lunedì 30 settembre 2013

Carlo Castellaneta - NOTTI E NEBBIE - Club Italiano dei Lettori 1978 -



I giornali ieri titolavano: E' morto Carlo Castellaneta (1930-2013) autore simbolo di Milano, dal suo Notti e Nebbie fu tratto nel 1984 uno sceneggiato di Marco Tullio Giordana.

Ecco, nell'incipit del romanzo Notti e nebbie un bell'esempio di narrativa dinamica, detta anche in media res, che fa trovare il lettore nel bel mezzo della vicenda narrata:
Forse cinquanta, cento metri. In fondo al budello di San Carpoforo, all'angolo con via Mercato, il tedesco fa segno che non si passa. Ce ne sono altri, elmetto e fucile a bracciarm, uno a ogni sbocco delle vie laterali. Una retata. Non vedo i camion, però. Un ufficiale attraversa la strada, lancia due colpi di fischietto. Stanno risalendo dal corso Garibaldi, rastrellando casa per casa, l'ortolana è venuta fuori con la spranga in mano per abbassarela saracinesca, sento ordini gridati in tedesco, dal Pontaccio vengono avanti tenendosi per mano una schiera di elmetti, devo mostrare il mio tesserino, domando se c'è stato un attentato, pare di no, è solo un rastrellamento di sorpresa, il cielo comincia a farsi scuro, dovranno sbrigarsi se non vogliono rischiare di lasciarsi sfuggire qualche pesce dalla rete, queste vecchie case , questi cortili di ringhiera nascondono facilmente disertori e ribelli, una donna con la borsa della spesa osa chiedere che succede ma il tedesco non sa rispondere, niente di strano, le spiego, ina semplice operazione di polizia, controllo di documenti, non c'è da aver paura, peggio per chi non è in regola, mi ha fissato e si è allontanata diffidente, i tram erano stati fermati all'altezza di piazza del Carmine e la strada sgombra pareva un campo di battaglia, al centro l'auto dell'ufficiale tedesco messa di traverso, una motocarozzina della gendarmeria sembrava facesse evoluzioni, frenava e ripartiva in grandi semicerchi, stavo per antarmene quando ho sentito il grido all'angolo del Pontaccio, e poi altre urla, non si è capito cosa succedeva finché non si è visto un impermeabile, piccolo di statura, che correva a rompicollo rasente il muro, ha incrociato urtandola la vecchia con la sporta, ho visto delle mele che rotolavano sui binari del 17, ora si allontanano i pochi curiosi, qualcuno se la da a gambe aumentando la confusione, il sidecar è partito all'inseguimento, urla tedesche e poi un colpo d'arma da fuoco.
Questo oscuro viaggio alle radici del male, come è stato definito il romanzo, ci fa piombare nella Milano del 1944, nel periodo più drammatico della nostra storia recente, vista attraverso l'occhio del protagonosta, un funzionario della Polizia politica del governò di Salò, un uomo d'ordine che vive in conflitto tra regole morali e violenza, mentre tra i gerarchi fascisti repubblichini il presagio della fine vicina li porta a defilarsi dall'impegno.

Non c'entra niente, se non per periodo storico e per l'identica scoperta della banalità del male, il racconto (ma anche la riduzione televisiva) mi ha ricordato un film tremendo di Luis Malle del 1974, Lacombe Lucien.

Bello il ritratto delle tre figure femminili, Noemi, Magda e Lucia, che si muovono intorno al protagonista, rivelandone di volta in volta le illusioni e suoi istinti di morte.

Nella riduzione televisiva di Marco Tullio Giordana, sceneggiatura scritta con Castellaneta, il Commissario Spada è interpretato da  un bravissimo Umberto Orsini e una sensuale Laura Morante da vita alla prostituta Magda, Noemi é interpretata da Eleonora Giorgi e Lucia da Senta Berger.

Per chi fosse interessato, qui c'è la prima parte:

http://www.youtube.com/watch?v=GecJn1mjfRs

Qui la seconda parte:

https://www.youtube.com/watch?v=gaEt05jM-XI

Su youtube sono disponibili anche le altre 10 parti in cui è stato diviso l'intero sceneggiato.

