lunedì 31 dicembre 2018

Mario Soldati - I RACCONTI - Garzanti 1957 - £ 2.000

Non si possono apprezzare pienamente gli scritti di Mario Soldati (1906-1999), se non si considera il periodo in cui sono stati scritti. Prendiamo ad esempio i primi tre racconti di questa raccolta: Vittoria, Fuga in Francia e Mio figlio, presenti, insieme ad altri tre racconti qui non riproposti, nel libro d'esordio di Soldati, Salmace nel 1929, lo stesso anno di pubblicazione de Gli indifferenti di Moravia.

Sono passati da allora ben 90 (novanta) anni! Cioé, per aver chiara la distanza che ci separa da quel 1929, è forse utile ricordare che in quell'anno avviene la firma dei Patti Lateranenzi, o anche che  è l'anno in cui Stalin propone al Politburo di cacciare Trotsky dal partito, lo stesso della Grande Crisi di Wall Street, lo stesso nel quale Al Capone compie la Strage di San Valentino o, se si preferisce, l'anno in cui Thomas Mann vince il premio Nobel per la letteratura. 

Un altro mondo, altre mentalità. Ecco, si deve tener conto di questo, perché solo chi riesce ad immaginarsi in quell'VIII anno dell'Era Fascista,  può compiutamente valutare la novità rappresentata dai racconti di Soldati, così come per Gli indifferenti di Moravia. 

Gli altri racconti presenti nel volume sono La verità sul caso Motta del 1941, L'amico gesuita del 1943, Fuga in Italia del 1946, tutti gli altri comunque anteriori al 1947, com'è precisato nella avvertenza. 

                                          AVVERTENZA E DEDICA

Questi racconti furono scritti tra il 1927 e il 1947. Il lettore troverà in essi ciò che crederà. A me piace considerarli, tutti insieme, come un'autobiografia, una specie di diario. Varii nei modi, negli argomenti, nei trucchi, nelle confessioni, essi riflettono, fedelmente quanto involontariamente, venti anni della mia vita.
Li pubblico, ora, cercando di riparare a una quantità di sciatterie, ed escludendo i pezzi più futili: ma serbando comunque il rigoroso ordine cronologico che si conviene, appunto, ad un diario; e non cancellando i segni del tempo, neppure fuggevolissimi come il valore della moneta o la moda delle donne.
Infatti, perchè avrei dovuto aggiornarmi? Perchè ringiovanire personaggi e vocaboli esatti, che oggi sembrino antiquati, o invecchiarne altri, egualmente esatti, che oggi sembrino ingenui? Gioventù e vecchiezza esistono, certo, per ciascuno di noi; ma sono, per sè, stagioni di una vicenda che ci supera, e il cui linguaggio non riusciamo mai ad imparare.
Molti di questi racconti furoo scritti per diretto, efficace incoraggiamento di Leo Longanesi.
Dedico dunque il volume a lui: alla pungente memoria della sua generosità.


I personaggi di questi racconti giovanili di Soldati hanno una caratteristica comune:  si pongono tutti in modo critico nei confronti delle norme, delle leggi, delle abitudini dei buoni cittadini borghesi e fascisti. Non sono dei rivoluzionari e non contestano il potere politico, né la morale corrente, si pongono semplicemente di traverso, agiscono come se altre fossero le loro priorità, diversi i  principi. Eugenio, il protagonista del racconto Vittoria, non reagisce da marito oltraggiato alla scoperta del tradimento della moglie, ma ambiguamente ne coglie la carica erotica necessaria a rinnovare un rapporto consumato. Oppure Emilio, il giovane della Fuga in Francia che, pur sapendo che la bella Maria di cui è invaghito non cederà, non esita a cacciarsi nei guai per aiutarla, insieme a marito e socio bancarottieri, ad espatriare per evitare la galera. C'è in questi personaggi una carica trasgressiva e di rottura, quasi anarchica, che non contrasta con il tardo romanticismo e col crepuscolarismo piemontese.

Ha scritto di lui Natalia Ginzburg: Soldati è l'unico che abbia amato esprimere, costantemente e sempre, la gioia di vivere. Non il piacere di vivere, ma la gioia...

domenica 23 dicembre 2018

Marcel Proust - All'ombra delle giovani fanciulle in fiore - Adattamento e disegni di Stéphane Heuet - Grifo Edizioni 2003 - € 15,00

La prima cosa che salta agli occhi sfogliando questa riduzione a fumetti di A l'ombre des jeunnes filles en fleur, dopo l'esperienza con la versione manga, presentato giorni or sono, è la linearità della disposizione delle tavole ma anche la cura dei dettagli, la precisione e la ricchezza delle immagini, decisamente più  appropriate di quelle manga, più appropriato all'elegante e ricco linguaggio dell'originale proustiano.

A differenza della recherche in versione manga, dove i disegni cercano con qualche approssimazione di raffigurare i personaggi descritti, qui siamo invece ad un livello più accurato, dove per alcuni personaggi,  si fa risalire la loro fisionomia ai modelli che hanno ispirato il Narratore, un esempio per tutti il personaggio del barone di Charlus da giovane che è ripreso da un ritratto di Robert de Montesquiou.


                                                                                


Molto divertenti, addirittura didascaliche rispetto alla descrizione che ne fa il Narratore, le espressioni di interesse e di noncuranza, ma anche di ambiguità, del barone di Charlus, al primo incontro che avviene fuori dell'Hotel a Balbec, tanto da confonderlo con un possibile topo d'albergo:



Sorprendente di questa riduzione a disegni di Stéphane Heut, è l'essere riuscito ad inserire, in sole 51 pagine di tavole, tutto ciò che accade dalla partenza da Parigi, all'incontro con le fanciulle, senza trascurare i particolari del racconto: il libro che legge la nonna in treno, il cognac bevuto, la sosta della nonna presso un'amica, l'arrivo a Balbec,  la chiesa in stile persiano, le impressioni dell'albergo con i suoi clienti, il direttore, Villeparisis e i viaggi in carrozza, il signore di Semeraria con la figlia, la principessa di Lussemburgo, Bloch con le sorelle, Saint-Loup, il barone di Charlus con il libro di Bergotte dato in prestito al narratore e poi richiesto indietro, e finalmente irrompe dalla spiaggia l'allegra brigata delle jeunnes filles en fleur: 
«Così impregnate d'ignoto, così inestimabilmente preziose, così verosimilmente inaccessibili»


                                                                     
E qui finisce il primo volume.

