giovedì 31 dicembre 2015

Andrea Camilleri - TRILOGIA DELLE METAMORFOSI - Sellerio Editore 2007-2008-2009 - € 10,00, € 11,00, € 12,00























La grandezza di un autore consiste soprattutto nel non chiudersi in un modello narrativo, in un solo genere, assunto una volta per tutte. Indiscutibilmente sotto questo aspetto, Andrea Camilleri è un vero gigante. La sua proverbiale capacità di spaziare in tutti i generi letterari, è comprovata dalla importante bibliografia che ne fa uno scrittore tra i più prolifici del nostro paese, con tirature consuete solo ai "maestri di best-seller" d'oltre oceano.

Questa trilogia si discosta totalmente dai precedenti lavori dell’autore, per il suo carattere fantastico, che nasce da certi paesaggi dell’infanzia descritti con toni lirici e fiabeschi. Così Camilleri crea, partendo dal rapporto uomo-natura, le metamorfosi che segnano questi tre romanzi, quella della donna-sirena, della donna-albero e della donna-capra.
Questa l'esatta sintesi dei tre romanzi di Camilleri: la si trova nella premessa della tesi di laurea di Dalila Proietto (A.A. 2009-2010), relatore Prof Remo Cacciatori, che consiglio vivamente di leggere. (qui sotto il link)

http://www.vigata.org/tesi/trilogia.pdf

Questo l'incipit di Maruzza Musumeci:

Gnazio Manisco ricomparse a Vigàta il tri di ghinnaro del milli e ottocento e novantacinco, che era oramà quarantacinchino, e in paìso nisciuno sapiva cchiù chi era e lui stisso non acconosceva cchiù a nisciuno doppo cinticinco anni passati nella Merica.

Questo di Il casellante:

Il treno a scartamento ridotto che si partiva dalla stazione nica nica di Vigàta-Cannelle diretto a Castellovitrano, ultimo paìsi sirvuto dalla linea, ci mittiva chiossà di 'na mezza jornata per arrivari a distinazioni, dato che le firmate previste erano quasi 'na vintina, a non considerari quelle impreviste dovute a traversamenti di mannare di capre e pecori opuro a qualiche vacca che pinsava bono d'addrummiscirisi 'n mezzo alle rotaie.

Questo di Il sonaglio:

Alla prima duminica del misi di fivraro del primo anno che il seculo novo era ancora un agnidruzzo che non arrinisciva a tinirisi supra alle so' bamme, capitò che le dù campani della chiesa matrici si misiro a sonari alla dispirata che manco erano le quattro del matino.

Personalmente trovo delizioso il linguaggio inventato da Camilleri, definito pastiche linguistico, la cui base è indiscutibilmente l'italiano con innesti di siciliano, un'operazione di tipo lessicale, non di sintassi, secondo gli esperti che hanno trattato l'argomento: qui sotto si può approfondire:


Da qualunque parte la si esamini questa resta, comunque, una lettura divertente, arguta, scorrevole, densa di informazioni che riguardano la realtà, la storia, le superstizioni, leggende e miti di una terra meravigliosa: la Sicilia.

lunedì 21 dicembre 2015

John Grisham - IL BROKER - Mondadori 2006 - € 5,00



Questo Grisham l'ho ricevuto molto tempo fa, insieme ad un mucchio di altri libri, da quel mio fratello che periodicamente deve disfarsene per problemi di spazio. Non lo avrei mai comprato, non è il genere che prediligo, inoltre ho una forma di idiosincrasia per i bestseller al punto che, quando mi trovo ad acquistarne di un  qualche autore che amo tipo Eco, lo faccio decantare nella libreria anche un anno prima di leggerlo. Sintomo maniacale di lieve entità, che può comportare però, come è accaduto più volte, di dimenticare di aver comprato quel tal libro. 
Per tornare a Grisham, ho deciso di leggerlo solo dopo aver scoperto che, come Almost blue di Lucarelli, anche Il Broker è ambientato a Bologna; naturale quindi la curiosità di vedere  come veniva rappresentata, da questo avvocato americano che è stato anche deputato democratico dal 1983 al 1990, una città italiana così particolare.
Bologna è una città che conosco superficialmente, essendoci stato poche volte, prevalentemente di passaggio, o per aver girato solo nel suo centro storico. La sorpresa di trovare in questo legal-thriller una descrizione così particolareggiata della città, è stata grande. Tanto che da questo libro ho appreso che:

Da otto secoli il santuario dedicato a San Luca (*) veglia sulla città dal Colle della Guardia, avamposto appenninico alto oltre trecento metri. Per arrivarci senza bagnarsi o scottarsi i bolognesi decisero di costruire ciò che sapevano fare meglio: i portici. A partire dal 1674, e andando avanti senza interruzioni per sessantacinque anni, realizzarono una serie di archi: 666 su un percorso che con i suoi 3,6 chilometri è il portico più lungo del mondo. (.......) Per finanziare quel gandioso progetto Bologna impiegò la sua notevole ricchezza. E, in una rara dimostrazione di coesione tra le fazioni in lotta, ogni arco del porticato fu realizzato grazie alle donazioni provenienti da mercanti, artigiani, studenti, congregazioni religiose e famiglie nobili. Per lasciare una traccia della loro partecipazione, e quindi per assicurarsi l'immortalità, ciascuno ebbe l'autorizzazione di affiggere una targha di fronte al proprio arco.   

(*) In realtà, dedicato alla Madonna di San Luca.




So benissimo che quando si ambienta un romanzo in una data città, è necessario documentarsi, conoscere il nome delle strade, dei posti più importanti per rendere realistica la narrazione, ed oggi con internet è decisamente più facile farlo, che non quando Emilio Salgari - uno degli autori più prolifici italiani - passava giornate intere alla Biblioteca Civica Centrale di Torino consultando mappe e racconti di viaggi esotici, alla ricerca di ambientazioni e spunti per i suoi racconti. Ciò non di meno, va dato atto al bravo Grisham di aver raccontato molto bene Bologna, tanto da risvegliare in me il desiderio di tornarci per visitarla bene, come merita.


Del romanzo non racconto niente, perchè di un thriller non si deve dir niente, e poi detesto quelli che per radio o televisione non riescono a parlare di un libro o di un film senza raccontarlo. Mi limito a dire che è' avvincente, come dev'esserlo un thriller, ha un ritmo incalzante, è scritto molto bene e non ci si annoia a leggerlo.

domenica 13 dicembre 2015

Carlo Lucarelli - ALMOST BLUE - Einaudi Stile Libero 1997 - £ 13.000



Da ragazzo ero un lettore compulsivo, leggevo di tutto, poi ho iniziato a lavorare al magazzino della Mondadori di Roma e qui, ogni settimana, regalavano ai dipendenti una copia di tutte le pubblicazioni in edicola, e allora vagonate di libri gialli, spionaggio, fantascenza.... una vera indigestione. Da allora ho smesso si leggere narrativa di genere. 
Questo Almost blue  di Carlo Lucarelli mi è stato consigliato, e donato, da persona che stimo come lettore, daltronde apprezzando Lucarelli come conduttore televiso di mistery e noir non potevo dubitare che il romanzo fosse interessante, anche grazie a quel titolo che rimanda al noto brano di Elvis Costello che Chet Baker ha portato a un successo planetario.

Ho quindi iniziato a leggere il romanzo nella migliore disposizione di spirito. L'attacco è esplosivo come..., come l'inizio del fim Chi ha incastrato Roger Rabit, lo ricordate?:

   Il primo carabiniere che entrò nella stanza scivolò sul sangue e cadde su un ginocchio. Il secondo si arrestò sulla soglia come sul bordo di una buca, agitando le braccia aperte, per lo slancio.
   - Madonna Santa! - urlò, serrando le guance tra le mani, poi si voltò e corse nel pianerottolo e giù per le scale e oltre la porta e fuori, nel cortile del palazzo, dove si aggrappò al cofano della Punto bianca e nera e si piegò in avanti, spezzato da un conato violento.
   In ginocchio sul pavimento, al centro della stanza, la pelle dei guanti incollata al pavimento appiccicoso, il brigadiere Carrone si guardò attorno e gli sfuggì un singhiozzo roco, quasi un rutto. Provò ad alzarsi, ma scivolò sui tacchi, cadendo indietro sul sedere e poi su un fianco con uno schiocco umido e vischioso. Cercò di appoggiare la mano ma il braccio gli scappò di lato, lasciando una strisciata più chiara sulle mattonelle rosse. Finì con la schiena a terra, senza riuscire a sollevarsi, come in un incubo. (.....)

