giovedì 29 dicembre 2016

Camilo Sánchez - LA VEDOVA VAN GOGH - Marcos y Marcos 2016 - € 16,00





L'autore, Camilo Sánchez (1958), argentino giornalista e poeta, come racconta una sua biografia a cura della casa editrice Marcos y Marcos: Guardando un documentario della BBC, è rimasto colpito da un’immagine di Johanna van Gogh-Bonger, citata fuggevolmente come depositaria dei quadri e delle lettere; durante una lunga permanenza a New York, esplorando musei e biblioteche, ha scoperto il suo ruolo fondamentale, mai raccontato, nel difendere dall’oblio l’opera di Van Gogh. Era la storia che Sánchez aspettava per il suo primo romanzo, La vedova Van Gogh: un omaggio al pittore straordinario morto solo, suicida, e alla donna che ha lottato per renderlo, come artista, immortale.


Non sorprende che Sánchez fosse rimasto colpito dall'immagine di Johanna van Gogh-Bonger (1862-1925): qui nella foto ha solo 27 anni, forse appena sposata con Theo van Gogh, deve ancora accadere tutto, ma si capisce già dal suo sguardo deciso che possiede gli strumenti adatti per affrontare le complessità  che la vita ha in serbo per lei.





Nel ritratto del 1905, eseguito dal secondo marito, il pittore olandese Johan Cohen Gosschalk (1873–1912), Johanna ha 43 anni, è nel pieno della maturità e sembra possedere la consapevolezza di aver portato a termine la missione di far conoscere al mondo la grandezza di Vincent van Gogh.   




Ed ora il libro. Diciamo subito che è scritto con quella particolare leggerezza che caratterizza un po' tutta la giovane letteratura sud americana, utilizzando sapientemente tre linee narrative: il racconto obiettivo dei fatti, il diario di Johanna van Gogh-Bonger e le lettere di Vincent al fratello Theo; scelta felice che non solo conferisce fluidità al romanzo, ma ne accentua il ritmo. Questo l'incipit:
 Un'ombra pesante su ogni gradino della scala è stato l'annuncio: Theo van Gogh entra con il fantasma della morte attaccato alle scarpe.
 Johanna lo guarda. In tre giorni è invecchiato di dieci anni.
Quasi non fa caso alla moglie e a malapena saluta il bambino. Con una cautela estrema, sistema sotto il letto gli ultimi lavori del fratello, una serie di rotoli con tele dipinte di fresco. Quindi, nel bauletto di rovere delle lettere, ne deposita un'ultima, quella che Vincent van Gogh aveva addosso quando si era sparato un colpo, e poi si era sdraiato per dormire.

 
 
Un sincero ringraziamento alla mia amica Tiziana che, conoscendo la mia ritrosia nei confronti di autori contemporanei, mi ha portato il libro da leggere sicura che mi sarebbe piaciuto, e così è stato.


















sabato 24 dicembre 2016

Pierre Grimal - CICERONE - Il Giornale - Biblioteca Storica





L'ultimo alleggerimento della zavorra libresca operata da mio fratello Mario, mi ha fruttato una ventina di volumi della biblioteca storica edita da Il Giornale qualche anno fà. La collana completa ne contava ben 40, tutti dedicati alla civiltà greco-romana.

Il mio interesse si è concentrato subito nei volumi che trattano il periodo (circa una sessantina di anni) che vanno dall'esordio politico di Silla alla nascita dell'Impero, e che coincidono con gli anni in cui è vissuto Marco Tullio Cicerone (106 a C.- 43 a C.).

Figura complessa quella di Cicerone, in largo anticipo sui tempi per la sua visione moderna dello stato, autore di numerose opere - molto più citate che conosciute - e le cui traduzioni hanno angosciato, e ancora angosciano, generazioni di studenti, impegnati ad interpretarne i lunghi e complessi periodi.

L'autore di questo volume, Pierre Grimal (1912-1996), è stato uno dei maggiori storici e latinisti francesi: professore alla Sorbona di lingua e civiltà latina, traduttore di Cicerone, Seneca, Tacito, Plauto e Terenzio, nonché autore di numerose biografie e saggi sui vari aspetti della civiltà romana. 

Questa biografia di Cicerone, redatta nel 1986, oltre che ricostruire tutti i più importanti processi che lo videro protagonista assoluto dell'arte oratoria, difendendo o accusando i maggior personaggi della sua epoca, da conto della notevole attività letteraria e degli studi filosofici che, specialmente nei momenti difficili della vita politica romana, quando costretto all'esilio per le sue posizioni, o prudentemente autorelegatosi in una delle numerose ville possedute, poteva coltivare, scrivendo, quell'otium cum dignitate che è fondamento della sua visione della vita.

In un'epoca in cui senza la disponibilità di un proprio esercito, le ragioni politiche stentavano ad ottenere udienza, il perenne contrasto tra l'imperium esercitato dai consoli e  l'auctoritas esercitata dal senato, metteva a repentaglio la res publica e  minacciava la libertas, fondamento della natura stessa di Roma, che Cicerone così interpreta: «Tutte le nazioni possono sopportare la schiavitù, la nostra civitas non può» (Omnes nationes servitutem ferre possunt, nostra civitas non potest).