Mi chiedo quale funzione possa svolgere, ai fini della diffusione dell'opera di Marcel Proust, un'operazione di questo tipo. Ma non conosco la risposta. Un valore lo ha sicuramente in sé in quanto opera artistica di pregio per la buona fattura del prodotto; che possa invogliare alla lettura della recherche è possibile, ma può produrre, nel momento di passare dalla facilità del fumetto alla complessità del testo, un blocco, un rifiuto. E' più facile che, dopo aver letto l'opera, ed essendosene innamorati, si voglia conoscere tuto ciò che riguarda l'oggeto amato, ed anche una versione a fumetti possa interessare.

mercoledì 19 dicembre 2018

Marcel Proust - EN BUSCA DEL TIEMPO PERDIDO - la otra h, 2017, Barcelona






Che dire? Apprezziamo la buona volontà. C'avete provato, complimenti. Molto coraggiosi, non c'è che dire. Trattandosi di un'opera colossale per dimensioni, con personaggi complessi con rapporti tra loro intrigati, scritto in un linguaggio lucido e preciso come un bisturi o un laser, che non ammette semplificazioni o scorciatoie, forse il fumetto non è il mezzo più adatto per farne una riduzione. Poi manga?! A me sembra, ma non sono un esperto del settore, che il segno grafico dei fumetti manga tenda a semplificare, ma questa è una storia che di semplice non ha niente.

I sostenitori di questa forma di linguaggio possono sostenere che proprio la caratteristica dei fumetti manga si adatti alle tematiche proustiane, legate come sono al tempo e alla sua percezione, in quanto in grado di trasmettere in chi legge il senso di essere testimoni dei fatti mentre avvengono, e non di leggere di cose già avvenute, cioé di vivere una storia e non sentir raccontare un evento già accaduto.

Ma forse vale anche la tesi opposta, cioé che proprio questa precipua caratteristica dei manga, posto che un lettore occidentale sia in grado di percepire la sottigliezza grafica che la renderebbe così diversa dal fumetto occidentale, confligga con lo spirito proustiano della recherche, dove non è mai definito il tempo presente ma solo reminiscenze o impressioni, o come le chiama il Narratore «resurrezioni della memoria».

Nonostante l'improbo tentativo di fedeltà al testo, appunto coraggioso ma niente di più, è soprattutto la povertà grafica dello stile manga a renderlo alieno alla recherche.

Non posso fare a meno di pensare quale meraviglia, questa si di grande valore artistico, sarebbe potuta uscire dai pennelli sublimi e dai pennini icastici di un artista come Aubrey Beardsley, se il fato gli avesse consentito  di vivere più a lungo e lo avesse fatto innamorare dell'opera di Proust, com'era successo con la Salomé di Wilde.

In tema di fantasticherie, perché non immaginare cosa avrebbe potuto fare, della recherche, dal punto di vita grafico,  Alfons Mucha, che di Proust fu contemporaneo, e che il giovane ammiratore della Berma-Sarah Bernhardt, doveva conoscerne e forse apprezzare il lavoro, anche per il poster che Mucha  realizzò  per  Mèdéé della Bernardt.

Per finire, perché non immaginare, tanto non costa niente sognare, quel nostro grande autore, quel narratore sensibile, che purtroppo non è più tra noi, Hugo Pratt, cosa avrebbe potuto realizzare traducendo in disegno un'opera come A la recherche du temp perdu, con o senza la collaborazione di Milo Manara, per le scene di sesso?



lunedì 10 dicembre 2018

Giorgio & Lina Metalli - SCEMPIEZZE SENILI - L'Asino Editore - 2018 - T.P.


Presentato durante la  17ª edizione di Più libri più liberi, che si è svolta per il secondo anno consecutivo alla Roma Convention Center La Nuvola all'EUR, un progetto che tende a rivoluzionare il settore editoriale.

A fronte di un mercato che vive una crisi che non ha riscontri negli altri paesi occidentali, dove a un'alta produzione di libri corrisponde una bassa percentuale di lettori, che diminuisce anno dopo anno, fa riscontro una presenza massiccia di editori, tra grandi e piccoli circa 1500, con un numero abnorme di titoli pubblicati: 61.188, per un totale di 129 milioni di copie! (dati 2016)

Se consideriamo che ogni anno transitano presso il cimitero dei libri di Santarcangelo di Romagna, via del Progresso n.21, circa 500 milioni copie, per un totale di 10.000 titoli, di cui il 15% finisce al remainder mentre il resto viene inesorabilmente distrutto, appare del tutto evidente che una qualche soluzione vada cercata.

Il progetto che ci è stato proposto dall' AD de l'Asino Editore è semplice e geniale: il cliente lettore prenota il libro prima che venga dato alle stampe, con la possibilità di intervenire sulla trama, sulla struttura, sul punto di vista del narratore, addirittura sulla scelta dei personaggi, oltre che sul genere: romanzo (più di 60.000 parole), racconto (almeno 2000 parole), novella.

L'esordio di questa nuova forma editoriale ci è stata affidata per una copia pilota per verificarne la reale fattibilità, mentre in piena autonomia abbiamo deciso titolo e copertina. L'editore, non si sa in base a quali valutazioni, ritiene che, come coppia, potremmo rappresentare nella narrativa attuale, ciò che Anne e Serge Golon rappresentarono in quella degli anni sessanta dell'altro secolo.

Noi siamo fiduciosi e ci apprestiamo all'opera.

http://www.900letterario.it/attualita/mercato-editoria-italiana-infografica/



lunedì 19 novembre 2018

Raffaele La Capria - UN GIORNO D'IMPAZIENZA - Bompiani 1952 - £ 600



Sfoglio dopo non so più quanti anni il libro di esordio di La Capria e trovo questi tre biglietti che mi fanno viaggiare con la mente. Prima ancora di iniziarne la lettura,  mi si affacciano scene dimenticate di viaggi casa-lavoro e lavoro-casa, dove la lettura rappresentava la parte piacevole di quei lunghi spostamenti, dalla periferia dove abitavamo e il luogo del lavoro, il magazzino  Mondadori di Lungotevere Prati, a fianco del Palazzaccio a Roma.

Ma la memoria volontaria, lo sappiamo, può essere ingannevole. Pur essendo miei quei viaggi, forse non lo sono quei biglietti.  Nel risguardo, a mo' di ex-libris, c'è la firma di mio fratello e sotto la data Venezia agosto 53; adesso è chiaro il libro è stato acquistato in occasione di un viaggio per assistere alla 14ª Mostra del Cinema. E il 53 è quell'anno che non venne assegnato il Leone d'oro ma ben tre Leoni d'argento: «I racconti della luna pallida di agosto» di Mizoguchi, «I vitelloni » di Fellini e «Il piccolo fuggitivo» di Ashley (un capolavoro in b/n girato con cinepresa a mano, raro esempio di neorealismo statunitense).

Rimane il dubbio dei biglietti, su chi li abbia lasciati all'interno del volume. Ma non io, certamente, per la semplice ragione che per tutti gli anni 50 ho letto solo letteratura americana, che amavo per i suoi ritmi serrati, contratti, sincopati in Hemingway; amavo gli sperimentalismi di Dos Passos, quando raccontava la realtà sincronica della scena americana; il flusso di coscienza nei personaggi di Faulkner; la critica  sociale e l'impegno di Steinbeck. Solo qualche anno dopo ho scoperto la narrativa italiana, iniziando dal più anomalo degli scrittori: Buzzati.


