lunedì 30 giugno 2014

Anna Maria Ortese - IL MARE NON BAGNA NAPOLI - Giulio Einaudi 1954 (quarta edizione) - £ 800




Quando questo modesto, discreto, quasi anonimo libricino in brossura, con le pagine ancora da dividere con il tagliacarte, è entrato in casa, giusto sessant’anni or sono, non ha creato particolare impressione nel quindicenne che ero. 

Vorace lettore fin d’allora, credo di aver solo leggiucchiato questo libricino (n.18 della collana I gettoni, voluta e diretta da Elio Vittorini) forse abbandonandolo dopo le prime pagine, perché all’epoca i miei interessi di lettore erano rivolti ai narratori americani, che raccontavano un mondo affascinante e lontano, con ritmi incalzanti e cinematografici.

L'adolescente che ero, in quegli anni successivi alla fine della guerra, non sentiva particolare attrazione per questi narratori italiani, che parlavano della nostra realtà di tutti i giorni, delle nostre miserie quotidiane, con un linguaggio che percepivo come troppo classico, non moderno, inattuale.

Questo atteggiamento verso la letteratura italiana, si estendeva naturalmente al cinema: perché chi aveva vissuto gli orrori della guerra e le ristrettezze e privazioni del dopoguerra, se poteva scegliere: ai capolavori del neorealismo preferiva le commedie, i musical, i polizieschi o gli avventurosi film di cowboy, che Hollywood sfornava copiosamente. 

Ma fortunatamente si cresce....

Lessi veramente Il mare non bagna Napoli, una decina di anni dopo quando, insieme a una maggiore maturità, avevo sviluppato un interesse politico per le cose italiane e per la sua migliore narrativa, scoprendo così una delle più intense opere letterarie mai scritte nella nostra lingua. E in questi giorni sono tornato a leggerlo, dopo la rilettura di Il porto di Toledo,  trovandolo ancora più bello e straziante. E pietoso nel suo appassionato grido di denuncia.

Il mare non bagna Napoli (1953) è la terza raccolta di racconti pubblicati da Anna Maria Ortese (1914-1998), che aveva esordito giovanissima nel 1937, quando aveva appena ventitre anni, su sollecitazione di Bontempelli, con Angelici dolori, poi nel 1950 aveva pubblicato la sua seconda raccolta : L'infanta sepolta.  

Il mare non bagna Napoli comprende cinque racconti, il primo, Un paio di occhiali,  è la drammatica storia di una povera bambina, Eugenia, quasi cecata a cui gli occhiali regalati svelano impietosamente la squallida realtà nella quale vive.

Eugenia, sempre tendendosi gli occhiali con le mani, andò fino al portone, per guardare fuori, nel vicolo della Cupa. Le gambe le tramavano, le girava la testa, e non provava più nessuna gioia. Con le labbra bianche voleva sorridere, ma quel sorriso si mutava in una smorfia ebete. Improvvisamente i balconi cominciarono a diventare tanti, duemila, centomila; i carretti con la verdura le precipitavano addosso; le voci che riempivano l'aria, i richiami, le frustate, le colpivano la testa come se fosse malata; si volse barcollando verso il cortile, e quella terribile impressione aumentò. Come un imbuto viscido il cortile, con la punta verso il cielo e i muri lebbrosi fitti di miserabili balconi; gli archi dei terranei, neri, coi lumi brillanti a cerchio intorno all'Addolorata; il selciato bianco d'acqua saponata, le foglie di cavolo, i pezzi di carta, i rifiuti, e, in mezzo al cortile, quel gruppo di cristiani cenciosi e deformi, coi visi butterati dalla miseria e dalla rassegnazione, che la guardavano amorosamente. Cominciarono a torcersi, a confondersi, a ingigantire. Le venivano tutti addosso, gridando, nei due cerchietti stregati degli occhiali. Fu Mariuccia per prima ad accorgersi che la bambina stava male, e a strapparle in fretta gli occhiali, perché Eugenia si era piegata in due e, lamentandosi, vomitava.

Interno familiare racconta invece la storia patetica di una quarantenne, Anastasia, che con il lavoro del suo negozio mantiene tutta la famiglia che, egoisticamente, le impedisce  di  immaginare per se un futuro diverso.

Una passeggiata a Spaccanapoli è lo spunto per il racconto Oro a Forcella, dove la lucidità dell'analisi, privata delle comode scappatoie consolatorie (basta ca ce sta 'o sole, basta ca 'nce rimasto 'o mare) centra dolorosamente l'obiettivo di svelare a una intera popolazione la tragica realtà nella quale vive. 

(...) Faceva contrasto a questa selvaggia durezza dei vicoli, la soavità dei volti raffiguranti Madonne e Bambini, Vergini e Martiri, che apparivano in quasi tutti i negozi di San Biagio dei Librai, chini su una culla dorata e infiorata e velata di merletti finissimi, di cui non esisteva nella realtà la minima traccia. Non occorreva molto per capire che qui gli affetti erano stati un culto, e proprio per questa ragione erano decaduti in vizio e follia; infine una razza svuotata di ogni logica e raziocinio, s'era aggrappata a questo tumulto informe di sentimenti, e l'uomo era adesso ombra, debolezza, nevrastenia, rassegnata paura e impudente allegria. Una miseria senza più forma, silenziosa come un ragno, disfaceva e rinnovava a modo suo quei miseri tessuti, invischiando sempre più gli strati minimi della plebe, che qui è regima. Straordinario era pensare come, in luogo di diminuire o arrestarsi, la popolazione cresceva, ed estendendosi, sempre più esangue, confondeva terribilmente le idee all'Amministrazione pubblica, mentre gonfiava di strano orgoglio e di più strane speranze il cuore degli ecclesiasti. Qui il mare non bagnava Napoli. (...)