Per le vicissitudini vissute, si potrebbe sintetizzare la vicenda umana di Cicerone adattando il noto passo di Manzoni riferito a Don Abbondio: "si rese conto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d'essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro", perché tali erano  Silla, Catilina, Clodio,  Cesare,  Pompeo, Antonio, Ottaviano con i quali si trovò a viaggiare, sempre in rotta di collisione nella strenua difesa della res publica contro la tirannide di un solo uomo al potere.

Non trovò orecchie disponibili a concretizzare il suo Cedant arma togae e pagò con la vita  la sua mancanza di risolutezza.

domenica 4 dicembre 2016

Beppe Fenoglio - UN FENOGLIO ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE - Einaudi 1973 - £ 2.800




Sono un convinto lettore di Beppe Fenoglio (1922-1963). Mi piace la sua prosa essenziale, che in qualche modo mi ricorda Sherwood Anderson. Ho letto con immutato piacere I ventitre giorni della città di Alba (1952), La malora (1954), La paga del soldato (1969). Poi ho scovato, in uno dei tanti scatoloni che contengono la biblioteca di famiglia, questo libro pubblicato postumo, mettendo assieme scritti di epoche diverse, incompleti e sicuramente destinati ad essere profondamente rimaneggiati dall'autore se ne avesse avuto il tempo e il desiderio di vederli pubblicati. Ma così è: gli eredi e le case editrici ritengono di svolgere un'opera meritoria nei confronti degli autori scomparsi, pubblicando tutto ciò che trovano violando i loro cassetti!

Inizio a leggere. Il paese. Un racconto? Un romanzo? Capitolo primo, secondo, terzo, undicesimo e poi niente, finito così.

Vado avanti: I penultimi. Parte prima: 12 paragrafi. Parte seconda: 2 paragrafi: il racconto finisce a metà di un discorso: Levò di tasca il cannocchiale come se volesse offrirmi chissà che dimostrazione, ma poi ".

Seguono La licenza, Il mortorio Boeri, Un fenoglio alla prima guerra mondiale. Anche questi incompleti. In copertina nessun accenno. Nel risvolto è detto: A dieci anni dalla scomparsa di Beppe Fenoglio, questo nuovo volume che raccoglie organicamente una serie di racconti inediti, rinvenuti tra le sue carte, comprova ancora una volta quanto abbia perduto, con lui, la nostra narrativa. Se ti trovi in libreria e leggi questo risvolto presumi si tratti di opere complete, e passi direttamente alla cassa.

Ma non è questa la sola sorpresa.

Il testo è inframmezzato, direi di più, infarcito a bella posta di termini inglesi. Non solo la voce narrante, nel descrivere reazioni o situazioni, utilizza (senza nessuna esigenza narrativa) termini inglesi, ma anche personaggi che non hanno con questa lingua alcun rapporto, la utilizzano abbastanza casualmente e forse non sempre correttamente. Esempio:
Il capotavola sospiro e wawed all'ostessa per un bicchiere nuovo.
Più avanti (siamo ancora alla prima pagina) troviamo:
Tutt'intorno gaped.
Poche righe e:
Paco sospirò ed estrasse il pacchetto delle sigarette. Il medico fumbler con le dita apposta per estrarne una ed un'altra farne cadere.
E ancora:
Ci fu un moderato chucklink, la maggior componente di esso provenendo dalla bocca grassa e parca di Paco.
La perpressità, il disagio, ma anche il fastidio per quest'uso immotivato di una lingua così estranea al contesto paesano, delle Langhe tra le due guerre, è enorme, ma con fatica vado avanti cercando di concludere la lettura del volume.

A un certo punto un personaggio, l'aiutante di un commerciante di animali, ad una vecchia contadina chiede a proposito del figlio morto di costei:
-Wat did he die for? - disse Remo.
E la contadina langhirana, senza batter ciglio, come se si trovasse nelle verdi campagne del Hampshire , risponde:
- Nessuno l'ha mai saputo. O almeno nessuno ce l'ha mai detto...
C'è un limite a tutto! e qui questo limite è stato superato. Non ce l'ho con Fenoglio, sia chiaro. Lui aveva tutto il diritto di sperimentare linguaggi e forme narrative secondo il suo estro e desiderio. Magari in fase di completamento dell'opera si sarebbe reso conto da solo di quanto inverosimile, e anche un po' ridicolo, sia mettere in bocca ad un contadino langharolo termini inglesi a casaccio. Magari questo materiale grezzo non era destinato alla pubblicazione, e non tenendone conto, l'editore, non ha fatto un buon servizio all'autore ed ai suoi lettori.

In appendice le Note del curatore, GinoRizzo, che nulla spiegano dei problemi da me posti e, a chiudere, prima dell'Indice, il Glossario: 113 termini, o intere frasi, in inglese qui tradotte, con l'indicazione degli errori da matita blu commessi dal'autore.

Fenoglio, bontà sua, non poteva sapere che nel primo decennio del nuovo millennio, qui in Italia l'inflazione dell'uso improprio della lingua inglese, avrebbe raggiunto e superato i limiti della decenza, rivelando un insopportabile provincialismo che, dallo Stato ai mezzi di comunicazione, avrebbero inquinato il già mediocre linguaggio usato dai suoi connazionali. Sapendolo se ne sarebbe ben guardato dall'utilizzarlo.