Un giorno d'impazienza, ambientato in una Napoli dolente con i palazzi ancora diroccati dai bombardamenti, venne accolto con grande interesse dalla critica, che arrivò ad assimilarlo, per come era raccontato il senso di estraneità dei giovani usciti dalla guerra, a ciò che Gli indifferenti di Moravia aveva rappresentato nei primo dopoguerra.

L'incipit:

  Domani alle sei, a casa tua. Domani, cioè oggi. Appena sveglio avevo risentito le parole di Mira. Prigioniere del mio cervello vi camminavano su e giù, come in una gabbia. Ed ora aspettavo il tram al solito posto. Dovevo rivedere Enrico, dopo quello che era accaduto la sera precedente.
  Lo scirocco spazzava il marciapiede. Un effimero sole, che rendeva taglienti tutti gli spigoli, mi colpì la faccia ancora assonnata, oppressa da un oscuro senso di colpevolezza. Rimasi immobile, quasi impigliato, come un insetto nella luce dei fari di un auto.

Il tema è quello antico, eterno, del senso di insicurezza di chi ama, non sentendosi amato; l'angoscia che deriva dall'impossibilità del possesso completo della donna amata, del dolore quando la sentiamo lontana e del fastidio quando e disponibile. Come ha scritto Schopenhauer: La lontananza che rimpicciolisce gli oggetti per l’occhio, li ingrandisce per il pensiero.  Marcel Proust lo sapeva bene.




venerdì 19 ottobre 2018

Pierre Michon - GLI UNDICI - Adelphi 2018 - € 16,00



Mi sono reso conto che il mio orgoglioso rifiuto di leggere scrittori viventi era solo un irraggionevole snobismo che mi privava del piacere di conoscere cosa avviene nel mondo delle lettere, confinandomi  in un limbo che è negazione stessa del concetto di letteratura.








Pierre Michon


Pierre Michon, nato nel 1945 in un minuscolo paesetto (Châtelus-le-Marcheix) di 375 abitanti, esordisce a 39 anni con un romanzo, Vite minuscole (1984),  da subito definito un classico contemporaeo che gli valse il prestigioso premio Prix France Culture.


In seguito Pierre Michon ha collezionato decine di premi letterari, compreso un Nonino nel 2017; questo romanzo, Gli undici edito nel 2009, Grand Prix du roman de l'Académie française, molto opportunamente Adelphi ne ha deciso la traduzione affidandola al francesista Giuseppe Girimonti Greco.


L'incipit:

    Era scialbo, di media statura, ma catturava l'attenzione con i suoi silenzi febbrili, la sua gaiezza cupa, i suoi modi ora arroganti ora obliqui - torvi, ha detto qualcuno. Niente di tutto ciò appare nel ritratto che sulle volte di Würzburg, e precisamente al di sopra della parete sud del Kaisersaall, nel corteo nuziale di Federico Barbarossa, Tiepolo ci ha lasciato di lui, quando il modello aveva vent'anni: è proprio lui, a quel che si dice, e lo si può vedere, alloggiato lassù, in mezzo a cento principi, cento conestabili e mazzieri, e altrattanti schiavi, mercanti e portatori, e animali e putti, e dèi, e mercanzie, e nuvole, insieme alle quattro stagioni e ai quattro continenti, e a due pittori di indiscutibile valore, coloro che hanno così inteso offrire del mondo una recensione esaustiva, e che del mondo pure sono parte, Giambattista Tiepolo in persona e Giandomenico Tiepolo suo figlio.

Era dagli anni settanta,  quando scoprii Garcia Marquez col suo linguaggio fantasmagorico, che la lettura di un romanzo non mi lasciava stupefatto per l'inventiva, per l'uso fantasioso e imprevedibile della scrittura che, immagino, deve aver reso la sua traduzione ardua ma divertente.

Il romanzo è un racconto orale di un narratore che, pur essendo nostro contemporaneo, ha assistito ai fatti storici durante il periodo del Terrore, ma che parla direttamente al singolo lettore  chiamandolo "signore"; ci si aspetterebbe di vederlo apparire all'interno della storia, testimone dei fatti narrati, non solo,  è anche narratore onnisciente, cioé entra nella testa e nell'anima dei personaggi, il pittore Correntin e i sinistri componenti del Comitato di Salute Pubblica, per sondarne le sinistre rivalità.

Nella sua strategia narrativa Michon procede per accumulazione, i fatti storici si delineano per sovrapposizione, come in una stampa policroma o come se da un blocco informe, al cui interno sappiamo giacere il soggetto pensato, anziché togliere, aggiungessimo materia. Il racconto è straripante, alluvionale, ma preciso e incisivo; il clima di terribilità dell'epoca  è resa come in un film, con continui fermo immagine che ne accentuano la plumbea atmosfera caravaggesca.

"Gli Undici" non ha niente in comune con i romanzi fin qui letti se non il suo aspetto fisico: essere stampato su carta e raccolto in volume come tradizionalmente si fa con i libri per essere letti, da sinistra a destra, dall'alto in basso, pagina dopo pagina.

Per chi ama la lettura è la prova che la forma-romanzo data per morta mille volte è viva e lotta insieme a noi.

domenica 9 settembre 2018

Dominique Fernandez - IL VIAGGIATORE AMOROSO - Rizzoli, 1982 - £ 15.000



Dominique Fernandez, nato nel 1929 nell'area metropolitana di Parigi, a Neuilly-sur-Seine,  è uno scrittore attivo in molti ambiti culturali: membro dell'Académie française, docente universitario italianista, critico letterario e giornalista di Le Nouvel Observateur; autore di libri di successo come Porporino o i misteri di Napoli che gli valse nel 1974 il premio Premio Médicis, e il prestigioso Prix Goncuort nel 1982 per il romanzo Nella mano dell'angelo.

Dominique Fernandez nel 2009


Figlio di quel Ramon Fernandez (1894-1944), qui da noi conosciuto soprattutto per un saggio: Proust o la genealogia del romanzo moderno, Bompiani, 1980; scrittore che nel 1945 evitò il processo per collaborazionismo con il nazismo, morendo tre settimane prima della liberazione di Parigi.

Questo libro di Fernandez, che reca come sottotitolo Viaggio nell'Italia culturale, e' ricco di curiosità, impressioni e giudizi; alcuni condivisibili altri difficile da accettare, come ad esempio il saggio su Pavese, senza mettere in discussione convinzioni e certezze che il tempo ha cristallizzato rendendole incontestabili.  

