venerdì 19 ottobre 2018

Pierre Michon - GLI UNDICI - Adelphi 2018 - € 16,00



Mi sono reso conto che il mio orgoglioso rifiuto di leggere scrittori viventi era solo un irraggionevole snobismo che mi privava del piacere di conoscere cosa avviene nel mondo delle lettere, confinandomi  in un limbo che è negazione stessa del concetto di letteratura.








Pierre Michon


Pierre Michon, nato nel 1945 in un minuscolo paesetto (Châtelus-le-Marcheix) di 375 abitanti, esordisce a 39 anni con un romanzo, Vite minuscole (1984),  da subito definito un classico contemporaeo che gli valse il prestigioso premio Prix France Culture.


In seguito Pierre Michon ha collezionato decine di premi letterari, compreso un Nonino nel 2017; questo romanzo, Gli undici edito nel 2009, Grand Prix du roman de l'Académie française, molto opportunamente Adelphi ne ha deciso la traduzione affidandola al francesista Giuseppe Girimonti Greco.


L'incipit:

    Era scialbo, di media statura, ma catturava l'attenzione con i suoi silenzi febbrili, la sua gaiezza cupa, i suoi modi ora arroganti ora obliqui - torvi, ha detto qualcuno. Niente di tutto ciò appare nel ritratto che sulle volte di Würzburg, e precisamente al di sopra della parete sud del Kaisersaall, nel corteo nuziale di Federico Barbarossa, Tiepolo ci ha lasciato di lui, quando il modello aveva vent'anni: è proprio lui, a quel che si dice, e lo si può vedere, alloggiato lassù, in mezzo a cento principi, cento conestabili e mazzieri, e altrattanti schiavi, mercanti e portatori, e animali e putti, e dèi, e mercanzie, e nuvole, insieme alle quattro stagioni e ai quattro continenti, e a due pittori di indiscutibile valore, coloro che hanno così inteso offrire del mondo una recensione esaustiva, e che del mondo pure sono parte, Giambattista Tiepolo in persona e Giandomenico Tiepolo suo figlio.

Era dagli anni settanta,  quando scoprii Garcia Marquez col suo linguaggio fantasmagorico, che la lettura di un romanzo non mi lasciava stupefatto per l'inventiva, per l'uso fantasioso e imprevedibile della scrittura che, immagino, deve aver reso la sua traduzione ardua ma divertente.

Il romanzo è un racconto orale di un narratore che, pur essendo nostro contemporaneo, ha assistito ai fatti storici durante il periodo del Terrore, ma che parla direttamente al singolo lettore  chiamandolo "signore"; ci si aspetterebbe di vederlo apparire all'interno della storia, testimone dei fatti narrati, non solo,  è anche narratore onnisciente, cioé entra nella testa e nell'anima dei personaggi, il pittore Correntin e i sinistri componenti del Comitato di Salute Pubblica, per sondarne le sinistre rivalità.

Nella sua strategia narrativa Michon procede per accumulazione, i fatti storici si delineano per sovrapposizione, come in una stampa policroma o come se da un blocco informe, al cui interno sappiamo giacere il soggetto pensato, anziché togliere, aggiungessimo materia. Il racconto è straripante, alluvionale, ma preciso e incisivo; il clima di terribilità dell'epoca  è resa come in un film, con continui fermo immagine che ne accentuano la plumbea atmosfera caravaggesca.

"Gli Undici" non ha niente in comune con i romanzi fin qui letti se non il suo aspetto fisico: essere stampato su carta e raccolto in volume come tradizionalmente si fa con i libri per essere letti, da sinistra a destra, dall'alto in basso, pagina dopo pagina.

Per chi ama la lettura è la prova che la forma-romanzo data per morta mille volte è viva e lotta insieme a noi.