coco Chanel raccontati alla voce narrante da Guillaume, ex cameriere del Caprice Viennois al 59 di Rue Pigalle, suonatore, di corno e filosofo umanista.

Ecco il ritratto di Guillaume fatto da Cocteau:

Gli era stato di grande conforto Cocteau, una volta che al suo tavolino al Caprice gli aveva detto:"Tu sei di quelli che viaggiano con l'anima, Guillaume. L'anima va adagio nei suoi viaggi, raggiunge il corpo lentamente, fa fatica a tenergli dietro, perchè quello si agita, si sposta e appena l'anima si è affannata per raggiungerlo con tutto il suo carico, quello riparte e così le persone che si credono veloci si ingarbugliano e alla lunga finiscono per convingersi di esistere e non esistono più. Tu hai saputo misurare bene i passi del corpo su quelli dell'anima: tu esisti davvero, Guillaume". Gli era sembrato un elogio, e gli era stato di grande conforto.

La scoperta di un autore davvero intrigante, di cui vale la pena approfondire la conoscenza.




martedì 12 luglio 2011

Gina Lagorio - TOSCA DEI GATTI - Garzanti 1988 - £ 13.000



Come ho fatto a dimenticarmi di Tosca? No, non la famosa cantante, creata da Sardou e resa immortale da Puccini, no no, semplicemente Tosca, la portiera del condominio al mare, sull'Aurelia, in quel paesino ligure vicino Loano.

Ma è facile dimenticarsi di lei, un po' grigia, un po' sformata, avanti con gli anni, sola; coi gatti che la seguono quando lava le scale....

Povera Tosca, durante l'inverno il condominio si spopola e resta sola con i suoi gatti, neanche più le quattro chiacchiere con quei pochi condomini che le danno retta. Tosca è rimasta vedova troppo presto e risente della mancanza di un uomo vicino a lei, vive senza una prospettiva. Ha avuto una storia con uno del luogo, uno sposato, che viveva una situazione difficile in casa, ma poi tutto è finito, lui è tornato all'ovile e lei è rimasta più sola che mai.

Per fortuna quei due giornalisti, Tonì e Gigi, che hanno capito la sua umanità e le sono vicini, la fanno sentire viva....

E' un bellissimo romanzo, con due livelli di scrittura e una storia a incastro, ma non voglio anticipare niente per non rovinare il gusto della scoperta a quei fortunati che non lo hanno ancora letto.

Anche se nata nel 1922, Gina Lagorio è stata una scrittrice della generazione degli anni trenta, con Gesualdo Bufalino, Umberto Eco, Fulvio Tomizza, Vincenzo Consoli, Dacia Maraini e altri. Piemontese di nascita, ligure di adozione, poi a Milano. Ha scritto opere di narrativa: Il polline (1966), Approssimato per difetto (1971), Qualcosa nell'aria (1975), La spiaggia del lupo (Premio Campiello 1977), Golfo del paradiso (1987), con Tosca dei gatti ha vinto il Premio Viareggio 1984. Ha scritto opere di saggistica su Fenoglio, Sbarbato, opere teatrali e libri per ragazzi.

Come anticipazione del piacere della lettura, questo bellissimo, intenso periodo, che solo una grande sensibilità femminile poteva scrivere:
Per le scale, all'ultima rampa, Tonì si bloccò: ancora il lamento di Paletta! Non era un miagolio, un modo di chiedere cibo o acqua o compagnia, o semplicemente una comunicazione di esistenza: era un pianto simile a tutti i pianti lacrimati degli esseri vivi: era lei, lo sapeva bene, la gattina che aveva raccolto sulla strada e che era cresciuta dimenticando i disagi e l'abbandono della primissima infanzia, che poi era stata con lei e con Gigi un'adolescente bizzarra e festosa, la testimone lunatica e divertente della loro vita di amanti-amici, che quando era coccolata, regrediva immediatamente, esigendo con prepotenza testarda quello che le era mancato nascendo: succhiava subito, quel che le capitava, il golf o il colletto di una camicia, rimpicciolendosi, un esserino caldo che chiedeva calore, fusando convinta nell'illusione di riappropriarsi del calore materno che le era stato sottratto.
Bello, intenso, vero. Un libro da leggere assolutamente.

giovedì 7 luglio 2011

Lev Tolstòj - LA SONATA A KREUTZER - Oscar Mondadori - 2011 - € 8,00



Giorni fa ho trovato su Youtube questa bellissima esecuzione della Sonata n.9 op.47 di Beethoven Sonata a Kreutzer intensamente eseguita da una straordinaria Martha Argerich e un fantastico Gidon Kremer:

http://www.youtube.com/watch?v=i8BC2KpA_E&feature=watch_response

questa è la prima delle tre parti in cui è divisa la sonata, chi è interessato può trovare la seconda e terza parte su youtube.