C'e' poi nel libro di Fernandez una tesi, suscettibile di creare fastidio tra gli appassionati di teatro lirico,  quando afferma che lo sviluppo del melodramma in Italia  nasce dalla mancanza di una vera tradizione di romanzo nazionale, ipotesi questa che in un certo senso sminuisce il valore dell'opera in se ed e' contraddetta dall'esempio russo, che ha sviluppato entrambe le tradizioni, sia del romanzo che dell'opera.

L'amorevolezza che il viaggiatore Fernandez anticipa nel titolo, sembra prefigurare una sorta di captatio benevolentiae per i molti giudizi espressi, spesso severi,  su ataviche abitudini di noi italiani.

Il libro inizia con un'accattivante Lettera d'amore a Napoli, nella quale le ragioni di tale amore sono esplicitate con una sincerità disarmante, sentendosi preso, giungendovi, per incantamento, cioè strappato alla mia condizione anteriore, ai miei gusti, alla mia cultura, ..... come l'incontro di due persone destinate ad amarsi priva entrambe di ciò che credevano di essere ..... lasciandole indifese, più disarmate di un bambino.

Comunque lo si consideri, questo di Fernandez e' un libro  cui si torna volentieri per approfondire un concetto o confrontare un giudizio, piacevole da leggere e che, al di la' delle cose che si possono non condividere, dimostra chiaramente come l'autore abbia un'attenzione non superficiale, e una conoscenza profonda, della cultura italiana. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

lunedì 27 agosto 2018

Raymond Chandler - IL GRANDE SONNO - Corriere della Sera - 2017


Nello spazio che la COOP di Genzano riservata allo scambio di libri  tra i suoi clienti, fra tanta paccottiglia lasciata lì in alternativa al cassonetto del riciclo, avviene, anche se raramente,  di trovare qualche gioiellino, in questo caso il più classico della narrativa poliziesca americana!

Raymond Chandler (1988-1959), scrittore e sceneggiatore, il più importante narratore del genere hard boiled, il genere poliziesco americano creato da Dashiell Hammett negli anni venti, più realistico di quello deduttivo di tipo europeo, duro e violento come è spesso la realtà.

Chandler crea con questo romanzo del 1939, il romanzo ha la mia stessa età,  il personaggio di  Philip Marlowe, che servirà da modello per (quasi) tutti i detectives privati che verranno nel corso degli anni.

Caratteristica fondamentale del detective è quella di essere un po' orso e lavorare da solo; l'età è sempre compresa tra i 35 e i 45 anni, ed è un tipo molto "duro". Non ha molti amici, vive da solo e la sua "dieta" consiste in uova fritte, caffè nero, sigarette e whiskey.

Perennemente al verde, tuttavia, chiede sempre una paga piuttosto bassa. I casi di cui si occupa, a prima vista, sembrano essere semplici e lineari, quasi sempre si rivelano invece abbastanza intricati, costringendo così il detective ad intraprendere una sorta di odissea attraverso gli scenari urbani che lo porta a scontarsi, spesso, con la malavita organizzata.

E' un personaggio laconico, abituato ad esprimersi per monosillabi; spesso usa metafore colorite, è sarcastico e dotato di un sottile senso dell'umorismo, eccone un esempio con una cliente stanca di aspettarlo nel suo ufficio:

«Oh, vi siete alzato finalmente.. » disse arricciando il naso all'indirizzo del divano rosso sbiadito, delle due poltroncine semigodibili, delle tende di rete che reclamano una buona lavata e del tavolo libreria, tipo scolaretto, con sopra le solite venerande riviste, indispensabili per conferire una specie d'aria professionale all'ambiente. «Stavo cominciando a credere che lavoraste a letto la notte come Marcel Proust.»  «E chi cavolo è?» mi misi una sigaretta in bocca e stetti a osservarla. Era palliduccia e tesa; ma non pareva portata a perder le staffe.«Uno scrittore francese, specialista in degenerati. Non credo che lo possiate conoscere.»  «Davvero?» dissi. «Beh, passate nel mio boudoir.»

L'utilizzo del termine boudoir da parte di Marlowe, fa intendere che il brusco detective ha una certa dimestichezza con la letteratura francese e, per associazione di idee, al termine degenerati risponde con un'allusione alla nota opera del Divin Marchese.

E' una lettura piacevole e l'intrigata storia funziona ancora, impreziosita da quella pàtina un po' retrò che le conferisce un fascino ineguagliabile, dove il ricordo della coppia Humphrey Bogart e Lauren Bacall nel bel film di Howard Hawks del 1946, contribuisce ad arricchire.




Raymond Chandler






















sabato 18 agosto 2018

L'INCIPIT PIU' FAMOSO DEL MONDO, TRADOTTO NEI DIALETTI ITALIANI





Tempo fa, sfogliando fino all'ultima pagina il secondo volume delle opere di Salvatore Di Giacomo, nella bella edizione Classici Mondadori (1965), vi ho scoperto inserito un glossario mai notato prima, molto utile per quei lettori in difficoltà con il napoletano.

Nello stesso periodo avevo iniziato a frequentare un gruppo Fb denominato Proust/temi, dedicato ovviamente a Marcel Proust; ne fanno parte scrittori, traduttori, critici, insegnanti: il meglio, credo, della cultura italiana contemporanea, ma anche semplici lettori come me, appassionati del grande autore della Recherche. 

Per gioco, utilizzando quel glossario, provai a tradurre in napoletano il bellissimo incipit proustiano, nella versione di Natalia Ginzburg: Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera. A volte, non appena spenta la candela, mi si chiudevan gli occhi cosí subito che neppure potevo dire a me stesso: "M'addormento". 

L'ho proposto come provocazione scherzosa al gruppo Proust/emi, invitando i membri a cimentarsi :  https://www.facebook.com/groups/proustemi/ 
senza immaginare che avrebbe ottenuto una così ampia adesione.

Su sollecitazione di Giuseppe Girimondi Greco, amministratore del gruppo Proust/emi, pubblico qui sul blog i risultati di questo gioco, per raggruppare in un unica posizione e non disperdere questi contenuti.