 
 




i racconti lievitano sino alle dimensioni di una ruvida epica paesana, in virtú di un linguaggio che utilizza accortamente le durezze sintattiche e lessicali del dialetto, e le robuste metafore del parlare contadino, in una cifra stilistica di penetrante efficacia.


giovedì 18 agosto 2016

Goethe - VIAGGIO IN ITALIA - Oscar Mondadori 2010 - € 16,00

Di tutt'altro genere rispetto a quello di Montesquieu, il Viaggio in Italia - lungamente atteso e preparato - di Johann Wolfang von Goethe (1749-1832), se non altro per la diversa sensibilità  culturale che distingue i due grandi europei: essenzialmente politica e giuridica quella del primo, poetica, artistica e filosofica quella di Goethe. Ma non solo. Gli interessi  di Goethe, che lo fanno definire uomo universale, lo portano ad interessarsi e a fornirsi di un'erudizione in discipline che spaziano dalle arti alle scienze, come botanica (sua La metamorfosi delle piante,1790 oppure i Principi di filosofia zoologica e anatomia comparata, 1793) o di mineralogia. 

Goethe non era un viaggiatore per vocazione, non sentì mai la necessità di visitare le grandi capitali europee, Londra o Parigi; l'unico paese che lo indusse ad un lungo e impegnativo soggiorno fu l'Italia, dove non solo visitò i più importanti luoghi d'arte, ma studiò con dedizione disegno, prospettiva, l'uso del colore e l'arte di modellare. Dei progressi che faceva in tali attività, scriveva, non senza una punta d'orgoglio, ai suoi corrispondenti a Weimar, salvo poi confessare l'inanità dei suoi tentativi.

Per chi fosse interessato, in via del Corso 18 a Roma, sede della Casa di Goethe, dove visse dal 1786 al 1788 ospite dell'amico pittore Tischbein, è allestita una mostra permanente degli scritti e dei disegni di Goethe effettuati durante il suo soggiorno a Roma. 
Ritratto di Goethe nella campagna romana,  dipinto da Tischbein (1,64x2,06)


Quando, dopo aver visitato quasi di sfuggita l'Italia del Nord, saltando incredibilmente Firenze, giunge finalmente a Roma, capisce che questa era la meta lungamente sognata, e scrive:

Non osavo quasi confessare a me stesso la mia meta, ancora per via ero oppresso dal timore, e solo quando passai sotto Porta del Popolo seppi per certo che Roma era mia.
...mi decisi a intraprendere un così lungo e solitario cammino, alla ricerca di quel punto centrale verso cui mi attirava un'esigenza irresistibile. In verità, negli anni più recenti era diventata una specie di malattia, dalla quale solo la vista e la presenza immediata potevano guarirmi.
Ho pressoché sorvolato le montagne tirolesi; ho visitato bene Verona, Vicenza, Padova e Venezia, di sfuggita Ferrara, Cento e Bologna, e Firenze, si può dire, non l'ho veduta. L'ansia di giungere a Roma era così grande, aumentava tanto di momento in momento, che non avevo tregua, e sostai a Firenze solo tre ore. Eccomi qui adesso tranquillo e, a quanto pare, placato per tutta la vita.

Nel giorno dei Morti assiste ad una funzione pubblica, nella cappella privata del papa al Quirinale, e il suo spirito caustico non manca di manifestarsi:

La funzione era già cominciata, e il papa si trovava in chiesa con i cardinali. Bellissima e dignitosa la virile figura del Santo Padre (Pio VI Braschi), vari i cardinali d'età e d'aspetto. Mi prese lo strano desiderio che il capo supremo della Chiesa aprisse l'aurea sua bocca e, parlando estatico dell'indicibile letizia delle anime beate, comunicasse anche a noi la propria estasi. Ma poiché lo vidi semplicemente andare sù e giù davanti all'altare, voltandosi un po' di quà e un po' di là, gesticolando e borbottando come un prete qualunque, si risvegliò in me il peccato originale del protestante, e il noto e consueto rito della messa non mi piacque più per nulla. Gesù Cristo aveva fin dall'infanzia interpretato a viva voce La Scrittura, e anche nell'adolescenza certamente non aveva insegnato e operato in silenzio; anzi, parlava volentieri, bene e con sagacia, come sappiamo dai Vangeli. Che direbbe, pensavo, se entrasse qui e scorgesse la sua immagine sulla terra andar su e giù biascicando e ballonzolando? Mi venne in mente il Venio iterum crucifigi, tirai per la manica il mio compagno e ce ne andammo a cercar respiro nei saloni dalle volte affrescate.

Che dire della meraviglia manifestata di fronte ai monumenti, fino ad allora visti solo attraverso le incisioni del Piranesi, che suo padre Johann Caspar aveva riportato dal proprio viaggio in Italia nel 1740, e che influenzò fortemente il giovane Wolfang.