E' la scena molto realistica di un delitto, descritta con un grande impatto visivo come se anzichè le parole scritte venisse usata una telecamera. Tutto il romanzo è costruito in questo modo, un poliziesco ambientato in una Bologna dei nostri giorni, con un'ispettrice di polizia impegnata nella caccia ad un serial killer, ma che  arrossisce quando il "capo" la guarda e non riesce a nascondere i fastidi che le procurano le mestruazioni.
Tutto funzionerebbe se il bravo autore non infrangesse quella regola che Umberto Eco in Sei passeggiate nei boschi narrativi (Bompiani, 1994), nel capitolo I boschi impossibili definisce in modo lapidario: regola fondamentale per affrontare un testo narrativo è che il lettore accetti, tacitamente, un patto finzionale con l'autore, quello che Coleridge chiama "la sospensione dell'incredulità". 
Cosa accade in Almost blue che - secondo me - interrompe il patto finzionale con l'autore? Semplice: in un romanzo poliziesco di tipo realistico, un serial killer  non può reincarnarsi di volta in volta nella propria vittima, assumendone oltre che l'aspetto anche le impronte digitali. La reincarnazione funziona nella mitologia classica, è normale se stai leggendo Ovidio, non Lucarelli.

Bravo, anzi bravissimo l'autore nel costruire le scene, i personaggi e le situazioni, ottima la scelta di raccontare la storia alternando le voci narranti per dare un ritmo incalzante alla narrazione, ma non può, anzi non deve barare: la reincarnazione, la metempsicosi, non è consentita nel poliziesco, fa parte di un'altra categoria narrativa e non è necessario conoscere le Venti regole per scrivere un romanzo poliziesco (1928) di S.S. Van Dine per saperlo.

Qui sotto il link per ascoltare Chet Baker che suona Almost blue, buon ascolto.

https://www.youtube.com/watch?v=z4PKzz81m5c





domenica 29 novembre 2015

Joseph Roth - LA CRIPTA DEI CAPPUCCINI - La Biblioteca di Repubblica 2002 - € 4,90 + prezzo del quotidiano


Louis-Ferdinand Céline - VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE - La Biblioteca di Repubblica 2002 - € 4,90 + prezzo del quotidiano



Non ho difficoltà ad ammetterlo: nei confronti di Luis-Ferdinand Céline, pseudonimo di  Louis Ferdinand Auguste Destouches (1894-1961), medico, scrittore e saggista, avevo un forte pregiudizio politico, un rifiuto, quasi una ripulsa per l'uomo e le sue opere, a causa dei sui scritti antiebraici e filo-nazisti. Certo, pre-giudizio vero, cioé per cose lette su di lui, senza aver letto niente direttamente da lui scritto. 
Poi il caso ha voluto che incrociassi questo Viaggio al termine della notte (1932), insieme ad altri due romanzi, nel reparto Libri abbandonati alla COOP di Genzano di Roma, e questa fortunata coincidenza mi ha consetito di colmare una lacuna che, altrimenti, sarebbe rimasta tale. 


La lettura di questo romanzo è stata una vera rivelazione, mi aspettavo l'esaltazione del male assoluto, ho trovato invece una sorta di romanzo picaresco, che utilizza una scrittura originale, sagomata sul parlato, dove l'ironia e il sarcasmo più dissacrante, non risparmia alcuna istituzione, a cominciare dall'esercito, che lo ha costretto a partecipare a quello stupido bagno di sangue che è stata la prima guerra mondiale.