Finito l'ascolto ho ripensato a quel racconto di Tolstòj che prende spunto da questa sonata, La sonata a Kreutzer, appunto.







L'ho riletto dopo molti anni (ho dovuto ricomprare il libro, avendo smarrito la vecchia edizione BMM) ma l'impressione è la stessa: suona falso l'espediente dell'uxoricida che racconta in treno, al compiacente io narrante, la sua esperienza drammatica. Questa scelta è dettata dalla necessità di poter contrapporre alla scelleratezza del gesto, la redenzione del rimorso.

Devo dirlo con tutta chiarezza: per me Tolstòj è il romanziere di Guerra e pace e di Anna Karenina, tutta l'opera posteriore alla sua crisi spirituale non mi sembra degno d'interesse.

Provo ammirazione per l'uomo che predica la non violenza, che si batte per la pace, che si fa vegetariano per amore degli animali, ma dal punto di vista letterario è irrilevante (rispetto al vero Tolstòj).

Le crisi mistiche sono fatti individuali e credo vadano vissute intimamente, tutt'al più interessando il proprio analista quando assumano il carattere di un continuo "Penitenziagite!".



Il pistolotto finale della Postfazione, che Tolstòj ha voluto inserire a conclusione, è illuminante sul senso da dare all'opera: La dottrina di Cristo è l'unica che possa guidare l'umanità.

Mi ha fatto piacere leggere di Stefan Zweig il saggio su Tolstòj, in appendice al volume, le seguenti condivisibili parole:

Nella Sonata a Kreutzer, in Resurrezione non rimane ormai che un sottile velo poetico a coprire la nuda teologia morale, e le leggende servono (in forma magnifica) al predicatore. L'arte per Tolstòj cessa a poco a poco di essere scopo finale, fine a se stessa ed egli non ama più "la bella bugia" se non in quanto serve alla "verità", non però come prima alla raffigurazione del reale, della realtà di anima e di sensi, ma di una verità - come egli crede - superiore, spirituale, religiosa che la sua crisi gli ha rivelato. "Buoni" libri sono d'ora innanzi per Tolstòj non già i meglio compiuti, più grandiosamente pensati e geniali dell'umanità, ma solo quelli che (indifferente il loro valore) favoriscono "il bene", che contribuiscono a rendere l'uomo più paziente, dolce, cristiano, umano, amoroso, preoccupato della verità; e tutto ciò fino al punto che quel banale valentuomo di Berhold Auerbach può sembrargli più importante di quell' "insetto nocivo di Shakespeare". La squadra passa sempre più dalle mani di Tolstòj artista a quelle del dottrinario morale: l'impareggiabile raffiguratore di uomini retrocede cosciente e devoto davanti al miglioratore di uomini, al moralista.
Ma l'arte, intollerante e gelosa, come ogni cosa divina, si vendica di chi la rinnega. Quando deve servire subordinata a una sedicente potenza superiore, si sottrae indomita anche al maestro prima amatissimo, e proprio nei punti dove Tolstòj non crea più senza intenzioni ma con propositi dottrinari l'elementare evidenza delle sue figure si affioca e impallidisce subitamente; una grigia luce di raziocinio viene ad annebbiarle, urtiamo e inciampiamo in prolissità logiche e ci si fa strada solo a fatica verso l'uscita.




Così conclude Zweig il lucido esame del povero Tolstòj:

L'arte vera è egoistica, non vuole altro che se stessa e la propria perfezione, e alla sua opera soltanto deve pensare l'artista, non all'umanità cui è destinata. Così anche Tolstòj è grandissimo artista fino a quando con occhio pacato e incorrotto plasma il mondo dei sensi. Non appena diventa misericordioso e vuole aiutare, guidare e ammaestrare per mezzo della sua opera, la sua arte perde forza comunicativa ed è lui allora che diventa per il suo destino la figura più impressionante tra tutte le sue figure.

Impressionante come stroncatura!



domenica 3 luglio 2011

Guy de Maupassant - RACCONTI DELLA GUERRA FRANCO-PRUSSIANA - Einaudi 1975


Non c'è un disegno prestabilito, un ordine ragionato nella scelta dei libri di cui di volta in volta decido di scrivere; la decisione è casuale e sfugge ad ogni logica: può essere una concatenazione di pensieri, l'improvviso ricordo di un personaggio oppure l'occhio cade sul dorso di un libro allineato nel ripiano della libreria, sulla copertina che spunta da una scatola di libri e la fantasia corre a quelle narrazioni, a quei personaggi e accende ricordi di emozioni provate nel leggerle.