Manifesterà in seguito poca stima per Piranesi, scrivendo con una punta di ironia:

Per quella volta ci limitammo a salutare con gli occhi la sagoma della piramide Cestia; e le rovine delle Terme Antoniane o di Caracalla, di cui Piranesi ci ha favoleggiato con tanta abbondanza di effetti, non diedero in quel momento che ben poca soddisfazione al nostro occhio, educato al gusto pittorico.
Mai come in questo caso, mi rendo conto, di quanto risulti arbitraria la scelta delle cose da evidenziare; in un'opera che consta oltre 700 pagine, comprese le indispensabili note, ogni scelta è fatalmente opinabile; ricorderò solo il capitolo che Goethe dedica al carnevale romano a cui ha assistito per due anni di seguito, facendone una cronaca dettagliata, così vivida nello sguardo d'insieme e nei particolari da risultare una pagina di grande giornalismo per l'epoca, e una pagina di storia affascinante per noi posteri.

Devo alla gentilezza dell'amica Tiziana, ispiratrice di tante scoperte letterarie, l'avermi fornito di entrambi i volumi inerenti i viaggi in Italia di Goethe e di Montecquieu, che qui ringrazio riconoscente e saluto con rinnovata stima..

lunedì 8 agosto 2016

Montesquieu - VIAGGIO IN ITALIA - Economica Laterza 1996 - £ 16.000

Charles Louis de Secondat, barone di la Bréde e di Montesquieu (1689-1755), filosofo, giurista, storico, politico, fu uno dei maggiori esponenti dell'illuminismo francese, tra i principali teorici del liberalismo settecentesco, autore delle Lettere persiane (1721) e della monumentale opera  Lo spirito delle leggi (1748), nella quale enuncia il principio della separazione dei poteri,  fondamento della Costituzione statunitense e francese, e di tutta la politica moderna. 

Questo volume di Laterza dal titolo Viaggio in Italia, è ricavato in realtà da quella parte dei suoi diari relativi al periodo 1728-29 che Montesquieu trascorse nel nostro paese; non certo per fare turismo, ma per completare la propria formazione intellettuale, convalidare e sviluppare le proprie idee intorno alla natura dei popoli e dei loro costumi.

La natura frammentaria  dell'opera, propria della forma diaria degli scritti, è evidente dalla grande varietà di argomenti trattati, che non avrebbero ragion d'essere se l'opera fosse stata concepita come esclusivo resoconto di un Viaggio in Italia. 


 Quando si entra nello Stato del Papa, si trova un paese migliore, ma più miserabile. Non è così gravato d'imposte come quello di Firenze; anzi, lo è troppo poco; ma siccome non c'è né commercio, né industria, stenta a pagare i suoi tributi quanto gli stessi Fiorentini; in realtà non hanno alcuna manifattura. Ora, il sistema dell'Europa è tale che la spesa per il vestiario supera quella del vitto, e che un paese che fa venire da fuori il vestiario di cui ha bisogno, e non può pagarlo con i frutti della terra, è rovinato, perché occorre coltivare un campo che potrebbe nutrire tre uomini per vestirne uno solo; e questo deve necessariamente spopolare il paese.

Più avanti un vistoso errore, sfuggito anche ai curatori dell'edizione, perché non viene rilevato nella  nota in calce, dove però si informa che, nel manoscritto, Appia è scritta in italiano, (come se si potesse scrivere in un'altra lingua!):

Da Viterbo a Roma ci sono 40 miglia.
S'incontrano dei tratti della via Appia, ancora integri. (....)
Quando il Papa attuale andò a Viterbo, furono aggiustati parecchi tratti di questa strada Appia, e molto male l'hanno aggiustata a modo nostro e senza metterci margo (bordo), perciò in cinque o sei anni sarà distrutta ed è già parecchio rovinata.  

Tutti sappiamo che la via Appia, detta regina viarum,  traccia un percorso verso sud fino a Brindisi, mentre è l'antica via consolare Cassia a collegare Viterbo con Roma . Transeat!

Un grosso problema per i viaggiatori stranieri dell'epoca erano le confuse e allarmate  notizie circa il pericolo incombente della malaria, presente in molte parti d'Italia e specificamente nella campagna romana. Così ne parla Montesquieu arrivato a Roma:

Ho sentito dire dal Cardinale (si riferisce a Melchior de Polignac 1661-1711, uomo politico e cardinale, fu ambasciatore a Roma) che le cause della malaria di Roma sono complesse, e che fanno effetto solo quando si è dormito (le parti maligne si insinuano più facilmente quando le fibre sono meno tese), e di più, ordinariamente, quando si è fatto uno stravizio di qualsiasi genere; che la malaria si prende nella campagna romana, e non nella città, che è in basso, né sui monti che la circondano.
Queste cause sono: 1. che le acque non scorrono più tanto bene; 2. che ci sono dei fossati sulle rive del mare, che d'estate si asciugano producendo insetti ed esalazioni cattive; 3. che ci sono molte miniere di allume e d'altri minerali, che emanano esalazioni.
Ha dimenticato un'altra ragione, che mi riguarda più da vicino; le acque invernali, che ristagnano sotto terra, perché il suolo qui, dove ci furono tanti edifici un tempo, è tutto pieno di cavità.

