Nella recente donazione di libri, mio fratello Mario ha incluso - non richiesto - questo ultimo lavoro di Umberto Eco. Non l'avrei comprato perché, conoscendone l'argomento, ritenevo, giustamente, che questo fosse stato sufficientemente sviscerato nell'ultima delle Sei passeggiate nei boschi narrativi, alla Harvard University durante le Norton Lectures del 1992-93 (Bompiani 1994).
In quella memorabile lezione - con una precisa e paziente ricostruzione storica - Eco spiegava come sia stato possibile passare dalla finzione narrativa, enunciata nel romanzo L'ebreo errante di Eugène Sue, alla sua trasformazione in un fatto storico reale, e come questo - creduto veritiero - in un crescendo di falsificazioni e rimandi letterari - abbia alla fine creato quel mostro (I Protocolli dei Savi di Sion) che sono stati la Licenza per un genocidio (Norman Cohn - Einaudi, 1969) del xx secolo.
In altre parole, le oltre 500 pagine de Il Cimitero di Praga, mi sembravano eccessive per raccontare un fatto ormai noto, che lui stesso aveva esaurientemente esposto in meno di 20 pagine. Tuttavia ho iniziato a leggere e, da subito, sono stato risucchiato all'interno del romanzo, come fatalmente accade quando il narratore possiede gli strumenti per adescare il lettore e costringerlo nel suo bosco narrativo.
Coinvolgente fin dall'inizio, complice l'ironia che in Eco è straripante, ci troviamo a seguire le vicende del falsario capitano Simonini con i Mille sbarcati in Sicilia, dove assistiamo impotenti all'organizzazione della prima strage di stato, quella che portò all'affondamento del vapore Ercole nel 1861, dove, insieme ad Ippolito Nievo, perirono tutte le persone imbarcate.
Ineffabili i velenosi giudizi che capitan Simonini esprime su vari personaggi storici che incontra: politici, scrittori, scenziati, ma anche su interi popoli:
Più avanti ricordando i piaceri dell'infanzia e dell'adolescenza, trova l'occasione, come in altre parti del romanzo di elencaremenù e ricette:
In altre parole, le oltre 500 pagine de Il Cimitero di Praga, mi sembravano eccessive per raccontare un fatto ormai noto, che lui stesso aveva esaurientemente esposto in meno di 20 pagine. Tuttavia ho iniziato a leggere e, da subito, sono stato risucchiato all'interno del romanzo, come fatalmente accade quando il narratore possiede gli strumenti per adescare il lettore e costringerlo nel suo bosco narrativo.
Coinvolgente fin dall'inizio, complice l'ironia che in Eco è straripante, ci troviamo a seguire le vicende del falsario capitano Simonini con i Mille sbarcati in Sicilia, dove assistiamo impotenti all'organizzazione della prima strage di stato, quella che portò all'affondamento del vapore Ercole nel 1861, dove, insieme ad Ippolito Nievo, perirono tutte le persone imbarcate.
Ineffabili i velenosi giudizi che capitan Simonini esprime su vari personaggi storici che incontra: politici, scrittori, scenziati, ma anche su interi popoli:
Se mi son fatto francese è perché non potevo sopportare di essere italiano. In quanto piemontese (per nascita), sentivo di essere la caricatuta di un gallo, ma dalle idee più ristrette. I piemontesi, ogni novità li irrigidisce, l'inatteso li terrorizza, per farli muovere sino alle Due Sicilie (ma di garibaldini c'erano pochissimi piemontesi) ci sono voluti due liguri, un esaltato come Garibaldi e uno iettatore come Mazzini. E non parliamo di quello che ho scoperto quando sono stato mandato a Palermo (quando è stato? devo ricostruire). Solo quel vanitoso di Dumas amava quei popoli, forse perché lo adulavano più di quanto non facessero i francesi che lo consideravano pur sempre un sangue misto. Piaceva a napoletani e siciliani, mulatti essi stessi non per errore di una madre baldracca ma per storia di generazioni, nati da incroci di levantini malfidi, arabi sudaticci e ostrogoti degenerati, che hanno preso il peggio di ciascuno dei loro ibridi antenati, dei saraceni l'indolenza, degli svevi la ferocia, dei greci l'inconcludenza e il gusto di perdersi in chiacchiere fino a spaccare un capello in quattro. E per il resto basti vedere gli scugnizzi che a Napoli incantano gli stranieri strangolandosi di spaghetti che s'infilano nel gorgozzule con le dita, sbrodolandosi di pomodoro andato a male. Non li ho visti, credo, ma lo so.
