martedì 31 gennaio 2012

Tommaso Landolfi - RACCONTO D'AUTUNNO - Rizzoli - 1974 - £ 900




Tommaso Landolfi, tra i grandi narratori del '900, spicca per lo splendido isolamento, non solo linguistico e tematico, ma anche per la lontananza da ogni consorteria letteraria, che lega frequentamente i protagonisti di quella stagione letteraria.

Ho rimandato per il momento la lettura dei più impegnativi: Il mar delle blatte(1973), A caso (1975), La spada(1976), per questo Racconto d'autunno del 1975.

Al primo approccio le atmosfere di questa novella gotica richiamano alla mente certi racconti di Edgard Allen Poe, dove mistero e sovranaturale si fondono con naturalezza, ma con un linguaggio singolare, che a momenti ricorda Gadda.

Spetta ai critici, agli storici della lingua analizzare il codice espressivo di Landolfi, anche in chiave psicanalitica; per il semplice lettore resta lo sconcerto di un linguaggio opulento, utilizzato in un contesto venato di soprannaturale.

Nella nota introduttiva, Carlo Bo scrive:


(Landolfi) per manifestare la sua verità aveva bisogno di maschere e non solo per se ma anche per i suoi personaggi, tesi piuttosto al gusto della declamazione, coinvolti a loro volta nel tentativo di alterare la realtà per diminuirne l'urto, la violenza, tutto quanto importa nel conto del dolore. Un romanticismo, dunque, come espediente e come protezione della verità che sarebbe apparsa in tutta la sua luce molti anni dopo col potere di giustificare e quindi spiegare i camuffamenti, i pudori e gli accorgimenti del primo Landolfi.



Una sorprendente caratteristica di questo breve romanzo, scritto in prima persona, è la mancanza di elucubrazioni del protagonista, che si limita a descrivere ambienti e personaggi, e il pensiero, quando viene espresso, è circoscritto al contingente, senza speculazioni filosofiche.

Questa la descrizione di un quadro di donna, nella casa dove il protagonista si introduce, in cerca d'asilo:


Era un ritratto a mezzo busto di giovane donna, che fissava il riguardante; un olio alquanto annerito, ma non tanto che non si distinguessero i particolari. La donna era vestita secondo la moda degli ultimi anni del secolo passato o dei primi di questo, con tutto il collo chiuso in un'alta benda di pizzo; di pizzo era anche la veste, dalle maniche sboffate; sul petto ella recava un grande e complicato pendentif o breloque (come allora si diceva) di topazi bruciati, sorretta da nastri di seta marezzata; sulle spalle un amoerro, ricadente in larghe e convolte pieghe: La massa dei capelli bruni era pettinata in conseguenza, cioè in ampio cercine o cannuolo attorno alla fronte, in mezzo al quale spiccava un minuscolo diadema a forma di corona. Le di lei fattezze, delicate e chiare, recavano l'impronta inequivocabile della nobiltà di sangue e di carattere, e quel minimo di sdegnosità che l'accompagna sovente. Le guance appena arrotondate attorno alla bocca attribuivano, inoltre, a quel volto qualcosa di vagamente infantile.
Certo, in un periodo che gli scrittori proliferano come le pulci nel gatto, purchè un'apparizione televisiva ne giustifichi, presso editori bendisposti, la pubblicazione, suggerire la lettura di Landolfi suona come una provocazione o una beffa, ma il compito che ci siamo dato è quello di parlare dei libri che leggiamo o abbiamo letto, senza tener conto di altro che delle impressioni ricavate.

Qui sotto il link dell'altra opera di Landolfi di cui si è occupato il blog:

 http://giorgio-illettoreimpenitente.blogspot.it/2013/10/tommaso-landolfi-la-spada-rizzoli-1976.html

venerdì 20 gennaio 2012

William Faulkner - UNA ROSA PER EMILY - Adelphi 1997 - £ 12.000


Il mio amore per la letteratura americana risale agli anni dell'adolescnza. Dos Passos della "trilogia USA", Steinbeck di La Valle dell'Eden, Hemingway dei Quantanove racconti, Faulkner di Il Borgo e London di Martin Eden.....

Riflessione generale su gli autori americani della lost generation: assomigliano tutti in modo impressionante ai personaggi dei loro romanzi, come d'altronde i loro colleghi della generazione successiva, la beat generation; la stessa cosa non accade agli autori europei, la cui vita di rado è simile ai personaggi dei romanzi che hanno scritto.