(Napoletano maccheronico)«Avassai me addubbechiaje de bon’ura a umbruliata. A vote quann ammurtaje o muzzuni, l’uocchie mprescia nzerraje, ca mancu avire o tiempo pa dicere: “m’adduorme”.» (Giorgio Metalli)



(Andriese) P tanda timb m teng sceut a cocc' all'aur d r gadduin. Ogni tand, quand ssteiv la cannail, l'ucch m s achiudeivn tanda all'acchrenn ca nan tneiv u timb d dicr "staic a pgghe' sunn". (Giovanni Bitetto)

(Barese) So sciut a dorm come a le gaddine pe nu sacc de timp. Ognettand, mang avev' stutat la cannel, che l'ecchje s'acchiedevene adacchesì subete che mang faceve attimb a penzà: "me ne stogg a scì o senn".(Cristò Chiapparino>)

(Romano) Pe’ ‘n zacco, so’ ito a letto presto. A vorte, come smorzavo er lume, l’occhi me se chiudeveno sì presto che manco c’avev’ er tempo de me di’: “Mo’ dormo”. (Daniele Petruccioli)

(Trentino) Par an bel po de tep so na a dormir prest de sira. Certe olte quande che smorsava al lom, me se sarava i och così n prasa che ne ghe revava gnaca a dirme. Me so andomansà (Francesca Maccani)

(Valdarnese) Pe’ un be’ i’ po’, so’ andato a letto presto i’ giorno. Delle volte, come spengevo i’ lume, penavo ‘osì po’o a chiude’ l’occhi, che nemmen pote'o dì: “Via, dormo.” (Sarmi Zeghetusa)

(Fiorentino) Per un fottìo di tempo, sono andato a letto 'on le galline. Quarche vorta, 'un facevo a ttempo a spenge 'r moccolo, che l'occhi mi si chiudevano 'osì di 'orsa che 'un ciavevo nemmeno 'r tempo di dimmi: "Oimmèi, ciò 'n sonno che 'un vedo l'ora di dormì".(Nadia Gambis)

(Crotonese) Pi parecchiu tempu, me curcatu prest 'a sira. E chiu 'i na vota appena stutava a cannila l'occhi mi si chiudivinu annavota tantu ca u riusciva a diri manc': Mo dormu! (Giovanni  Lentini)

(Napoletano 2) Pe’ tanto de chillu tiempo, me so’ coccato ampressa a’ sera. ’E vvote, comme se stutava ‘a cannela, se ‘nzerravano ll’uocchie all’intrasatta, ca manco facevo a tiempo a me dicere: “oi' me sto addurmenno”. (Fabrizio Coscia)

(Palermitan-trentino) Pi tantu tiempu mi cuiccavo priesto ri sira. Ciette vuaite quannu spegnivu a cannela mi si chiuvano li occhi accussì priestu ca manco mi putieva rire...mi staiu addormiscinnu (Francesca Maccani)

(Roccagorga LT) Pe' 'no sacco de témpo, me so' addormito lèsto la sera. 'Ca vota, appena se smorzava la cannéla, gl'ócchi me se chiudenno accosì de' furia che non teneva manco glio témpo de dimme: "Oh, me stonco addormì". (Elisa Casseri)

(Alto salentino) Pi tanta tiempu m'aggiu sci curcatu subbtu la sera. Ncierti voti, mancu si stutava la cannela, mi vinia na papagna ca si chiutiunu li uecchi, mancu lu tiempu cu dicu: sta pigghju suennu (Sibilia De Cumana)

(Trevigiano) Par molto tempo, son andà a dormir de bonora. Càlche volta, stuàa a candea, i oci me se sarava cussì de sùito che non potea gnànca dirme: “Me indormenso”. (GGG)

(Toscano) Per di molto mi garbò coricarmi anzitempo. Non avea ancor fatto l'atto di spegnere il moccolo, che d'un tratto sopraggiungevano i pisani. (modo di dire toscano quando i bambini si addormentano) (Luigi Lazzerini)

(Modenese) Per dimandi teimp a sun andè a let cun el galéini. Quelch volta, apeina smurzé al lumein, i ôc i se sreven acsé in presia c’an féva gn’anc in teimp a direm: “a m’indurmeint” (Patrizia Carretti))

(Abbruzzese-teatino) Pe' na freca de temp', so jit a lu llet ngh' le gallin'. Chacche vót, ar'mmort' la cannel', mi si chiudevn' l'ucchj cusci' a la 'mbress' ch' n' puté mang' dic': "Mo' m'addorm'". (Federica D’Alessio)

(Montoro AV) Pe' nu sacco e tiempo me ne so juto a cuccà ampressa 'a sera . Certe vote nun faceva a tiempo a stutà o cerogeno ca 'na cataratta scenneva ncopp' a ll'uocchi accusssì all'intrasatta ca manco tenevo 'o tiempo e ricere: mo m'addormo. (Licia Giaquinto)

(En français argotique, un peu vieilli, on pourrait avoir ): "Pas mal de temps, je m'suis pieuté comme les poules. Des fois, j'avais pas coupé la chique à ma loupiotte que je pionçais d'jà comme une pioche et rien que m'dire, queques minutes après, faudrait penser à la dorme, ça m'coupait la ronflette..."). Pierre Yves Leprince)

(Nicastrese) Assai assai mi curcai priastu a sira. Certi voti, quannu a candiala finia, l’uacchi appasulavano senza mancu u tiampu di diri ca durmia (Ippolita Luzzo)

(Basso Veneto) Par un mucio de tempo so nda in leto presto ea sira. Dee volte, pena smorzà el mocoeo, I oci me se sarava cussì in pressia ca ne gheva nian el tempo da dirme: “M’indormezzo”. (Francesca Dallagà)

(Romanesco) Pe’ ‘na cifra, me piava l’abbiocco appresso a’ ‘e galline. C’avevo ‘na cecagna, che manco spegnevo a luce che m’addormivo.(Andrea Caterini)

(Romanesco) "Pe' tanto tempo, me so' corcato de bbonora. Certe vorte, appena che smorzavo er moccoletto, me se chiudeveno già l'occhi, che manco me riuscivo a di': "M'addormo".(Enrico Buonanno)

(Sardo) Seu atturau unu tempu longu a mi 'nci drummì chizzi comenti is puddas. Chi mancu tenia su tempu de nai "sturu sa luxi" chi giai femmu drummiu comenti unu perdigoni  (Teresa Porcella)

(Latino) Diu mature decubui. Nonnunquam, candela nuper extinta, oculi mei tam raptim claudebantur ut ne satis quidem temporis haberem ad mihi dicendum: “Obdormisco”. (Ezio Sinigaglia)

(Triestino) «Per una scariga de tempo so’ndà dormir co le galine. Ale volte, ‘pena studada la candela, i mii oci se serava cusì de balìn che no gavevo gnanca el tempo de dirme: “Me indormenzo.”» (Vincent Baker)

(Leccese) Pe' mutu tiempu, m'aggiu curcatu prestu. Certe fiate, appena stutava la luce, l'ecchi me se chiutianu de corpu. Nun ncucchiava mancu cu dicu "sta 'bbuccu" (Emanuela Chiriacò)

(Ruvo di Puglia) P tanda timb, m so' qulquot all'asqrsciut. Ognettand, mang la cannail s'avaie st_tot, ca rr dduacchier s'avain abbannot, tant fscci'eann ca nan tnaie mang u timb d discm: "mo m n voc au sunn". (Traduzione collettiva famiglia Mele-Lamparelli-De Vito)

(Napoletano Pe' nu cuofan' ' e tiemp', 'a sera so' ghiut' a liett' ambress'. Cierti vvote, nemmanc' 'a cannela s'era stutata, che l'uocchie se chiudevan' accussi' all' intrasatta, ca manc' me putevo dicere: "Me stong' addurmenn'" (napoletano da Ginzburg) le d di "chiudevan'" e "dicere" si pronunciano erre (Alba Coppola)

