Giorni fa ho trovato su Youtube questa bellissima esecuzione della Sonata n.9 op.47 di Beethoven Sonata a Kreutzer intensamente eseguita da una straordinaria Martha Argerich e un fantastico Gidon Kremer:
http://www.youtube.com/watch?v=i8BC2KpA_E&feature=watch_response
questa è la prima delle tre parti in cui è divisa la sonata, chi è interessato può trovare la seconda e terza parte su youtube.
Finito l'ascolto ho ripensato a quel racconto di Tolstòj che prende spunto da questa sonata, La sonata a Kreutzer, appunto.
L'ho riletto dopo molti anni (ho dovuto ricomprare il libro, avendo smarrito la vecchia edizione BMM) ma l'impressione è la stessa: suona falso l'espediente dell'uxoricida che racconta in treno, al compiacente io narrante, la sua esperienza drammatica. Questa scelta è dettata dalla necessità di poter contrapporre alla scelleratezza del gesto, la redenzione del rimorso.
Devo dirlo con tutta chiarezza: per me Tolstòj è il romanziere di Guerra e pace e di Anna Karenina, tutta l'opera posteriore alla sua crisi spirituale non mi sembra degno d'interesse.
Provo ammirazione per l'uomo che predica la non violenza, che si batte per la pace, che si fa vegetariano per amore degli animali, ma dal punto di vista letterario è irrilevante (rispetto al vero Tolstòj).
Le crisi mistiche sono fatti individuali e credo vadano vissute intimamente, tutt'al più interessando il proprio analista quando assumano il carattere di un continuo "Penitenziagite!".
Il pistolotto finale della Postfazione, che Tolstòj ha voluto inserire a conclusione, è illuminante sul senso da dare all'opera: La dottrina di Cristo è l'unica che possa guidare l'umanità.
Mi ha fatto piacere leggere di Stefan Zweig il saggio su Tolstòj, in appendice al volume, le seguenti condivisibili parole:
Nella Sonata a Kreutzer, in Resurrezione non rimane ormai che un sottile velo poetico a coprire la nuda teologia morale, e le leggende servono (in forma magnifica) al predicatore. L'arte per Tolstòj cessa a poco a poco di essere scopo finale, fine a se stessa ed egli non ama più "la bella bugia" se non in quanto serve alla "verità", non però come prima alla raffigurazione del reale, della realtà di anima e di sensi, ma di una verità - come egli crede - superiore, spirituale, religiosa che la sua crisi gli ha rivelato. "Buoni" libri sono d'ora innanzi per Tolstòj non già i meglio compiuti, più grandiosamente pensati e geniali dell'umanità, ma solo quelli che (indifferente il loro valore) favoriscono "il bene", che contribuiscono a rendere l'uomo più paziente, dolce, cristiano, umano, amoroso, preoccupato della verità; e tutto ciò fino al punto che quel banale valentuomo di Berhold Auerbach può sembrargli più importante di quell' "insetto nocivo di Shakespeare". La squadra passa sempre più dalle mani di Tolstòj artista a quelle del dottrinario morale: l'impareggiabile raffiguratore di uomini retrocede cosciente e devoto davanti al miglioratore di uomini, al moralista.
Ma l'arte, intollerante e gelosa, come ogni cosa divina, si vendica di chi la rinnega. Quando deve servire subordinata a una sedicente potenza superiore, si sottrae indomita anche al maestro prima amatissimo, e proprio nei punti dove Tolstòj non crea più senza intenzioni ma con propositi dottrinari l'elementare evidenza delle sue figure si affioca e impallidisce subitamente; una grigia luce di raziocinio viene ad annebbiarle, urtiamo e inciampiamo in prolissità logiche e ci si fa strada solo a fatica verso l'uscita.
Così conclude Zweig il lucido esame del povero Tolstòj:
L'arte vera è egoistica, non vuole altro che se stessa e la propria perfezione, e alla sua opera soltanto deve pensare l'artista, non all'umanità cui è destinata. Così anche Tolstòj è grandissimo artista fino a quando con occhio pacato e incorrotto plasma il mondo dei sensi. Non appena diventa misericordioso e vuole aiutare, guidare e ammaestrare per mezzo della sua opera, la sua arte perde forza comunicativa ed è lui allora che diventa per il suo destino la figura più impressionante tra tutte le sue figure.
Impressionante come stroncatura!
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