  


Marcia in modo strano la pietà. Se qualcuno avesse detto al comandante Pinçon che lui altro non era che uno sporco assassino vigliacco, gli avrebbe fatto un piacere enorme, quello di farci fucilare, seduta stante, dal capitano della gendarmeria, che non lo lasciava mai d'un passo e che, lui, pensava esattamente a quello. Era mica con i tedeschi che ce l'aveva, il capitano della gendarmeria. (.....) Lo avrei proprio dato agli squali da papparsi, il comandante Pinçon, e il suo gendarme con lui, per insegnargli a vivere; e poi anche il mio cavallo in aggiunta per non farlo soffrire più, perché non aveva più groppa 'sto povero disgraziato, dal male che stava, solo due placche di carne che gli restavano al loro posto, sotto la sella, larghe come due mani come le mie e trasudanti, al vivo, di grandi rivoli di pus che gli colavano dai bordi della coperta fino ai garretti. Bisognava comunque trottarci sopra, un, due... Si dannava per trottare. Ma i cavalli sono ancora più pazienti degli uomini. Ondeggiava, trottando. Si poteva solo lasciarlo all'aperto, Nei fienili, per l'odore che gli usciva dalle ferite, puzzava così tanto che si restava soffocati. Salirgli in groppa, gli faceva così male che si piegava, come per gentilezza, e allora il ventre gli arrivava ai ginocchi. 


Con occhio impietoso scandaglia il mondo circostante, e l'impressione che ne ricava non lascia spazio alla speranza, che si tratti della periferia di Parigi, dell'Africa coloniale o del Nuovo Mondo.

 

In questa colonia di Bambola-Bragamance, al di sopra di tutti, trionfava il Governatore. Militari e funzionari osavano appena respirare quando lui si degnava di abbassare lo sguardo sulle loro persone. Molto al sotto ancora di quei notabili i commercianti installati sembravano rubare e prosperare più facilmente che in Europa. Nemmeno una noce di cocco, nemmeno una nocciolina americana, su tutto il territorio, che scappasse alle loro rapine. I funzionari capivano, via via che diventavano più stanchi e malati, che se ne fottevano di loro facendoli venire lì, per dargli insomma solo galloni e formulari da riempire e quasi niente grana insieme. L'elemento militare ancora più inebetito degli altri due s'abboffava di gloria e per farla passare ci metteva molto chinino e chilometri di Regolamenti.
Tutti diventavano, si capisce bene, a forza d'aspettare che il termometro si abbassi, sempre più incarogniti. E le ostilità personali e collettive duravano interminabili e assurde tra militare e l'amministrazione, e poi ancora tra quest'ultima e i commercianti, e poi ancora tra quelli lì alleati temporaneamente contro quelli là, e poi tutti contro il negro e alla fine tra i negri tra di loro. Così, le rare energie che scampavano alla malaria, al sete, al sole, si consumavano in odi così mordaci, così insistenti, che molti coloni finivano per crepare sul posto, avvelani di se stessi, come degli scorpioni.

 
Dopo esser fuggito dalla colonia francese in Africa, fatto prigioniero su una nave pirata, sbarca a New York e :
 
Come sopresa, non era male. Attraverso la bruma, era così stupefacente quello che si scopriva all'improvviso che noi all'inizio rifiutammo di crederci e poi comunque quando fummo in pieno davanti le cose, ognuno dei galeotti che eravamo s'è messo proprio a ridere, vedendo quello, dritto davanti a noi... Figuratevi che era in piedi la loro città, assolutamente dritta. New York è una città in piedi. Ne avevamo già viste noi di città, sicuro, e anche belle, e di porti e di quelli anche famosi. Ma da noi, si sa, sono sdraiate le città, in riva al mare o sui fiumi, si allungano sul paesaggio, attendono il viaggiatore, mentre quella, l'americana, lei non sveniva, no, lei si teneva bella rigida, là, per niente stravaccata, rigida da far paura. (.....)

Attesi un'ora buona nello stesso posto e poi da quella penombra, da quella folla per strada, discontinua, triste, sorse verso il mezzosì, innegabile, un'improvvisa valanga di donne assolutamente belle.
Che scoperta" Che America! Che godimento! Ricordo di Lola! Il suo esempio non mi aveva ingannato! Era vero! (....)
Che graziose scioltesse però! Che delicatezze incredibili! Che invenzioni armoniose! Sfumature pericolose! Vittoria di tutti i pericoli! Di tutte le possibili promesse del volto e del corpo fra tante bionde! Quelle brune! E quei Tiziano! E quando non ce n'erano più ne venivano ancora! E' forse, pensai io, la Grecia che rinasce? Arrivo al momento giusto!