L'italiano è infido, bugiardo, vile, traditore, si trova più a suo agio col pugnale che con la spada, meglio col veleno che col farmaco, viscido nella trattativa, coerente solo nel cambiar bandiera a ogni vento- e ho visto che cosa è accaduto ai generali borbonici non appena sono apparsi gli avventurieri di Garibaldi e i generali piemontesi. E che gli italiani si sono modellati sui preti, l'unico vero governo che abbiano mai avuto da quando quel pervertito dell'ultimo imperatore romano è stato sodomizzato dai barbari perché il cristianesimo aveva fiaccato la fierezza della razza antica.
E dei tedeschi cosa ne pensa l'infido Simonini:
I tedeschi li ho conosciuti, e ho persino lavorato per loro: il più basso livello di umanità concepibile. Un tedesco produce in media il doppio delle feci di un francese. Iperattività della funzione intestinale a scapito di quella cerebrale, che dimostra la loro inferiorità fisiologica. Ai tempi delle invasioni barbariche le orde germaniche costellavano il percorso di ammassi irragionevoli di materia fecale. D'altra parte, anche nei secoli scorsi, un viaggiatore francese capiva subito se aveva già varcato la frontiera alsaziana dall'enorme grandezza degli escrimenti abbandonati lungo le strade. E bastasse: è tipica del tedesco la bromidrosi, ossia l'odore disgustoso del sudore, ed è provato che l'orina di un tedesco contiene il venti per cento di azoto mentre quella delle altre razze solo il quindici.
Il tedesco vive in uno stato di perpetuo imbarazzo intestinale dovuto all'eccesso di birra e di quelle salsicce di maiale di cui s'ingozza. Li ho visti una sera, durante il mio unico viaggio a Monaco, in quelle specie di cattedrali sconsacrate, fumose come un porto inglese, puteolenti di sugna e lardo, persino a due a due, lui e lei, le mani strette intorno a quei boccali di birra che disseterebbero da soli una mandria di pachidermi, naso a naso in un bestiale dialogo amoroso, come due cani che si annusano, con le loro risate fragorose e sgraziate, la loro torbida ilarità gutturale, traslucidi di un grasso perenne che ne unge i visi e le membra come l'olio sulla pelle degli atleti del circo antico.Il protagonista è anche un inguaribile ghiottone e dichiara senza vergogna:
La cucina mi ha sempre soddisfatto più del sesso - forse un'impronta che mi hanno lasciato i preti.
Più avanti ricordando i piaceri dell'infanzia e dell'adolescenza, trova l'occasione, come in altre parti del romanzo di elencaremenù e ricette:
Ai miei maestri piaceva mangiare bene, e questo vizio deve essermi rimasto anche nell'età adulta. Ricordo tavolate, se non liete almeno compunte, dove i buoni padri discutevano sull'eccellenza di un bollito misto che il nonno aveva fatto apprestare.
Ci volevano almeno mezzo chilo di muscolo di manzo, una coda, culaccio, salamini, lingua di vitello, testina, cotechino, gallina, una cipolla, due carote, due coste di sedano, una manciata di prezzemolo. Il tutto lasciato cuocere per tempi diversi, secondo il tipo di carne. Ma, come ricordava il nonno e padre Bergamaschi approvava con energici cenni del capo, appena collocato il bollito sul vassoio di portata, occorreva spargere una manciata di sale grosso sulla carne e versarvi alcuni mestoli di brodo bollente, per farne risaltare il sapore. Poco contorno, salvo qualche patata, ma fondamentali le salse, vuoi mostarda d'uva, salsa di rafano, mostarda alla senape di frutta, ma sopratutto (il nonno non transigeva) il bagnetto verde: una manciata di prezzemolo, quattro filetti d'acciuga, la mollica di un panino, un cucchiaio di capperi, uno spicchio d'aglio, un tuorlo d'uovo sodo. Il tutto finemente tritato, con olio d'olica e aceto.
Questi erano stati, ricordo, i piaceri della mia infanzia e adolescenza. Che altro desiderare?Questo insolito romanzo, articolato su tre voci narranti: il capitano Simonini, il suo alter- ego l'abate Dalla Piccola e il Narratore, affascina, oltre che per la ricostruzione dei fatti storici - visti da un originale punto di vista - anche per la magica rievocazione delle strade, i negozi e i ristoranti della Parigi della Belle Époque. E per le ricette, naturalmente.
Nessun commento:
Posta un commento