In un'altra parte delle memorie, scrive:

La malaria, che regna durante l'estate a Roma, intorno a Roma e nel reame di Napoli, comincia con una febbre impercettibile, che in seguito scoppia. Dopo, si muore quasi in ogni caso. (....) come se si dorme in un luogo diverso in cui si dorme abitualmente; foss'anche da un quartiere della città ad un altro, e perfino da una stanza all'altra della stessa casa. Ho sentito dire dal Duca di Monragone che un uomo ne era guarito con l'emetico (farmaco capace di provocare il vomito). I medici vi danno solo rimedi inutili e inefficaci. Il Conte di Gallas, nominato viceré di Napoli, e impaziente di regnare, partì in estate e morì, come una parte del suo seguito.

Le informazioni scentifiche in quegli anni viaggiavano assai lentamente, e il buon Montesquieu non poteva essere a conoscenza che fin dal 1717 il medico e archiatra pontificio Giovanni Maria Lancisi (1654-1720), aveva, con il De noxiis paludum effluviis eorumque remediis, intuito che la causa della malaria erano le zanzare, che ne erano il veicolo di diffusione; insetti che provenivano principalmente dai canali di scolo e dai territori alluvionati.

Per avere un'idea di cosa era Roma solo qualche anno dopo la visita di Montesquieu, può essere interessante utilizzare questa pianta topografica interattiva di Giovanni Battista Nolli (1692-1756) eseguita nel 1748.
http://www.romaierioggi.it/la-nuova-topografia-di-roma-nolli-1748/

Un aspetto di grande interesse in quest'opera di Montesquieu, oltre le sue considerazioni intorno  alla pittura, scultura e architettura, molto particolareggiate e tecniche, sono le descrizioni  degli intrighi politici nelle corti europee, e in particolare quelli legati all'elezione del Papa nel conclave del 1724, raccontate con dovizia di particolari per le confidenze avute dal cardinale francese de Polignac, fino al virgolettato dei dialoghi, dove apprendiamo con sorpresa che i sovrani di Francia, Spagna, Napoli e l'Imperatore (cioé i tedeschi) avevano diritto di voto nel conclave, quello stesso conclave che, dopo aver bruciato per manovre politiche tutti gli altri candidati favoriti, portarono all'elezione, contro la sua volontà, del semplice e ingenuo cardinale Orsini col nome di Benedetto XIII.

Infine, poiché i voti per Orsini aumentavano ogni giorno di più, i cardinali italiani dissero:  «Se la manovra per Orsini fosse seria, riusciremmo ad eleggerlo.» - «Perché no? - disse Albani, - E' un santo.» Fu fatto papa. Voleva scappare e calarsi dalla finestra. «Signor cardinale - diceva al cardinale di Polignac - sono incapace. Non so che qualche fraterie. Jo governerò male. Non cognosco li affari della Christianità. Mi condurrò male.»

 Di grande attrattiva, e non potrebbe essere altrimenti, le descrizioni di quei luoghi visitati dal grande viaggiatore, soprattutto quelli che il lettore per consuetudine conosce e ama:

Il 1° giugno 1729 sono stato a Monte Porzio, villaggio che appartiene al principe Borghese. Là era la casa di Porcio Catone, che discendeva da una famiglia originaria di Tuscolo. Quando Annibale venne ad accamparsi in quei paraggi, Catone fece pubblicare che se qualcuno avesse voluto vendere le terre su cui era accampato Annibale, egli le avrebbe comprate al prezzo dell'anno prima. Nel villaggio c'è una chiesa molto bella, d'un'ottima architettura. Il quadro dell'altare maggiore è bellissimo. 
Di là si vede tutta la campagna romana, ad ovest ed a settentrione, fino alla catena di montagne dove abitano i Sabini; si vede Tivoli o Tibur, Palestrina o Preneste; verso il declivo dei colli, a settentrione, si vede il Monte Soratte, ed altri villaggi. Il vino è ottimo.

Tutto il paese che ho descritto, fra Tivoli, Frascati e Palestrina è migliore è più ricco di quello che ho visto da Firenze a Roma, e da Roma a Napoli, senza paragone. I villagi sono più frequenti, popolati, ben costruiti; belle strade, chiese ben fatte; e soprattutto una gran quantità di bambini. Una contrada assai fortunata, specie fra Monte Porzio e Genzano, una zona di 11 miglia circa, veramente molto bella: Monte Porzio, Frascati, Marino, Castel Gandolfo, Albano, Ariccia e Genzano.

Senza volerlo il grande illuminista anticipa di poco meno di duecento anni i motivi che hanno reso famosa la canzone romanesca , 'Na gita a li Castelli (1926).

lunedì 25 luglio 2016

Truman Capote - PREGHIERE ESAUDITE - Garzanti 1987 - £ 16.000



Il più azzeccato necrologio scritto per Truman Capote (1924-1984), che racchiude il senso della sua inimitabile vita, è stato questo: un genio morto per overdose di celebrità. Personaggio rappresentativo di un'intera epoca, quella che negli anni '60 veniva definito jet set, organizzatore di feste memorabili con tutti quelli che all'epoca contavano nel mondo della politica, dell'economia, dello spettacolo e della cultura.

Il clamore che il personaggio mondano ha suscitato, rischia di offuscare,  come per Andy Warhol nell'arte, il valore dello scrittore, e può accadere che lo si ricordi più per le sue feste e stravaganze che non per le opere prodotte. 