Ma non era la Grecia classica, era l'America del fordismo e avrà modo di conoscere la catena di montaggio a Detroit.
E poi il ritorno in Francia, dove finisce gli studi interrotti e si laurea, dedicandosi poi all'attività di medico condotto nella periferia povera di Parigi.
Un romanzo intenso e, per molti aspetti, doloroso, dove il quadro di ingiustizie che ne emerge, rende evanescente la distinzione tra il bene e il male, e i personaggi vivono le loro storie in bilico tra la farsa e la tragedia. 

La scrittura assolutamente originale, sincopata, piena di termini gergali e turpiloquio, non sorprende che abbia conquistato l'ammirazione di Charles Bukowski, che a proposito della scrittura di Céline ebbe a dire si è tolto fuori le viscere e ci ha riso sopra. un uomo molto coraggioso.


Charles Bukowski


                                                                  

mercoledì 21 ottobre 2015

Graham Greene - IL POTERE E LA GLORIA - Mondadori 1945 -' £ 320





 Questa Medusa è entrata in casa a Natale del 1951. L'ho letta forse un paio d'anni dopo e non mi ha appassionato: i problemi esistenziali di un prete in fuga erano molto lontani dagli interessi dell'adolescente che ero. 
 L'ho ripreso e letto in questi giorni; questa volta i problemi esistenziali del prete in fuga da un potere che lo vuole morto, hanno acceso nel vecchio che nel frattempo sono diventato, un interesse per il fatto storico all'interno del quale è ambientato il romanzo,  e che fino ad oggi, avevo completamente ignorato: le due guerre di religione in Messico, tra cattolici e rivoluzionari, la Guerra Cristera negli anni 1926-1929 e l'altra, la secunda, dal 1934 al 1938.
 Graham Greene, maestro indiscusso, riesce a creare nei suoi romanzi, un particolare clima di tensione, sia che scriva di spionaggio, di cui era grande esperto essendo egli stesso un agente segreto di sua maesta britannica, sia che scriva di temi religiosi, conoscendo altrattanto bene la materia, avendo vissuto una profonda crisi religiosa che lo portò nel 1926 ad abbandonare il protestantesimo e convertirsi al cattolicesimo.
 In Il potere e la gloria il suo essere cattolico è molto marcato, si sente la sua dipendenza ideologica, senza però che la lettura ne risulti disturbata, c'è anzi una tensione, una suspense che invoglia il lettore alla conclusione del romanzo, anche se nel finale troppo edificante, sembra di leggere non un romanzo di un grande scrittore, ma un opuscolo  destinato al catechismo dei fanciulli. 
 Nei link qui sotto è possibile approfondire i temi della Guerra Cristera, le encicliche del Vaticano a sostegno dei cattolici perseguitati e i cristeros in armi.I drammatici fatti del Messico ispirarono due film, il primo di Jonh Ford del 1947 e l'altro recentissimo del 2011   

 https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_Cristera

https://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19261118_iniquis-afflictisque.html

 http://it.cathopedia.org/wiki/Martiri_del_Messico






Capi cristeros con la bandiera messicana su cui al centro campeggia l'effigie della Madonna di Guadalupe
Film del 2011 diretto da Dean Wright
















Ispirato da "Il potere e la gloria" film di John Ford del 1947

mercoledì 14 ottobre 2015

SE AMI UN LIBRO ABBANDONALO - Alla COOP di Genzano di Roma




L'altro giorno nello scaffale dei libri abbandonati della COOP di Genzano, un anonimo nonché generoso cliente, ha abbandonato una decina di volumi della bella collana di romanzi del novecento La Biblioteca di Repubblica. Molti titoli li avevo già acquistati a suo tempo, ma questi tre mi erano sfuggiti così ho pensato bene di prenderli e portarmeli a casa. 
Sfogliandoli, ho notato che nessun libro era stato letto: tutti ancora intonsi, vergini, ben conservati. La prima riflessione è che gli italiani oltre a leggere poco, non leggono neanche quello che acquistano, e allora le statistiche, che si basano sugli acquisti, sono fin troppo ottimistiche. 
Devo ricordarmi di mettere da parte dei libri, doppioni o cose lette e che è inutile conservare, da portare alla COOP perché non si può solo prendere ma bisogna anche dare.














lunedì 21 settembre 2015

William Faulkner - MENTRE MORIVO - Mondadori 1958 - £ 1.200


  Questo fondamentale testo di William Faulkner (1897-1962) è stato scritto in meno di un mese, dal 15 ottobre all'11 novembre del 1929, quando a 32 anni l'autore lavorava come fuochista alla centrale elettrica dell'Università del Mississipi. Secondo il racconto che ne fa Fernanda Pivano nel saggio Mostri degli anni venti (Il Formichiere, 1976 pag.310): «vi si dedicava nelle ore di minor lavoro, tra la mezzanotte e le quattro del mattino, usando come tavolino una carriola capovolta».