(Piemontese) "Për tant temp, sun andait a let ad bun'ura. 'Dle volte, cuma l'avìa distisà la candeila, gli êui a'm sarau talment an prèsa, ch'a la vìa gnanca al temp 'd dì a me medesim: mi m'andörmu".(Christian Speranza)

(Milanese) Per όn fracch de temp sont andà a lecc prest. Di volt, malappenna smorzada la candila, i oeucc me se saraven inscì a la svelta che g’avevi gnanca el temp de dimm: “Sont dree a indormentamm”. (Ezio Sinigaglia)

(Bresciano) Per tanto tep, la serö so 'ndat a dormer prest. A olte, apena smorsat el mocol, ma sa saraö i öc sübit che ma sa disie gnach "Ma sa 'ndormente" (Francesca Maccani)

(Latino 2) Diu mature cubitum ieram. Nonnumquam, candela vix exstincta, oculi mei somno tam celeriter conivebant ut tempus deficeret ad mihi ipsi dicendum : "Somno me daturus". (Francesca Maccani)

(Pisano)Per un fottìo di tempo, sono andato a letto 'on le galline. Quarche vorta, 'un facevo a ttempo a spenge 'r moccolo, che l'occhi mi si chiudevano 'osì di 'orsa che 'un ciavevo nemmeno 'r tempo di dimmi: "Oimmèi, ciò 'n sonno che 'un vedo l'ora di dormì". (Nadia Gambis)

(Variazione finale) Oimmèi, ciò 'n sonno che 'un m'agguanto ritto".
[Pisamerda 'un mi c'entra, ma ci starebbe 'ome 'l cacio su' maccheroni ;-) (Patrizia Maria Barbini)
                                                                                                                                                                                     

(Veronese) "Par molto tempo, son ndà a dormir bonora. Càlche olta, ‘pena smorsà el mocolo, i oci i me se serava de boto che no podea gnànca dirme: “Me indormenso”. (Ugo Tecnica)

( tentativo in cosentino stretto) Ppi ttantu tiempu 'a sira mi signu curcatu priestu. Certi voti l'uacchi si chiudianu cu 'ra cannila, mancu u tiamp'i mi diri "mo duarmu" Viviana W Andreotti

 (Catanzaro): Ppe nu burdell e tempu a sira jia ma mi curcu prestu. Certi voti l'occhi si chiudianu 'nsema alla candila, mancu u tempu ma dicu 'mo dormu' (Viviana W. Andreotti)

 (Friulano) Par une vore di timp, o soi lat a durmì adore. Tantis voltis, quand che si studave le chiandele mi si siaravin i voi tant svels che no podevi nianchje dimi: "o mi indurmidis". (Dida Ghini)



(Latino) Tempus paschale ad surgendum est. Oculi, capti somnio, aperiunt visum ad meliora. Sic evenit, cum speremus maiora fore. (Francesco Polopoli)

(Un'altra versione barese):  "Pe nu sàcche de tijmbe, me so’ cherquàte ca jève sùbete. Ognettànde, còme la cannèle se stetàve, tànne tànne l’ècchije mije s’acchiedèvene tùtte na vòlde e non me dèvene u’ tijmbe de disce: « me ne vògghe o’ sènne »" (Paolo Bellomo)

(Catanese) Ppi tantu tempu m’a curcatu prestu. Certu voti, comu stutava a cannila, l’occhi mi s’anchiurevunu accussí di prescia, ca nun arruvava mancu a dirimi iu stissu: “M’alluppiu” (Giusy Sciacca)

(Gioiese) P' parickj timb m-so' qukah-t subb-t 'a ser. Cert vot, accomh st-tav 'a kannel, s-chjdev-n gl'uekkj mbrim, akksì-subbt ka mang u timb d-dic: "Mohh... m so add-rmschjut!" (Marco Cardetta)

(Calabrese-Cittanova) Pe' tantu tempu, mi curcai prestu 'a sira. Ogni tantu, astutata 'a candila, l'occhi si chiudianu accussì prestu che non potìa mancu diri a mia: "M'addormentu". (Natale Raco)

(S.Donato di Lecce) Pe mutu tiempu m’aggiu curcatu amprima la sira. Quarche fiata, mancu stutata la cannila, mampannaa l’ecchi cussì ampressa ca mancu putia dire a mia: “M’addurmisciu” (Massimo Dell’Anna)

(Giosa Ionica RC) "Peh' ttantu tempu jivu_u mi curcu prima_u 'scura. Ncuna vota, quantu_u_m'astutu a candila non m'accorggivi mancu ca' mi 'ndavia addormentatu". (Michele Sainato)



(Triestino) «Per una scariga de tempo so’ndà dormir co le galine. Ale volte, ‘pena studada la candela, i mii oci se serava cusì de balìn che no gavevo gnanca el tempo de dirme: “Me indormenzo.”» (Vincent Baker)

(Bitti, Nuoro) Pro meta tempus, mi so' corcatu pristu su sero. A bias, appena istutata sa cannela, mi si tancaian sos ocros gai da derettu chi mancu potio narrere a mene matessi: "Mi so dorminne". (Natalino Piras)


[Traduzione in romano standard] So' annato a dormì presto pe' na cifra de tempo. Certe vorte, appena che spegnevo la luce me se chiudevano l'occhi così in fretta che manco riuscivo a dimme: «M'addormento».  (Umberto Rossi)

(Piemontese): "Për tant temp, sun andait a let ad bun'ura. 'Dle volte, cuma l'avìa distisà la candeila, gli êui a'm sarau talment an prèsa, ch'a la vìa gnanca al temp 'd dì a me medesim: mi m'andörmu".(Christian Speranza

(Sinigaglia in milanese): Per όn fracch de temp sont andà a lecc prest. Di volt, malappenna smorzada la candila, i oeucc me se saraven inscì a la svelta che g’avevi gnanca el temp de dimm: “Sont dree a indormentamm”.
όn = pron. “un” (un)
fracch = pron. “frak” (molto, molti, un sacco di)
lecc = pron. “lètch” (letto)
smorzada = pron. “smursàda” (spenta)
oeucc = pron. “ötch” (occhio, occhi)
Sont = pron. “Sun(t)” (Io sono: la T si pronuncia solo davanti a vocale)
indormentamm = pron. “indurmentàmm” (addormentarmi: “sont dree a” = “sono dietro a”, cioè “sto + gerundio”

(Alto trevigiano occidentale) Par tant temp son 'ndat in let bonora. Dełe volte, pena stuzà el lumìn, i oci i me se sarava cussì in pressa che no fazeve gnanca ora a dirme: "Son drio indormensarme".(Corrado Piazzetta)
"z": s sonora.
"ł": e evanescente.