Dopo un'infanzia difficile a causa di genitori assenti e sconclusionati, deve la sua salvezza alla letteratura, a cui si dedicò fin dal college ottenendo continui successi, da una grande cultura letteraria acquisita fin da giovanissimo, e da una prodigiosa fantasia.

Si impose come scrittore a soli 24 anni con il suo primo romanzo  Altre voci, altre stanze (1948), dopo dieci anni pubblica con uguale successo Colazione da Tiffany, in basso il link di presentazione del 2011:

http://giorgio-illettoreimpenitente.blogspot.it/2010/07/colazione-da-tiffany-di-truman-capote.html

Ma il successo planetario arrivò con A sangue freddo (1966), cronaca di un brutale quadruplice omicidio  a cui lavorò per sei anni, interrogando tutte le persone implicate, compresi gli investigatori e gli stessi assassini,  inaugurando, con questa non-fiction novel, una nuova forma di narrativa di cui divenne l'acclamato capostipite.









Il successo mondiale lo rende una celebrità. E proprio Capote tiene a battesimo l'epoca delle celebrità in cui viviamo. Lo scrittore infatti festeggia A sangue freddo col famoso ballo in bianco e nero al Plaza Hotel (14 marzo 1966). L'evento entra a far parte della storia del costume. Basta guardare la lista degli invitati (oltre 400 vip) per capire che l'aristocrazia del denaro ha i giorni contati. Il concetto di «esclusivo» sta per diventare sempre più inclusivo. Nel nuovo mondo il nobile decaduto convive col magnate rampante, il politico con l'attore, l'artista con la star (?) della televisione. Nel salone dell'albergo newyorchese sfilano rivali come Norman Mailer; divi come Frank Sinatra, Mia Farrow e Lauren Bacall; studiosi come John Kenneth Galbraith e Arthur Schlesinger jr. Accanto a loro c'è il potere vero: gli Agnelli, i Kennedy, i Paley... È un universo sganciato dalla realtà. Non c'è contrasto più stridente tra questa fiabesca serata in maschera, seguita anche dall'austero New York Times , e le contemporanee atrocità della guerra in Vietnam. (Alessandro Gnocchi, Il Giornale.it 2014)

 

Preghiere esaudite, doveva essere, nel progetto purtroppo incompiuto di Capote, l'equivalente americano de la Recherche proustiana, dove ai salotti parigini avrebbe contrapposto, senza alcuna censura, vizi e miserie della nuova aristocrazia, rappresentata dal jet set internazionale che lo aveva accolto e coccolato nel suo seno,  e che lui conosceva perfettamente.

Ma le cose non andarono come previsto, ottenuto il 5 gennaio 1966 25,000 $ di anticipo dalla Random House, Capote avrebbe dovuto consegnare l'opera entro il 1° gennaio del 1968. La data di consegna per Preghiere esaudite su spostata al 1969 e l'anticipo aumentato in modo consistente, poi fu rinviata al 1973, poi al 1974, di nuovo spostata al 1977, successivamente al 1980, quindi al 1981 aumentando l'anticipo a 1 milione di dollari, da pagare soltanto alla consegna dell'opera.

Nel 1975 Capote, contro il parere di Joseph M.Fox, Senior editor della Random House, pubblicò due capitoli di Preghiere esaudite sulla rivista Esquire che provocò un'esplosione che sconvolse il ristretto mondo che Truman si era prefisso di descrivere. Praticamente tutti gli amici che aveva in quell'ambiente lo misero al bando, e molti di loro non gli rivolsero più la parola. (Joseph M. Fox, nella Premessa a Preghiere esaudite


La vendetta viene consumata calda. Capote diventa un appestato e viene espulso dai salotti che un tempo si beavano delle sue maldicenze. Per lo scrittore, innamorato di quel mondo, è una batosta che ne accelera la caduta nel girone infernale dell'alcolismo e della droga.  (Alessandro Gnocchi, Il Giornale.it 2012)


Preghiere esaudite (l'espressione è tratta da S.Teresa d'Avila: "Si versano più lascrime per le preghiere esaudite che per quelle non accolte") rimane un'opera oltre che largamente inconclusa, ben al disotto dello standard qualitativo della narrativa di Truman Capote, se confrontato, ad esempio, a un gioiellino come The Thanksgiving Visitor (1969) - letto nella bella collana di Repubblica, Short stories in lingua originale con traduzione a fronte

giovedì 30 giugno 2016

Michail Bulgakov - IL MAESTRO E MARGHERITA - Einaudi 1991 - £ 30.000





Nella nostra famiglia Il Maestro e Margherita è stato, ed è tuttora, un libro di culto che abbiamo letto tutti più volte, nell'edizione Gli Struzzi di Einaudi (1974), tradotto da Vera Dridso. Questa della foto è stata ricomprata dopo che l'originale (vedi foto in basso), un po' squinternata dalle molte manipolazioni dei cinque componenti la famiglia, di cui tre adolescenti, era stata prestata ad una amica di un figlio che l'aveva completamente distrutta. 
In verità mi era stata restituita copia di un altro editore, forse Garzanti, con una traduzione meno divertente tanto da rendere necessario acquistare la nuova l'edizione Einaudi (nella foto in alto), con quella moderna e banale immagine di copertina, che mi ha fatto pensare che Einaudi, avendo rinunciato a ripresentare il volume con la forte ed evocativa immagine esoterica, forse ritenuta troppo arcaica, tentasse di smerciare il libro a potenziali ignari lettori, come una storia di sesso tra un maestro (inteso come insegnante) e un'alunna maliziosa: una sorta di Lolita in salsa russa.