A Guy de Maupassant avevo pensato qualche mese fa, inserendo nella pagina facebook Quali sono i film della tua vita? (per chi fosse interessato questo è il link:)

https://www.facebook.com/pages/Quali-sono-i-fim-della-tua-vita/153195294706470?sk=wall
Inserisci link

il film di John Ford Ombre rosse del 1939, con il quasi esordiente John Wayne e Claire Trevor. Poi il riferimento letterario mi era passato di mente. Ora, casualmente, risistemando un ripiano della libreria, ecco qui i Racconti della guerra franco-prussiana all'interno dei quali è inserita Boule de suif - di cui John Ford comprò i diritti per girare Ombre rosse.

Maupasant
è uno di quegli autori che sembra di conoscere da sempre, tanto è naturale la sua prosa. Le situazione raccontate e i personaggi sono così vivi, che pare impossibile si parli di fatti accaduti 130 anni fa, come la guerra franco - prussiana.

Di quella guerra Maupassant conobbe gli orrori, avendovi partecipato come volontario appena laureato, e questi racconti sono
dedotti in parte da ricordi personali e in parte da narrazioni e testimonianze varie.

Maupassant non intese con questi racconti farsi storico o cronista di quella guerra, ma parlarci di persone comuni che loro malgrado si trovano esposti a vivere una giornata d'eccezione, un'avventura drammatica o grottesca o anche comica.

Nei racconti spesso emerge la figura un po' ridicola di qualche ufficiale nell'impeccabile divisa di dragone o di ussaro, con la bella giacca sulla spalla e la sciabola trascinata sui marciapiedi, esposti all'ammirazione femminile, conquistatori di cuori più che di glorie militari, usciti indenni dalla guerra persa, ma ancora ottusamente arroganti. Per contro le figure femminile sono umane, patriottiche, eroiche nella loro spietatezza.

Ciò che Maupassant evidenzia è un'umanità autentica, osservata con vigile senso critico, senza distinzioni preconcette di patria o casta, e benchè non la ostenti di proposito, giunge a rivelarci un'inclinazione naturale del suo sentimento, un tratto di simpatia riservato ai deboli e agli oppressi, quelli che oggi definiremmo anti-eroi.

venerdì 1 luglio 2011

DOÑA BARBARA di Romulo Gallegos - Monte Avila Editores - Casacas - 1977




Nel 1978 sono andato a vivere a Porlamar, Isla Margarita, in Venezuela. In quegli anni Margarita non era ancora conosciuta come metà turistica internazionale, solo nei fine settimana era invasa da turisti venezuelani che venivano da Caracas per acquisti, essendo all'epoca un porto franco, e la sera se ne ripartivano con il traghetto, carichi di sacchi di juta pieni delle tante cose inutili che la globalizzazione cominciava ad imporre.





Quando mi sono posto il problema della lettura, ho chiesto consiglio ad un amico venezolano e lui è stato categorico: "Per prima cosa devi leggere Romulo Gallegos" - mi disse - "è l'equivalente del vostro Manzoni". Per la verità, a distanza di tanto tempo, non ricordo perfettamente se l'accostamento a Manzoni lo abbia fatto il mio amico o sia una considerazione conseguente alla lettura.

Lo lessi faticosamente, con l'aiuto di un piccolo dizionario sempre a portata di mano, che spesso era inutile quando i termini di cui cercavo il significato erano espressi in quello che viene definito español criollo.

Il romanzo, del 1929, è un affresco maestoso de los llanos - la grande pianura dello stato Apure attraversato dal fiume Arauca - e racconta, attraverso le storie dei personaggi, lo scontro tra progresso e barbarie, tra cultura, rappresentato simbolicamente da Santos Luzardo e brujeria da Doňa Barbara, ma più in generale è un'analisi della società venezolana del XIX secolo caratterizzata da dispotismo, latifondismo, corruzione, mancanza di libertà.

Doňa Barbara è un romanzo realista, scritto introducendo il linguaggio popolare nella economia narrativa; i personaggi alla ricerca di se stessi, non attraverso la riflessione interiore, ma nel contatto e nello scontro con il mondo esterno: primitivi che desiderano, che necessitano e che lottano per arrivare a conoscersi attraverso il mondo selvaggio e implacabile che li circonda.

La storia appassionante è stata portata sullo schermo nel 1943 con la grande Maria Felix, quelli della mia età ricordano la bellezza altera di questa indimenticabile attrice, che qui propongo nelle prime scene:

http://www.youtube.com/watch?v=GG4_v9wz034&feature=related

E poi questo romanzo ha prodotto una serie infinita di telenovelas, fino ai giorni nostri.

Mi chiedo, come è possibile che questo romanzo non abbia trovato un editore italiano per tradurlo e proporlo al pubblico italiano.