 (Montoro)Pe' nu sacco e tiempo me ne so juto a cuccà ampressa 'a sera . Certe vote nun faceva a tiempo a stutà o cerogeno ca 'na cataratta scenneva ncopp' a ll'uocchi accusssì all'intrasatta ca manco tenevo 'o tiempo e ricere: mo m'addormo. (Licia Giaquinto)

(S.Benedettodel Tronto): Pe nu sacche de timpe m’ so’ ite a dermì prest’ la sera. Quacche vota, comme spegnii la cannèle, ji’ucchie me se chiudì ampress, che non c’avì manc lu timpe de dimme: “mo m’addorm”. (Matteo Trevisani)

(sardo  campidanese) Po meda tempus mindi seu croccau chizzi, sa notti. A bortas, appena studada sa candela, s’ogus mi si serrabant aicci allestru chi nimmancu podíu nai: “Me seu drommendi!” (Marisa Salabelle)

(Crotonese) Pi parecchiu tempu, me curcatu prest 'a sira. E chiu 'i na vota appena stutava a cannila l'occhi mi si chiudivinu annavota tantu ca u riusciva a diri manc': Mo dormu! (Giovanni Lentini)

(cosentino): Ppe nu sacc' i tiempu, mi signu curcatu priestu priestu. Certe vote, mentr'a cannila si stutava, l'uacchi mi si chiudianu cussì veloce ca unn'avia mancu u tiempu i mi dicia: "M'adduarmu" (Michele De Marco)

(leccese): Pe' mutu tiempu, m'aggiu curcatu prestu. Certe fiate, appena stutava la luce, l'ecchi me se chiutianu de corpu. Nun ncucchiava mancu cu dicu "sta 'bbuccu" (Emanuela Chiriacò)

(Catania) Ppi tantu tempu m’a curcatu prestu. Certu voti, comu stutava a cannila, l’occhi mi s’anchiurevunu accussí di prescia, ca nun arruvava mancu a dirimi iu stissu: “M’alluppiu” (Giusy Sciacca)

(Gioia Tauro) P' parickj timb m-so' qukah-t subb-t 'a ser. Cert vot, accomh st-tav 'a kannel, s-chjdev-n gl'uekkj mbrim, akksì-subbt ka mang u timb d-dic: "Mohh... m so add-rmschjut!"(Marco Cardetta)

(Tramutolese - Val d' Agri - Pz ) Pe' tandu tiemb', 'a sera me so' jut' a curcà a mbressa. Certi bbote, nun facia a tiemb' a chiur u cerogec' ca l'uocchie se chiurienn accussi' priest, ca manc' putia rice: "Me sò mis a ddorme " (Antonello Saiz)

(Dialetto pavese, ceppo gallo-italico): Pr’un sac ad témp, ad sira sum andài in lét prèst. Di vòlt, fat che smursà al cér, am sa sarévan sü i oĝ in sì prèst ca pudévi nanca dì: “Sum dré durmì”.(Romano A.Fiocchi)

(Siena) credo che la direbbe più o meno così: Per tanto tempo la sera sono andato a letto presto. A volte appena spengevo la luce gli occhi mi si chiudevano così alla svelta che non facevo a tempo a dirmi: “ora dormo” (Giovanni Maccari)

 In dialetto guzzanese (emiliano appenninico): Per tant temp, a son andà a lett prest la sira. Dal volte, a smorzev la candela e i occi se sreven acsì in furia ch'an aveva gnanc' al temp ed dime: "adess dormo". (Giuseppe Dino Baldi)

(martinese) Er assiè ca a ser me cucheve subt. Cirt vot manc stutev a cannel ca ammim' l'ucchie addurmesciavn e ng faceva a ttimp a discer "me ne sto voc au sunn" (Cristina Caroli)

(lo traduco in andriese usando molte perifrasi, dovute alla conoscenza non abbastanza approfondita della lingua) P tanda timb m teng sceut a cocc' all'aur d r gadduin. Ogni tand, quand ssteiv la cannail, l'ucch m s achiudeivn tanda all'acchrenn ca nan tneiv u timb d dicr "staic a pgghe' sunn".(Giovanni Bitetto)

(Lucano). P’ nu sacc d’ timb’ m’ so sciot a cocc subbt la ser’. Cert vot’, non appen stutav la cannel, m’ s’acchiudivn l’ucchj a c’sse subbt ca’ mang m’ putev deic: ‘’ Mo’ me ne vac o’ sunn’’ (Rosa Altamura)

(Pistoia. più che di dialetto si tratta di costruzione e lessico in vernacolo) Per 'un so quanto, son andat'alletto presto. Alle volte spengéo la candela e l'occhi mi si chiudean prima che facess'a tempo a di' "ora dormo"". (Paolo Beneforti)

 Ostunese: Pe tanta tiempe, m'agghie curcate subbete la sera. 'guna vonda appena stetata la cannela li uecchie se chiudevano tanta subbete ca na fasceva ma che a tiempe a disce me sto addermesche.(Paolo Pecere)

(Capuano): Pe nu satc quant tiemp me so gghiut a cucca' ampress. Cert i vvote a cannel nun facev a ttiemp a se stuta' ke tenev già l'uocchie nserrate che nun tenev manc u canz e ricere: me vac a cucca'
(Paola Brandi)

(trevigiano): Par molto tempo, son andà a dormir de bonora. Càlche volta, stuàa a candea, i oci me se sarava cussì de sùito che non potea gnànca dirme: “Me indormenso". (Giuseppe Girimondi Greco)

(Istroveneto, Pola): Per sai tempo son nda dormir de bonora. Certe volte, pena distudavo la candela, i oci me se serava tutint'un cusì che no gavevo neanca el tempo de dirme: deso dormimo (Luc De Badò)

(Istrioto): Par longo tempo sen zì dormi de bonora. Iero volte che pena distudà la candela, i oci me se sereva tutint'un, cusì che no vevi nanca 'l tempo de dime: "me 'dormenzi". (Luc De Badò)

(Friulano orientale, Gorizia): Par tant timp soj lât durmì di bunora/adora.
Erin che voltis che, timp di distudà/pena distudavi la cjandela, i voi mi si siaravin daûr man/dut int'una, che no vevi nancja al timp di dimi: cumò m'indurmidisi/m'indormensi. (Luc De Badò)


(Versione perugina da parte di una che da trenta anni vive a Parma) “ pe ‘n sacco de tempo so gito a letto presto a la sera. D’le volte appena smorzato ‘l moccolo, l’occhi se chiudeveno tuttanbotto. Manco ‘l tempe da dì “mo maddormo “. (Cristina Cimicchi

(Perugia) pe ‘n sacco de tempo so gito a letto presto la sera. D’le volte appena smorzato ‘l moccolo, l’occhi se chiudévno tu; tambotto . Manco ‘l tempo da dì “ m'adormento". (Sanfro Allegrini)