In queste tre storie di donne del sud, tra nostalgia, follia e domestiche efferatezze, nella dolente evocazione di un mondo svanito, Faulkner esprime una rara potenza espressiva, senza tuttavia il sollievo di un finale consolatorio.

In Adolescenza, descrivendo un personaggio:
La paternità lo toccava appena: come i maschi della sua specie, considerava l'inevitabile arrivo dei figli uno degli inconvenienti ineludibili del matrimonio, come il rischio di bagnarsi i piedi quando si va a pescare.
In Un fiore per Miss Emily così ritrae i concittadini venuti per l'ultimo saluto:

(....) e sotto il portico e sul prato uomini vecchissimi, alcuni con indosso le uniformi da Confederati ben spazzolate, che parlavano di Miss Emily come fosse stata una loro coetanea, convinti di aver danzato con lei e forse di averla corteggiata, facendo confusione fra il tempo e la sua progressione matematica, come fanno i vecchi, per i quali tutto il passato non è una strada che si va assottigliando, bensì un prato immenso che l'inverno lascia intatto, separato da loro dallo stretto collo di bottiglia del decennio più recente.


E ancora, a proposito di Miss Emily:

Di tanto in tanto la vedevamo a una finestra del pianterreno - aveva evidentemente chiuso il piano superiore della casa -, simile al busto scolpito di un idolo in una nicchia, che ci guardava oppure non ci guardava, era impossibile dirlo. Così passò da una generazione all'altra, amabile, eneluttabile, impervia, tranquilla e perversa.
Forse le cose più belle scritte da Faulkner sono racchiuse in questo agile libricino, che può essere propedeutico alle opere più impegnative: L'urlo e il furore, Mentre morivo, Santuario, Il borgo, Requiem per una monaca e tutta la sua sconfinata produzione.

giovedì 19 gennaio 2012

Robert Carrier - GRANDI PIATTI DEL MONDO - Mondadori 1970 - £. 600


In tutte le librerie casalinghe abbondano i libri di cucina, e la mia, naturalmente, non fa eccezione. Il primo libro di cucina che entrò in casa, nei lontani anni '60, è stato l'Artusi che conservo ancora gelosamente; lettura gradevole ricca di aneddoti gustosi, scritta con un linguaggio ricercato, aulico, utilizzabile per approfondire i cambiamenti avvenuti in cucina e a tavola in 121 anni, ma anche per riproporre piatti con il gusto dei nostri avi.

Questo che presento oggi è invece un libro che in casa abbiamo molto usato negli anni passati, sopratutto quando volevamo stupire gli amici con piatti non tanto ricercati quanto della cucina internazionale. Dalle ricette di questo libro ricavammo la nostra prima cena francese: Quiche Lorraine, soupe à l'oignon gratinèe, coq-au-vin e crèpe Susette. Le pagine di queste ricette, che poi sono entrate nell'uso comune, riportano tutti quei segni caratteristici della consuetudine, note, richiami, variazioni che testimoniano il ricorrente utilizzo.

Ma si sà, i capricci del nostro umore sono più bizzarri di quelli della fortuna e così anche questo libro, dopo il suo momento di gloria, passò nel dimenticatorio ed altri vennero a stuzzicare la nostra curiosità gastronomica.

Assolutamente consigliato a chi vuole sorprendere i propri ospiti con una accurata, elegante preparazione anche esotica, da tutto il mondo.

sabato 14 gennaio 2012

Luciano De Crescenzo - STORIA DELLA FILOSOFIA GRECA - I presocratici - Mondadori 1984 - £. 14.000















Che la divulgazione della storia filosofia possa avvalersi di una narrazione leggera,  con un linguaggio semplice, è la scommessa, largamente vinta, di Luciano De Crescenzo, che nel 1983 ha mandato alle stampe, per i tipi di Mondadori, questa divertente, esauriente e rigorosa Storia della Filosofia Greca - I presocratici.


Lo dice chiaramente l'autore, nella prefazione in forma di lettera a Salvatore, il vice-sostituto-portiere della casa dove risiede il prof.Gennaro Bellavista (protagonista del romanzo Così parlò Bellavista dello stesso De Crescenzo):



...io qui, alla faccia dei dotti e dei seriosi, vorrei poterti dimostrare che a volte la filosofia greca può essere anche divertente e di facile comprensione.