  Mentre morivo, pubblicato nel 1930, come il romanzo precedente  L'urlo e il furore del 1929, non ebbe alcun successo alla sua uscita: entrambi risultano infatti una lettura molto impegnativa.  La storia prende forma attraverso monologhi, come in un contrappunto polifonico, dove le voci dei  personaggi, alternandosi, sostituiscono la neutrale voce narrante. Assistiamo così ai fatti, drammatici o tragicomici, nel momento stesso che questi avvengono; e attraverso il flusso di coscienza, ricostruiamo i difficili rapporti che legano tra loro i componenti la famiglia Bundren, gli odii e i segreti inconfessabili, ma non tutto emerge ad una prima lettura, e una seconda è quasi indispensabile.

  Il romanzo è diviso in 59 capitoli-monologhi, le voci dialoganti sono 7 della famiglia Bundren e 8 di persone che sono con loro in contatto.

  Un unico struggente monologo è riservato  alla protagonista,  mamma Addie, che sa tutto il dolore della vita e dell'inganno delle parole:

Mi ricordo che mio padre diceva sempre che lo scopo della vita era quello di prepararsi a restare morti per molto tempo. (.....)

Fu allora che imparai che le parole non servono a nulla; che le parole non corrispondon mai neppure a quello che cercano di dire. Quando nacque (Cash) ho capito che la parola maternità era stata inventata da qualcuno che aveva bisogno di una parola per questo perché quelli che avevano dei bambini non si preoccupavano se c'è una parola o se non c'è. Ho capito che la parola paura era stata inventata da qualcuno che non aveva mai avuto paura: orgoglio, da chi non aveva mai avuto orgoglio. (.....)

Non sapeva di essere morto, allora. Certe volte, stesa accanto a lui al buio, ascoltavo la campagna che ora faceva parte del mio sangue e della mia carne e pensavo: «Anse. Perché Anse? Perché Anse?». Pensavo al suo nome finché non arrivavo a veder la parola prender forma, quella di un recipiente. E poi lo vedevo liquefarsi e colarci dentro come della melassa fredda che colasse dalle tenebre dentro il recipiente, finché l'orciolo fosse pieno e immobile: una forma significativa, profondamente inanimata, come il vuoto del vano di una porta; e poi mi accorgevo di essermi dimenticata del nome dell'orciolo.

Come L'urlo e il furore anche questo romanzo rimane impresso a lungo nella mente, per il quadro di umanità umile e dolorante che rappresenta, per il tono della narrazione accesa e poetica e per la sua forma innovativa.


giovedì 3 settembre 2015

John Steinbeck - LA VALLE DELL'EDEN n.49-50-51 della collana I Libri del Pavone - Mondadori 1955 - £ 250 x 3



Nel 1952, nel pieno della maturità, John Steinbeck tornò al successo con il romanzo-epopea La valle dell'Eden, ancora una volta un richiamo biblico fin dal titolo, ancora una volta il bene e il male in lotta nella coscienza dei suoi protagonisti.

Nel XXXIV capitolo,  Steinbeck chiarisce con una ditidezza abbagliante la sua visione della vita:
Gli esseri umani sono presi - nella loro vita, nei loro pensieri, nelle loro bramosie e ambizioni, nella loro avidità e crudeltà e anche nella loro gentilezza e generosità - dentro una rete di bene e di male. Credo che questa sia la sola storia che abbiamo e che si svolge su tutti i piani della sensibilità e dell'intelligenza. La virtù e il vizio furono la trama e l'ordito della nostra prima consapevolezza, e saranno il tessuto dell'ultima e questo a onta di qualsiasi cambiamento che noi possiamo imporre ai campi, ai fiumi, e ai monti, all'economia e ai costumi. Non c'è altra storia che questa. A un uomo, dopo che si è spazzato via di dosso la polvere e i detriti della sua vita, rimaranno solo le dure, nitide domande: Era bene o era male? Ho fatto bene o male?