Segue La città involontaria.  Il reportage della discesa agli inferi che l'autrice compie nel gigantesco Palazzo dei Granili. Nato nel 1779 per custodirvi grano e vettovaglie, trasformato in seguito in arsenale di artiglieria, carcere per gli oppositori del regime, lazzaretto, caserma;  alla fine della guerra nel 1945, nonostante l'esteso degrado, divenne rifugio per i senzatetto, conosciuto col nome III e IV Granili. 

(...) Perché il III e IV Granili non è solo ciò che si può chiamare una temporanea sistemazione di senzatetto, ma piuttosto la dimostrazione, in termini clinici e giuridici, della caduta di una razza. Secondo la più discreta delle deduzioni, solo una compagine umana profondamente malata potrebbe tollerare, come Napoli tollera, senza turbarsi, la putrefazione di un suo membro, ché questo, e non altro, è il segno sotto il quale vive e germina l'istituzione dei Granili. Cercare a Napoli una Napoli infima, dopo aver visitato la caserma borbonica, non viene più in mente a nessuno. Qui, i barometri non segnano più nessun grado, le bussole impazziscono. Gli uomini che vi vengono incontro non possono farvi nessun male: larve di una vita in cui esistettero il vento e il sole, di questi beni non serbono quasi ricordo. Strisciano o si arrampicano o vacillano, ecco il loro modo di muoversi. Parlano molto poco, non sono più napoletani, né nessun'altra cosa. Una commissione di sacerdoti e studiosi americani, che oltrepassò arditamente, giorni or sono, la soglia di questa malinconica Casa, tornò presto indietro, con discorsi e sguardi incoerenti. (...)
Credo fermamente, avendo letto altro della Ortese, che questa forte invettiva nei confronti di una città che tollera questa vergogna, nasca dal suo grande amore per tutti gli esseri viventi, specialmente i più indifesi, e dalla sua incontenibile indignazione per le iniquità, e vera intolleranza per l'indifferenza che le accompagna.
 
E, finalmente, siamo arrivati all'ultimo racconto, Il silenzio della ragione, il botto finale che conclude i fuochi artificiali di questo libro, la cui eco, dopo sessantanni, ancora risuona nelle aspre polemiche, mai sopite nell'intelligencija partenopea, impietosamente ritratta con nomi e cognomi, come aveva voluto Elio Vittorini al momento della pubblicazione.

Tutti erano indifferenti, qui, quelli che desideravano salvarsi. Commuoversi, era come adormentarsi sulla neve. Avvertita dal suo istinto più sottile, la borghesia non smetteva di sorridere, e urtata continuamente dalla plebe. dai suoi dolori sanguinosi, dalla sua follia, resisteva pazientemente, come un muro leccato dal mare. Non si poteva prevedere quanto questa resistenza sarebbe durata. Infine, anche la borghesia aveva dei pesi, ed erano l'impossibilità di credere che l'uomo fosse altra cosa dalla natura, e dovesse accettare la natura in tutta la sua estensione: erano l'antica abitudine di rispettare gli ordinamenti della natura, accettare da essa le illuminazioni come l'orrore. Dove nel popolo scoppiava di tanto in tanto la rivolta, e dalle alte mura della prigione uscivano bestemmie e rumore di pianti, qui la ragione taceva in un silenzio assoluto, temendo di rompere con la benché minima osservazione l'equilibrio in cui ancora la borghesia si reggeva, e vedere i suoi giorni sciogliersi al sole, come mai stati. La paura, una paura più forte di qualsiasi sentimento, legava tutti, e impediva di proclamare alcune verità semplici, alcuni diritti dell'uomo e, anzi, di pronunciare nel suo vero significato la parola uomo. Tollerato era l'uomo, in questi paesi, dall'invadente natura, e salvo solo a patto di riconoscersi, come la lava, le onde, parte di essa. Da Portici a Cuma, questa terra era sparsa di vulcani, questa città circondata di vulcani, le isole, esse stesse antichi vulcani; e questa limpida e dolce bellezza di colline e di cielo, solo in apparenza era idillica e soave. Tutto qui sapeva di morte, tutto era profondamente corrotto e morto, e la paura, solo la paura, passeggiava nella folla da Posillipo a Chiaia.

Un racconto che è anche un giudizio politico su un periodo storico, gli anni '50, che videro compromessa la possibilità di uno sviluppo diverso per Napoli, asservita alle scelte del comando americano, che mortificava lo sviluppo della città e favoriva la nascita dell'astro politico dell'epoca, l'armatore Lauro.


Qui di seguito si può approfondire la conoscenza di questa nostra grande autrice che, ancora oggi, non viene letta abbastanza.


https://www.youtube.com/watch?v=RAczJdzZzUg
https://www.youtube.com/watch?v=FYVzVnc4pl8
https://www.youtube.com/watch?v=BkTrYqCsHfM
https://www.youtube.com/watch?v=Wj1MkW9TRfE

https://www.youtube.com/watch?v=oFCQpBYeFMU

https://www.youtube.com/watch?v=7TdhivHOl3E