Graham Greene - IL NOSTRO AGENTE ALL'AVANA - Oscar Mondadori 1965 - £ 350



Quando ho letto questo romanzo nel '65, di Graham Greene (1904-1991) avevo già letto qualche anno prima il suo capolavoro, Il potere e la gloria, un cupo romanzo forse poco adatto all'adolescente che ero all'epoca, con quel personaggio di prete in fuga, tormentato da rimorsi eterni, in una terra senza dio, alla ricerca di un possibile riscatto. Niente di più lontano dalle atmosfere solari di questa divertente spy story. 

All'epoca, quando Il nostro agente all'Avana fu pubblicato in Italia nella collana Medusa nel 1959, ma anche più tardi nel 1965, quando uscì in questa nuova collana settimanale destinata da Mondadori alle edicole,  nessuno sapeva né poteva immaginare che l'autore di successo di tante opere portate sullo schermo, lo scrittore cattolico come veniva banalmente definito dalla stampa, era stato una spia dell'M16 britannico, e che le numerose storie di spionaggio scritte e portate sullo schermo (oltre 20 film tratti dai suoi romanzi, tra cui Il terzo uomo) erano anche frutto dell'esperienza maturata sul campo. 

Sembra cautelarsi mettendo le mani avanti, Graham Green quando, in apertura de Il nostro agente all'Avana, fa precedere al testo questa nota:


Nel caso di un racconto immaginario come questo, che si svolge in un imprecisato periodo del futuro, sembra superfluo negare qualsiasi rapporto tra i mei personaggi reali. Ciononostante, desidero affermare che nesun personaggio si ispira a individui realmente esistenti, che a Cuba non esiste attualmente alcun ufficiale di polizia come il capitano Segura, e indubbiamente nessun ambasciatore inglese del tipo di quello da me descritto. Nè, io ritengo, il capo del servizio segreto può somigliare in alcun modo al mio mitico personaggio.
E' questo un romanzo saporitissimo: un mite rappresentante di aspirapolvere si trova coinvolto nel Servizio Segreto britannico, una satira divertente del mondo dello spionaggio, in un'Avana che già sente i prodromi della imminente rivoluzione castrista.

Nel 1960 Il nostro agente all'Avana fu portato sullo schermo (con Alec Guines, Maureen O'Hara) da Carol Reed, che dieci anni prima aveva ottenuto un grande successo con un'altra spy story di Graham Green, Il terzo uomo con Orson Welles, Joseph Cotten e Alida Valli.

Qui sotto la decisiva partita a dama con bottigliette di liquore, tra il pericoloso Capitano Segura e il novello spione, Mr. Wirmold.

http://www.youtube.com/watch?v=GlNbsOtBe4E&list=PLY7h5UbEEHtyoo9nvfy5pZs1FIOTS-eWB



L'unica cosa che non funziona in questa edizione Oscar, anzi che non c'entra niente col romanzo, è la copertina illustrata, credo, dal grande  Carlo Jacono, quello dei Gialli Mondadori, Urania e Segretissimo.

mercoledì 18 settembre 2013

William Saroyan - CHE VE NE SEMBRA DELL'AMERICA? - Oscar Mondadori 1965 - £ 350


William Saroyan (1908-1981), nato in California da genitori armeni, è uno degli scrittori più vivi e interessanti della letteratura americana tra le due guerre e il più americano, secondo un giudizio di Elio Vittorini, che ha curato la traduzione di questa raccolta di racconti, e che li fa precedere da una rigorosa prefazione, dove analizza la sua scrittura e la sua poetica.