La storia dei Trusk, dal Connecticut e degli Hamilton, dall'Irlanda, si incrociano nella California settentrionale, nella valle del Salinas, che, come  canalone lungo e stretto tra due file di monti, e il fiume Salinas si snoda e si contorce lungo la valle fino a sfociare nella baia di Monterey. Samuel Hamilton, personaggio centrale della storia, patriarca di una famiglia che lo venera,  padre di quattro maschi e tre femmine, tra le quali Olive, madre dell'autore, che sposerà John Ernst Steinbeck.

La voce narrante in un paio di occasioni si identifica apertamente con l'autore e, in un'altra, racconta di se in terza persona, come un qualunque personaggio della storia.
 


Nel 1955 Elia Kazan porterà sullo schermo non tutta la storia, ma solo la parte finale del romanzo quella dei due fratelli Trask: Cal, interpretato da uno strepitoso James Dean per la prima volta sullo schermo, preferito a Paul Newman.

Il film fu un successo mondiale, vinse molti premi, lanciò James Dean come icona giovanile, ma credo non fece bene al romanzo; come spesso accade ai film tratti da romanzi di successo, per la facilità di fruizione del film rispetto al romanzo, in questo caso lungo romanzo, dissuase molti potenziali lettori che, visto il film e rinunciando a leggerlo non conobbero la storia intera, l'antefatto che è fondamentale per la comprensione dei personaggi.



Leggendo accade a volte di incontrare termini che non ci suonano bene, parole  che stonano, fuori posto, soprattutto nei libri tradotti. Per esempio, per me rimane un mistero perché De Angelis tradusse the green acres  (verdi acri)  in iugeri verdi, e per tutto il romanzo usò solo questa antica unità di misura dei Romani, lo jugerum. Mentre l'acro è la corretta unità di misura negli Stati Uniti per quanto riguarda i terreni, ed pari a 4.046 mq., lo iugero, che indicava l'estenzione di terra che si può arare in un giorno con una coppia di buoi,  è pari ad una superficie di 2.500 mq, quindi neanche come valore coincidenti.  Poi, leggere iugeri anziché acro, da l'impressione di stare in un romanzo russo, nella steppa e non in California.

L'altra cosa, questa veramente insopportabile, in questa traduzione è sentir ripetere decine di volte giorno del Rendimento di Grazie invece che il più semplice e corretto Giorno del Ringraziamento; impensabile lasciare l'originale  Thanksgiving Day, come si farebbe tranquillamente al giorno d'oggi.

Sono passati quasi settanta anni da questa traduzione e, com'è normale, sono venute alla luce tutti gli errori, le sviste, le travisazioni, le semplificazioni, le omissioni, le aggiunte e tutti i difetti comuni alle traduzioni degli anni '50,  che trovano una giustificazione nel nobile tentativo di rendere comprensibile, al lettore italiano di quegli anni, la realtà americana, che forse lo stesso traduttore non conosceva.

Qui di seguito l'intervista ad Anna Tavaglini, che ha curato nel 2014, con Maria Baiocchi, la nuova  traduzione della La valle dell'Eden.

http://www.letteratura.rai.it/articoli/la-valle-delleden-di-steinbeck-secondo-anna-tagliavini/28522/default.aspx


lunedì 24 agosto 2015

Heinrich Böll - E NON DISSE NEMMENO UNA PAROLA - Mondadori 1956 - £ 850



Quando questa vecchia Medusa entrò in casa, nel febbraio 1956, non suscitò in me alcuna curiosità preso com'ero, in quel periodo, da una passione esclusiva per gli scrittori americani, e in particolare per le  invenzioni narrative della trilogia USA di Dos Passos.

Di Heinrich Böll ho letto solo recentemente lo splendido romanzo L'onore perduto di Katharina Blum del 1974, (vedi):

http://giorgio-illettoreimpenitente.blogspot.it/2013/10/heinrich-boll-lonore-perduto-di.html

mentre questo, E non disse nemmeno una parola, è del lontano 1953, e, come ci ricordano le macerie che incontriamo insieme  ai due protagonisti nelle loro lunghe peregrinazioni, la guerra è finita da poco e le rovine materiali della città sono il naturale scenario di quelle altrettanto dolorose dei sopravvissuti.