(Palestrinese, RM): Pe 'nsacco de tiempo me so ito a coricà presto la sera.
A voti, quanno che se spegneva lo moccolo me sse ghiudeveno l'uocchi così ssubito che nun potevo manco dì tra mi e mi: "mo me dduormo" (Mirko Scaramella)

(Giovinazzese, Bari): Mo je tanda timbe ca m sò clucuèt subt la sair. Ogné tandè, quann la cannair s statv, l'occhir s'acchiedevn accsè subit ca mang m ptav desc: "M n stoggj a scè au sunn" (Francesco Depalma)


(Cosentino) : Pp'assaj tiempu mi signu curcatu priestu a sira. Certi voti, appena stutavu a cannila, l'uacchi si chiudianu accussì priestu ca unn'avia manc'u tiempu i mi dici:"Mo duarmu!"(Mariagiulia Miceli)

(Cistranese) : So' shiut a cucàrm subb't 'a sér p' nu sacc' d' tijmp.
Stàvn n'gijrt vót ca, meng u tijmp d' stutè a cannéll, l'uecchj s'chiudev'n senz ca putév dichr: "Sto pigghj swenn". (Gianluca Vignola)
  
(Giulianova, Teramo) Pe' 'nu sacc d temp m' so ddurm't prest la sor. Cirt vodd, appon smurav la cannol, m' s ch'jdav l'ucchj talment prest ch' 'nn arsciav manc a d'mm "Mo m'addorm".(Dinamo Seligneri)

(Dialetto di Venafro, IS) Tanta vot m'agg jùt a culucà priest la sera. Ciert vot, appena stutata la cannela, gl'uocchi m s chiurevn accuscì subt che n'nteneva manch i tiemp r m ric: "M piglia i suonn". (Paolo Pecere, versione di Francesco Giampietri)


(Benestare - Costa Jonica, RC): Pe' tantu tempu mi curcai prestu a sira. Certi voti, appena stutava a candila, mi si chjidianu l'occhji accussì prestu chi mancu mi potia diri: "m'addormentu". (Terry May Terry)

(Lombardo) Andavi in lecc cunt i gaiin, l'è andada inscì per un burdel de temp. Ghe'ren siir che n'avevi anca mo' smurza la candela e g'avevi subit i oecc saraa... (Andrea Dusio)

(Ostunese Pe tanta tiempe, m'agghie curcate subbete la sera. 'guna vonda appena stetata la cannela li uecchie se chiudevano tanta subbete ca na fasceva ma che a tiempe a disce me sto addermesche.(Paolo Pecere)

 (andriese): (lo traduco in andriese usando molte perifrasi, dovute alla conoscenza non abbastanza approfondita della lingua) P tanda timb m teng sceut a cocc' all'aur d r gadduin. Ogni tand, quand ssteiv la cannail, l'ucch m s achiudeivn tanda all'acchrenn ca nan tneiv u timb d dicr "staic a pgghe' sunn".(Giovanni Bitetto)

 (pavese): (Dialetto pavese, ceppo gallo-italico): Pr’un sac ad témp, ad sira sum andài in lét prèst. Di vòlt, fat che smursà al cér, am sa sarévan sü i oĝ in sì prèst ca pudévi nanca dì: “Sum dré durmì”.(Romano A.Fiocchi)

Massimo Scotti Bibesco
Proust in dialetto emiliano (Valli Piacentine)
Par bota tee'mp amsô nà crugà prèst ra sira. Dar vôot, n'aav gnamò smursà ra caa'dèira, ch'im sa saràvan sôe i oecc tűt e'tô na vôota, xe à l'ee'pruvisa ch'an pudìiv gnàn dìim "A m'edrumé'ent".

Tommaso Scarponi
[Cannara, PG] Pe mbel po', de sera so ito a dormì presto. Gni tanto, quanno che smorzavo el lume, me se chiudìono l'occhi cuscì presto che nfacìo a tempo manco a dì: "M'addormento".

Claudia Cautillo
In romanesco non c'è ancora, mi pare. Eccolo: "P'en sacco de tempo me ne so' annato a dormi' presto, 'a sera. A vorte, nun appena che smoccicavo er lume, l'occhi me se chiugnevano così d'ampresso che manco c'iaa facevo a di': me sto' a addormì”. Che ve ne pare? Per me è orribile! Ahahaha!

Lorenzo Di Maria
Dialetto larinese (prov. Campobasso, ma con Campobasso Larino ha poco a che fare). [Gli asterischi sono ə, lo "sh" corrisponde a ʃ, "ch" a k, "c'" a tʃ, "g'" a ʤ.]
P' paricchj', m' so cul'cat' priesht. Cacch' vot', sht'tat' u c'rogg'n', l'uocchj' m' s' chj'dèv'n' qw'shì d' sub't' ca n' t'nev' u tiemb' manch' d' dic' e mé "Mo m'eddorm'".

Dialetto lancianese (Abruzzo) : Pe' nu sacche di tempe so jte a ddurmì nghe li galline a la sera. A le vote, appena smurzate la cannela, me si chiudevene l'uocchie accuscì ampress che manch'arscieve a ddì : 《Mo m'adduorme》(Gian Luca Giorgetti Toraldo di Francia)

Lorenzo Calamia
Siciliano di Mazara: Pi tantu tempu la sira mi curcava prestu. Alivoti, mancu tempu d' astutari la cannila, chi l'occhi mi si chiurianu senza aviri lu tempu di diri tra mia e mia:" Mi staiu addummiscennu."

Emilio Borroni
"Agonou dont oussys vou denaguez algarou. Nou den farou, zamist vou mariston ulbrou, fousquez voul brol tam breda- guez moupreton den goul houst daguez "Nou croupys".
( dialetto di Lernè, Loira)

Paola Guazzo
(Genovese) de lungu me sun coegou fitu. e votte, smurtà a candeia, me se serravan i oeuggi sci fitu che nu g'aveia mancu u tempu de dime "m'adormu"


Vincenzo Spanò
(Reggino che può passare per messinese): Pe’ assai tempu, mi solìa curcari prestu ‘a sira. Dii’ vóti, appena s’astutava ‘a candila, l’occhi si chjiudianu accussì subitu chi non mi mi potìa mancu diciri a me’ stessu: “M’addormentu”.

Mimmo Conoscenti
Palermitano - P’un sacch’i tiempu, mi cuircavu a sira priestu. Cierti vuoti, u tiempu r’astutari a cannila e l’uocchi si chiuievanu suli suli accussì priestu ca mancu putieva riri ‘nta mia e mia: “Mi staiu addummisciennu”.

Mariella Maria Licenziati
Pe' nu' sacc(h)' e' tiemp', me so' gghiut'a cucca' ambress' a sera. Certi 'vvote, nun s'era manc'stutata 'a cannela, ca 'll'uocchie me se 'nzerravano accussi' 'e pressa, ca manco facevo a tiemp'a me ricere: "Me stong'addurmenn". (Napoli, quartiere Porto Avvocata)