Scrive, tra l'altro, Vittorini: 

Il carico di vecchio mondo è in lui ogni volta diverso, come profuno, ma comune è la terra, comune è la lingua, sempre la stessa è la storia, e Saroyan finisce per vedere al di là dei limiti geografici della terra americana, vede tutta la terra, e allora l'uomo, questo armeno o questo filippino, o anche questo assiro diventa, pur nel suo profumo speciale che è solo profumo, simbolo di tutta la razza umana.     (.......)
Ma, letterariamente, culturalmente, Saroyan è in linea con la cultura letteraria più nuova del mondo, la cultura, per lui, della lingua in cui scrive, e la sua prosa scorre ricca di tutte le esperienze letterarie moderne. La sua immagine è elementare, ma salta fuori magica, in virtù del ritmo che la sostiene e talora la porta a ripetersi. Velocissimo è il modo che ha di infilare le immagini, di dire le cose, insomma il tempo, il ritmo: ma procede soggetto a obbligati riposi, obbligate cadenze, che continuamente la ricommisurano alla metafora iniziale. Ed essenziale, secco, calcolato per l'effetto di evidenza delle figure è il dialogo, ma battuta per battura suona sempre come se in esso variassero semplicemente, fino magari a raggiungere l'acuto, i motivi della composizione. Evidentemente Saroyan, anche se non ha mai scritto versi, si è aperto la sua strada di scrittore attraverso gli archi di Eliot e di Ezra Pound.






Che personaggi incredibili escono dalle pagine di questi racconti! Nell'America della grande depressione, dove nonostante le grandi difficoltà economiche non viene meno  la sensibilità verso gli altri, il senso di appartenenza, e una profonda umanità che unisce persone diverse. In alcuni racconti, dove protagonisti sono due fratelli adolescenti, vengono in qualche modo anticipati i temi che sono sviluppati ampiamente nel capolavoro di Saroyan, La commedia umana, e questi temi sono la presa di coscienza della realtà in cui viviamo e la perdita dell'innocenza. 

Nel racconto Me stesso sulla terra, con un linguaggio che ricorda Walt Whitman, Saroyan espone il suo manifesto poetico:

Cominciare è sempre difficile, perché non è una cosa semplice scegliere da tutto il linguaggio la parola luminosa che dovrà durare eterna: e ogni volta che l'uomo parla, da solo, non dice che una singola parola. Poesia, storia o racconto è ogni volta, come ogni sogno, una parola di quel linguaggio che ancora non abbiamo tradotto, di quella saggezza notturna che mai è stata espressa, quel vocabolario di eternità che non conosce grammatica e leggi.
Grande è la terra.  E con la terra tutte le cose sono grandi, i grattacieli e fili d'erba.
L'occhio può amplificare se la mente e l'animo lo permettono. E la mente può distruggere il tempo che è fratello di morte e fratello, ricordiamolo, di vita insieme.
Più grande di tutto è l'ego, il germe dell'umanità stessa, dal quale è nato Dio ed è nato l'universo, il cielo, l'inferno, e la terra, la faccia dell'uomo, la mia, la tua, la vostra; gli occhi nostri. Perchè sono io, lo dico con pena, che godo.
Sono un giovane in una vecchia città.
E' mattina e mi trovo in una piccola stanza, curvo su un mucchio di gialla carta da scrivere, l'unica qualità di carta che posso permettermi e che costa dieci centesimi di dollaro ogni sentosettanta fogli.
Tutta questa carta davanti a me è nuda di linguaggio, pulita, perfetta, e io sono un giovane scrittore sul punto di cominciare qualcosa.
E' lunedi....
23 settembre 1933. Oh, gloria di essere vivo! di essere ancora un vivente!
(Ma io sono vecchio, ho camminato per strade e strade, per città e città, per giorni, giorni e notti, Ora sono venuto a me stesso.
Di sopra a me, appeso al muro di questa piccola stanza in disordine, c'è la fotografia di mio padre morto, e io sono spuntato fuori dalla terra con la faccia sua e gli occhi suoi e scrivo in inglese quello che lui avrebbe scritto nella lingua del nostro popolo. Siamo lo stesso uomo, uno vivo e uno morto). 
Fumo con furore una sigaretta, perché il momento è di grande importanza per me, ossia per ognuno. Sono occupato a mettere giù linguaggio, il linguaggio mio, su un foglio pulito di carta, e tremo.
E' di enorme responsabilità lavorare con le parole. Non vorrei dire nulla di falso... Io non voglio essere un cerebrale. Ho una terribile paura di poterlo essere. Non lo sono mai stato in tutta la mia vita, e ora mi sono messo a fare un lavoro che è più importante della vita stessa non voglio pronunciare una sola parola falsa. Da mesi e mesi mi dico: "Tu devi essere umile.Questo sopratutto: essere umile". E sono risoluto a non perdere il mio carattere.
Sono uno che scrive storie, e non ho che una storia da raccontare: l'uomo.