Il romanzo ha struttura lineare, narrato in prima persona, alternativamente, da Fred e Käte Bogner,  coniugi in crisi che vivono in miseria, separati fisicamente e moralmente, e attorniati da una umanità preoccupata di ripristinare quel benessere materiale che la guerra ha spazzato via. 

Spesso, leggendo, si ha l'impressione che l'essere cresciuto in ambiente cattolico abbia in qualche modo condizionato l'autore, che racconta un asfisiante ambiente di cattolici bigotti, con un eccesso  di vescovi, preti, sacrestie, confessionali, e  processioni che sembrano scene del profondo sud d'Italia.

   Rivestito della porpora dei martire, il vescovo incedeva, solo e isolato, tra il gruppo del Santissimo e la società corale. Le facce accaldate dei cantori avevano un aspetto smarrito, quasi stolido, come se ascoltassero mentalmente l'urlo dolce e melodioso che avevano appena interrotto.
   Il vescovo era alto e slanciato e i suoi folti capelli bianchi uscivano a sboffi di sotto il piccollo zucchetto paonazzo. Camminava dritto, a mani giunte, ma io mi accorsi che non prgava, benché avesse le mani giunte e lo sguardo fisso in avanti. La croce d'oro, sul suo petto, dondolava leggermente di qua e di là, al ritmo dei passi. Il vescovo aveva un incedere regale: le sue gambe si alternavano in un movimento largo e misurato, e a ogni passo alzava un tantito i piedi, chiusi in pantofole di marocchino rosso, sicché pareva una variazione blanda del passo da parata Era stato ufficiale. La sua faccia d'asceta era fotogenica. Si adattava benissimo per le copertine delle riviste religiose.
   A breve distanza seguivano i canonici. Due soli avevano la fortuna di possedere un viso ascetico; tutti gli altri erano grassi, o pallidissimi o rubicondi, e le loro fisionomie avevano un'aria di indignazione di cui non si riusciva a capire la causa.
   Quattro uomini in smoking reggevano il baldacchino barocco guarnito di preziosi ricami, e sotto di esso avanzava il vescovo suffraganeo, con l'ostensorio. L'ostia, benché fosse assai grande, non riuscivo a vederla bene. M'inginocchiai, feci il segno della croce, ed ebbi, per un istante, la sensazione di essere un ipocrita. Ma poi pensai che Dio era innocente e che non è ipocrisia inginocchiarsi dinanzi a lui. Quasi tutti, lungo i due marciapiedi, s'inginocchiavano. Solo un giovane col basco e con una giacca sportiva verde rimase in piedi senza togliersi il beretto dal capo né le mani dalle tasche. Mi fece piacere che almeno non fumasse. Un uomo dai capelli bianchi gli si accostò per didietro, gli bisbigliò qualcosa, e l'altro, facendo spallucce, si tolse il berretto e se lo tenne sul ventre, ma senza inginocchiarsi.
Beh, intolleranza per intolleranza, almeno quel giovane non lo hanno picchiato, come sarebbe accaduto qualche anno prima se non avesse mostrato il rispetto dovuto a una sfilata di svastiche!  Un'ultima cosa, ma che il vescovo fosse  suffraganeo o metropolita, perché precisarlo, visto che ai fini della narrazione è assolutamente irrilevante?  Mah!

Comunque, nel complesso, il romanzo mi è piaciuto.   Heinrich Böll, ricordiamo che ha meritato il premio Nobel nel 1972, ha una capacità descrittiva notevole, i protagonisti si muovono  nella città ancora devastata, osservando ogni piccola cosa, come se avessero una cinepresa che ci trasmette l'immagine di una Germania anno zero.

Il titolo è ripreso dal canto gospel He Never Said a Mumbling Word che Käte ascolta in chiesa, e chiaramente fa riferimento a Cristo che fu crocifisso e non disse nemmeno una parola. Qui sotto il link per poterlo ascoltare.

https://www.youtube.com/watch?v=7SE-In7Wf80