Perché, pur ritenendo questo romanzo così importante, non ne ho mai parlato? Ma semplice, perché è difficile dire qualcosa di nuovo o di interessante su una storia così complessa. Si dovrebbe iniziare parlando dell'ironica rappresentazione della società letteraria sovietica, con al suo vertice la potente Rossijskaja Associacija Proletarskich Pisatelej («Associazione russa degli scrittori proletari»), che non è mai stata bendisposta con Bulgakov vivente.

E che dire del romanzo nel romanzo, che il Maestro tenta di scrivere sulla passione di Cristo e i mal di testa di Ponzio Pilato, e ancora il rapporto speciale che legherà il Maestro e l'amata Margherita all'affascinante e potente Woland, che tutto può...

Senza neanche prendere in considerazione il film del '72 di Aleksandar Petrović, con Ugo Tognazzi e
Mismy Farmen, propongo, per i pigri l'audiolibro completo dell'edizione integrale Einaudi:

https://www.youtube.com/watch?v=As1_8FbOfqQ

e per i curiosi con tanto tempo a disposizione la Serie televisiva russa di Il Maestro e Margherita (dieci parti ciascuna di 40-45 minuti) regia Vladimir Bortko del 2005, in russo con sottotitoli in italiano. Nel link qui sotto l'inizio:

https://www.youtube.com/watch?v=xwlu5Wz-O_0

Ma secondo me, nessuna rappresentazione cinematografica, per quanto ben fatta, può supplire al piacere della lettura di un testo come questo, che alterna pagine di puro divertimento a momenti di grande pathos. E quando dico piacere della lettura intendo proprio che le immagini che si formano nella mente di chi legge, non potranno mai essere rappresentate da un altro lettore allo stesso modo, per quanto bravo il regista, per quanto bravi gli attori....

venerdì 10 giugno 2016

Gina Lagorio - GOLFO DEL PARADISO - Garzanti 1987 - £ 19.000




E' noto che la narrativa contemporanea è costituita da rarissimi, quasi accidentali capolavori, di una piccola parte di onesta narrativa d'autore, frutto dell'attività di professionisti dotati della felice arte del raccontare (prima che questa si trasformasse in storytelling), e tutto il resto, che è la stragrande maggioranza di ciò che viene pubblicato, o è  narrativa di genere, o è zavorra commerciale, il più delle volte conseguenza diretta della sola notorietà dell'autore.

Appunto un bell'esempio di onesto romanzo d'autore è Golfo del Paradiso (1987) di  Gina Lagorio (1922-2005), già apprezzata per un altro bel romanzo, Tosca dei gatti, apparso in questo blog nel 2011:
http://giorgio-illettoreimpenitente.blogspot.it/2011/07/gina-lagorio-tosca-dei-gatti-garzanti.html

Questo Golfo del Paradiso è la storia dell'ostinata ricerca di un quadro perduto, che racchiude per il suo autore, Michele, vecchio e affermato pittore, il segreto di un momento lontano di indimenticabile bellezza e verità.

C'era silenzio, quel mattino a Paraggi, e c'era anche nel piccolo quadro. Un silenzio profondo e insieme leggero, teso su le cose e continuo, tra le linee curve e dritte, impalpabile ma presente come il mare e il cielo che fondeva insieme, lievissimo ma vibrante, ed era questo «unicum» di silenzio che faceva bello il quadro. Che almeno lo distingueva da ogni altra marina che avesse dipinto in quel periodo, e forse anche dopo.
"Michele è l'ultimo poeta che esprime in colori il mondo che è stato di Sbarbaro e di Montale, in malinconia e ironico distacco, ma anche con ferma e orgogliosa coscienza di un modo diverso di abitare la terra." (dalla seconda di copertina)
 









lunedì 16 maggio 2016

Roberto Bolaño - AMULETO - Adelphi 2013 - € 16,00


C'è sicuramente una forma di snobismo nel mio rifiuto di seguire le mode letterarie quando si impongono con irruenza sul mercato editoriale, esemplare il caso di Roberto Bolaño che esplose una ventina d'anni fà, trasformando lo scrittore cileno in un’icona, del tutto simile a una rockstar della letteratura mondiale.
Lessi una bella intervista a  Bolaño nel n.44 della rivista PULP (luglio-agosto 2003) che mi piacque molto, ma passarono ancora altri anni prima che mi decidessi ad acquistare un suo romanzo e la scelta cadde su Amuleto del 1999, dopo aver letto essere stato stato definito questo romanzo: "un’esperienza onirica ai confini del delirio in cui la scrittura di Bolaño, stilisticamente, è spinta al limite estremo", e ancora, in un'altra recensione: "un artifizio creativo che regala al lettore si la fatica di tenergli dietro in ogni pagina, ma lo ripaga insieme dei più arditi passaggi mai descritti quasi fosse una sceneggiatura per un film girato su un doppio registro".