Trovo questo racconto,  che poi è un racconto su di lui e della sua macchina da scrivere, di una forza irresistibile: profondo, ironico, sincero, lirico. Se non fosse troppo lungo l'avrei trascritto integralmente, perché essendo esaurito da tempo il volume (e a nessuno viene in mente di ristampare il vecchio Saroyan) sarebbe stato l'unica maniera di poterlo leggere.

Altrimenti, chi è interessato, può trovare molto usato a questi link:

 http://www.libreriaincanto.it/Letterature/Letteratura-angloamericana/Che-ve-ne-sembra-dellAmerica_5062.html

 http://www.ebay.it/sch/i.html?_nkw=saroyan&clk_rvr_id=522208284627&adpos=1o1&MT_ID=63&crlp=27340008623_2420816&device=c&geo_id=33486&keyword=saroyan&crdt=0

venerdì 13 settembre 2013

Umberto Eco - IL CIMITERO DI PRAGA - Bompiani 2010 - € 19,50


Nella recente donazione di libri, mio fratello Mario ha incluso - non richiesto - questo ultimo lavoro di Umberto Eco. Non l'avrei comprato perché, conoscendone l'argomento, ritenevo, giustamente, che questo fosse stato sufficientemente sviscerato nell'ultima delle Sei passeggiate nei boschi narrativi, alla Harvard University durante le Norton Lectures del 1992-93 (Bompiani 1994). 

In quella memorabile lezione - con una precisa e paziente ricostruzione storica -  Eco spiegava come sia stato possibile passare dalla finzione narrativa, enunciata nel romanzo  L'ebreo errante  di Eugène Sue,  alla sua trasformazione in un fatto storico reale,  e come questo - creduto veritiero -  in un crescendo di falsificazioni e rimandi letterari - abbia alla fine creato quel mostro (I Protocolli dei Savi di Sion) che sono stati la Licenza per un genocidio (Norman Cohn - Einaudi, 1969) del xx secolo.

In altre parole, le oltre 500 pagine de Il Cimitero di Praga, mi sembravano eccessive per raccontare un fatto ormai noto, che lui stesso aveva esaurientemente esposto in meno di 20 pagine. Tuttavia ho iniziato a leggere e, da subito, sono stato risucchiato all'interno del romanzo, come fatalmente accade quando il narratore possiede gli strumenti per adescare  il lettore e costringerlo nel suo bosco narrativo.

Coinvolgente fin dall'inizio, complice l'ironia che in Eco è straripante, ci troviamo a seguire le vicende del falsario capitano Simonini con i Mille sbarcati in Sicilia, dove assistiamo impotenti all'organizzazione della prima strage di stato, quella che portò all'affondamento del vapore Ercole nel 1861, dove, insieme ad Ippolito Nievo, perirono tutte le persone imbarcate. 

Ineffabili i velenosi giudizi che capitan Simonini esprime su vari personaggi storici che incontra: politici, scrittori, scenziati,  ma anche su interi popoli:

Se mi son fatto francese è perché non potevo sopportare di essere italiano. In quanto piemontese (per nascita), sentivo di essere la caricatuta di un gallo, ma dalle idee più ristrette. I piemontesi, ogni novità li irrigidisce, l'inatteso li terrorizza, per farli muovere sino alle Due Sicilie (ma di garibaldini c'erano pochissimi piemontesi) ci sono voluti due liguri, un esaltato come Garibaldi e uno iettatore come Mazzini. E non parliamo di quello che ho scoperto quando sono stato mandato a Palermo (quando è stato? devo ricostruire). Solo quel vanitoso di Dumas amava quei popoli, forse perché lo adulavano più di quanto non facessero i francesi che lo consideravano pur sempre un sangue misto. Piaceva a napoletani e siciliani, mulatti essi stessi non per errore di una madre baldracca ma per storia di generazioni, nati da incroci di levantini malfidi, arabi sudaticci e ostrogoti degenerati, che hanno preso il peggio di ciascuno dei loro ibridi antenati, dei saraceni l'indolenza, degli svevi la ferocia, dei greci l'inconcludenza e il gusto di perdersi in chiacchiere fino a spaccare un capello in quattro. E per il resto basti vedere gli scugnizzi che a Napoli incantano gli stranieri strangolandosi di spaghetti che s'infilano nel gorgozzule con le dita, sbrodolandosi di pomodoro andato a male. Non li ho visti, credo, ma lo so.
L'italiano è infido, bugiardo, vile, traditore, si trova più a suo agio col pugnale che con la spada, meglio col veleno che col farmaco, viscido nella trattativa, coerente solo nel cambiar bandiera a ogni vento- e ho visto che cosa è accaduto ai generali borbonici non appena sono apparsi gli avventurieri di Garibaldi e i generali piemontesi. E che gli italiani si sono modellati sui preti, l'unico vero governo che abbiano mai avuto da quando quel pervertito dell'ultimo imperatore romano è stato sodomizzato dai barbari perché il cristianesimo aveva fiaccato la fierezza della razza antica.
E dei tedeschi cosa ne pensa l'infido Simonini:

I tedeschi li ho conosciuti, e ho persino lavorato per loro: il più basso livello di umanità concepibile. Un tedesco produce in media il doppio delle feci di un francese. Iperattività della funzione intestinale a scapito di quella cerebrale, che dimostra la loro inferiorità fisiologica. Ai tempi delle invasioni barbariche le orde germaniche costellavano il percorso di ammassi irragionevoli di materia fecale. D'altra parte, anche nei secoli scorsi, un viaggiatore francese capiva subito se aveva già varcato la frontiera alsaziana dall'enorme grandezza degli escrimenti abbandonati lungo le strade. E bastasse: è tipica del tedesco la bromidrosi, ossia l'odore disgustoso del sudore, ed è provato che l'orina di un tedesco contiene il venti per cento di azoto mentre quella delle altre razze solo il quindici.
Il tedesco vive in uno stato di perpetuo imbarazzo intestinale dovuto all'eccesso di birra e di quelle salsicce di maiale di cui s'ingozza. Li ho visti una sera, durante il mio unico viaggio a Monaco, in quelle specie di cattedrali sconsacrate, fumose come un porto inglese, puteolenti di sugna e lardo, persino a due a due, lui e lei, le mani strette intorno a quei boccali di birra che disseterebbero da soli una mandria di pachidermi, naso a naso in un bestiale dialogo amoroso, come due cani che si annusano, con le loro risate fragorose e sgraziate, la loro torbida ilarità gutturale, traslucidi di un grasso perenne che ne unge i visi e le membra come l'olio sulla pelle degli atleti del circo antico.
Il protagonista è anche un inguaribile ghiottone e dichiara senza vergogna:

La cucina mi ha sempre soddisfatto più del sesso - forse un'impronta che mi hanno lasciato i preti.

Più avanti ricordando i piaceri dell'infanzia e dell'adolescenza, trova l'occasione, come in altre parti del romanzo di elencaremenù e ricette:

Ai miei maestri piaceva mangiare bene, e questo vizio deve essermi rimasto anche nell'età adulta. Ricordo tavolate, se non liete almeno compunte, dove i buoni padri discutevano sull'eccellenza di un bollito misto che il nonno aveva fatto apprestare.
Ci volevano almeno mezzo chilo di muscolo di manzo, una coda, culaccio, salamini, lingua di vitello, testina, cotechino, gallina, una cipolla, due carote, due coste di sedano, una manciata di prezzemolo. Il tutto lasciato cuocere per tempi diversi, secondo il tipo di carne. Ma, come ricordava il nonno e padre Bergamaschi approvava con energici cenni del capo, appena collocato il bollito sul vassoio di portata, occorreva spargere una manciata di sale grosso sulla carne e versarvi alcuni mestoli di brodo bollente, per farne risaltare il sapore. Poco contorno, salvo qualche patata, ma fondamentali le salse, vuoi mostarda d'uva, salsa di rafano, mostarda alla senape di frutta, ma sopratutto (il nonno non transigeva) il bagnetto verde: una manciata di prezzemolo, quattro filetti d'acciuga, la mollica di un panino, un cucchiaio di capperi, uno spicchio d'aglio, un tuorlo d'uovo sodo. Il tutto finemente tritato, con olio d'olica e aceto.
Questi erano stati, ricordo, i piaceri della mia infanzia e adolescenza. Che altro desiderare?
Questo insolito romanzo, articolato su tre voci narranti: il capitano Simonini, il suo alter- ego l'abate Dalla Piccola e il  Narratore, affascina, oltre che per la ricostruzione dei fatti storici - visti da un originale punto di vista -  anche per la magica rievocazione delle strade, i negozi e i ristoranti della Parigi della Belle Époque. E per le ricette, naturalmente.