Questo l'incipit di Amuleto:

Questa sarà una storia del terrore. Sarà una storia poliziesca, un noir, un racconto dell’orrore. Ma non sembrerà. Non sembrerà perché sono io quella che la racconta. Sono io a parlare e quindi non sembrerà. Ma in fondo è la storia di un crimine atroce. Io sono l’amica di tutti i messicani. Potrei dire: sono la madre della poesia messicana, ma è meglio che non lo dica. Io conosco tutti i poeti e tutti i poeti mi conoscono. Perciò potrei dirlo. Potrei dire: sono la madre e qui soffia da secolo uno zefiro del cazzo, ma è meglio che non lo dica. Potrei dire, per esempio: ho conosciuto Arturito Belano quando aveva diciassette anni ed era un ragazzino timido che scriveva opere di teatro e poesie e non sapeva bere, ma sarebbe in qualche modo una divagazione e mi hanno insegnato (con la frusta me l’hanno insegnato, con una bacchetta di ferro) che bisogna evitare le ridondanze e restare in tema.
Quello che invece posso dire è il mio nome.
Mi chiamo Auxilio Lacouture e sono uruguaiana, di Montevideo, ma quando mi prende male, quando mi dà alla testa la nostalgia, dico che sono charrùa, che poi è lo stesso, e confonde i messicani, e quindi anche i latinoamericani.

Bellissimo romanzo, 140 pagine scritte con leggerezza che scorrono veloci, piene di ironia e di malinconico pessimismo:

L'amore è così, amici miei, ve lo dico io che sono stata la madre di tutti i poeti. L'amore è così, il gergo è così, le strade sono così, i sonetti sono così, il cielo delle cinque del mattino è così, l'amicizia invece non è così. Nell'amicizia non si è mai soli.

Roberto Bolaño è stato poeta, romanziere, saggista cileno, ha vissuto da esule prima in Messico, poi in Spagna dove è morto nel 2003, a soli 50 anni. 

giovedì 12 maggio 2016

Bruce Chatwin - UTZ - La Biblioteca di Repubblica 2002 - € 4,90 + prezzo del quotidiano


Questo UTZ (1988) è l'ultimo romanzo di quell'incredibile personaggio che è stato Bruce Chatwin (1940-1989), scrittore e viaggiatore, autore di un'opera di culto come "In Paragonia" (1977), morto di Aids a soli 48 anni.

La storia di Kaspar Utz, ricco praghese di origine tedesca, con una passione smodata per le ceramiche di Meissen, di cui è autorevole esperto e collezionista, si sviluppa a ritroso, ricostruita attraverso i racconti di chi lo aveva conosciuto, e del narratore che lo aveva incontrato anni prima.

L'incipit:

   Il 7 marzo 1974, un'ora prima dell'alba, nel suo appartamento di via Široká 5 che dava sul vecchio cimitero ebraico di Praga, Kaspar Utz morì di un secondo colpo da tempo previsto.
   Tre giorni dopo, alle sette e quarantacinque, il suo amico Václav Orlìk si trovava davanti alla chiesa di San Sigismondo, in attesa dell'arrivo del carro funebre, e stringeva in mano sette dei dieci garofani che aveva sperato di potersi permettere dal fioraio. Notava con approvazione i primi segni della primavera: in un giardino sull'altro lato della strada le taccole roteavano sopra i tigli con i rametti nel becco e, di tanto in tanto, qualche piccola slavina scivolava giù dal tetto di tecole di un caseggiato.
   Mentre il dottor Orlìk aspettava, gli si avvicinò un uomo con una cortina di capelli grigi che gli ricadevano sul colletto dell'impermeabile.
   «Lei suona l'organo?» chiese l'uomo con voce catarrosa.
   «No, purtroppo» rispose Orlìk.
   «Nemmeno io» disse l'altro, e si defilò strascicando i piedi per una via traversa.
   
Come tutti i grandi narratori, Chatwin riesce a coinvolgere il lettore in una storia che, partendo da pochi elementi, lievita inglobando nella fabula, sviluppata col ricorso all'analessi, momenti storici europei quali l'occupazione nazista della Cecoslovacchia, la guerra, il regime comunista di Gottwald: come dire, tutte le possibili sfumature di stupidità politico-burocratica, messe in campo contro un piccolo uomo solo, costretto, suo malgrado, a concentrare tutte le sue risorse, mentali, fisiche ed economiche alla difesa delle amate ceramiche. 



L'autore, prima di affermarsi come scrittore, ha lavorato con incarichi di responsabilità per l'importante casa d'aste londinese Sotheby's; questa competenza nel settore gli consente di raccontare l'avventura della nascita della porcellana bianca ad opera di un alchimista tedesco del '700, Johann Börtger.

Chatwin è stato definito - credo giustamente - discepolo di Flaubert per il rigore con cui costruisce le sue storie e la grande capacità descrittiva. Ecco un altro motivo che basterebbe da solo a renderne desiderabile la lettura, e se il piacere della lettura di un romanzo fosse inversamente proporziato al numero delle pagine che lo compongono, questo Utz, che di pagine ne conta solo 127, sarebbe al vertice di questa impropabile classifica.