Nel link sotto una bella recenzione, molto completa

https://culturaperta.wordpress.com/2012/05/03/il-cimitero-di-praga/

  

giovedì 5 settembre 2013

Jerome David Salinger - IL GIOVANE HOLDEN - Einaudi 1994 - £ 22.000



La tardiva lettura di questo romanzo di formazione, mi ha fortunatamente impedito di trasformarlo nell'icona letteraria assoluta, come invece è avvenuto per i molti lettori che lo hanno letto nell'età canonica. Questo non significa che non lo abbia apprezzato:  la storia, i personaggi, il linguaggio e compagnia bella. 

Cosa voglio dire con questo? semplicemente che nel successo planetario di  questo romanzo hanno giocato, oltre che l'intrinseco valore dell'opera, la complessa, e in un certo modo, straordinaria personalità del suo autore. Il suo isolarsi fin dal 1953, subito dopo il grande successo de Il giovane Holden, ha certamente stuzzicato  la fantasia dei giornalisti in cerca di scoop,  che hanno ingigantito il caso personale di un uomo che aveva deciso di vivere lontano dalle regole dello star-system.

Certo,  Salinger utilizza un linguaggio nuovo, ma anche William Saroyan e John Fante vent'anni prima di Salinger sperimentavano linguaggi nuovi,  che  forniranno un non trascurabile modello alla beat-generation. E allora? è la storia, il punto di vista da cui è raccontata, il ritmo serrato.... cosa determina il successo di un romanzo, quale magia deve provocare per trasformarsi, più che in un successo editoriale, in un fenomeno sociale?

Questo l'incipit, nelle parole del giovane Holden Caulfield:

Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com'è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio d'infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto. Sono tremendamente suscettibili su queste cose, sopratutto mio padre. Carini e tutto quanto - chi lo nega - ma anche maledettamente suscettibili. D'altronde, nonho nessuna voglia di mettermi a raccontare tutta la mia dannata autobiografia e compagnia bella.
Il recente annuncio che dal 2015 al 2020 verranno pubblicati - uno l'anno - 5 nuovi romanzi postumi di Salinger, sembra faccia palpitare  i fan del giovane Holden di tutto il pianeta. Non stento a crederlo. A Londra nel luglio 2005, tale Savannah Mazda, dopo 18 ore di fila  davanti la porta della libreria, è stata la prima ad acquistare il sesto libro di Harry Potter. Anche in Italia è successo qualcosa di analogo, con librerie aperte di notte.

 Ecco, per me quando le vicende editoriali si arricchiscono di queste stravaganze e compagnia bella, semplicemente cessano di esistere.

Comunque un merito va riconosciuto al vecchio Holden Caulfield, quello di aver inventato un nuovo modo di portare un berretto con la visiera:

Era un berretto rosso da cacciatore, di quelli con la visiera lunghissima. L'avevo visto nella vetrina di quel negozio di articoli sportivi quando eravamo scesi dalla metropolitana, subito dopo che mi ero accorto di aver perso tutti quei dannati fioretti. Mi era costato solo un dollaro. E io lo portavo con la visiera sulla nuca, ecco come lo portavo - cafone da morire, chi lo nega, ma mi piaceva in quel modo. Stavo bene col berretto in quel modo.