Dimostrazione riuscita in pieno. Questa Storia della Filosofia Greca infatti è scritta con la mano leggera, caratteristica di tutte le opere di De Crescenzo, comprensibile e, nello stesso tempo, rigoroso nei fatti, come testimonia la corposa bibliografia di riferimento sistemata a piè di pagina. Voglio dire è un'operta che si legge facilmente, divertente, ma assolutamente puntuale, come qualunque altra storia della filosofia.

Scorrendo i xxv capitoli che compongono l'opera, ognuno dedicato ai più noti dei filosi greci, compaiono quattro filosofi sui generis che rispondono al nome di Peppino Russo, Tonino Capone, Gennaro Bellavista e l'avvocato Tanucci, concittadini dell'autore che, pur essendo nostri contemporanei, risultano in qualche modo legati ai presocratici, per scelte, mentalità o filosofia di vita. Ed è su questi nuovi personaggi che intendo concentrare l'attenzione, essendo i presocratici noti e arcinoti.

Dopo Talete, Anassimandro e Anassimene, abbiamo Peppino Russo di Napoli, nato nel 1921 e morto nel 1975. Considero Russo, a ogni buon diritto, l'ultimo dei filosofi di Mileto e non ho alcuna difficoltà a dimostrarlo, anche se mi rendo conto che l'inserimento di un pensatore che si chiama Peppino nella storia della filosofia greca potrà sembrare a qualcuno una provocazione. Ma vediamo come stanno i fatti.
Talete diceva che tutto era pieno di Dei, Anassimandro era convinto che gli elementi naturali fossero delle divinità sempre in lotta tra di loro e Anassimene pensava che anche le pietre avessero un'anima; ebbene sulla scia di queste affermazioni, Peppino Russo asserì che tutte le cose del mondo possedevano un'anima, avendola carpita agli esseri umani nel corso della loro esistenza. A questo punto potrei parlare di ilozoismo e di immanentismo panteistico, poi però ho paura che il lettore si spaventi e smetta per sempre lo studio della filosofia, e allora mi limito a raccontare che tra i filosofi antichi, di tanto i tanto, è saltato fuori qualcuno a cui piaceva credere che tutte le cose del mondo fossero animate. Questo modo di pensare fu definito "ilozoismo", la parola greca composta da hýle che significa materia e zoé che significa vita.
Il mio incontro con Peppino Russo fu del tutto casuale.....

Di un altro "filosofo" scrive:
Prendiamo il caso di Tonino Capone: siamo a Napoli, è una mattinata di luglio, è mezzogiorno, la temperatura ha toccato il suo massimo stagionale, la mia Fiat è parcheggiata al sole. Entro nell'auto infuocata, metto in moto e mi accorgo di avere la batteria a terra: sacramento ad alta voce e mi dirigo a piedi dal più vicino elettrauto. La serranda è abbassata e su essa è affisso un cartello con la scritta: "AVENDO GUADAGNATO QUANTO BASTA TONINO E' ANDATO AL MARE".
Questa di Tonino è una scelta di vita che presuppone una filosofia, analizziamola nei particolari.
Segue un succinto profilo del personaggio di cui dice, tra l'altro:

Oggi Tonino è l'unico intellettuale italiano in grado di regolare le puntine platinate di uno spinterogeno.


Di un altro personaggio del libro, Gennaro Bellavista, racconta:

L'intrusione del professor Bellavista, pensionato ed ex insegnante di liceo, nella storia della filosofia greca è giustificata dal fatto che il suo pensiero si ricollega direttamente alla cosmogonia di Empedocle e all'etica di Epicuro. Ciò premesso, riteniamo opportuno trattare subito il primo argomento, quello della struttura dell'universo, e di riservarci in un secondo volume di scrivere la napoletanità, ovvero l'etica del popolo napoletano, nell'ambito della scuola epicurea.

Secondo Bellavista, l'archè, il mattone primigenio con cui è stato costruito il mondo, è l'Energia. Ad agire su di esse provvedono due principi attivi che il professore chiama Amore e Libertà. A differenza dell'Amore e della Discordia, già descritti da Empedocle, queste due forze bellavistiane, pur essendo nemiche tra loro, risultano entrambe positive e, come tali, apportatrici di effetti vitali. Viene in tal modo a cadere la principale critica che Aristotele muoveva alle teorie di Empedocle e cioè quella sull'incoerenza di comportamento dell'Amore.
Il quinto personaggio, dipinto con sapiente mano da De Crescenzo è l'avvocato Tanucci, il cui motto era:

La giustizia è come una scarpa stretta: bisogna sempre usare un calzatoio per poterla usare.


L'avvocato Tanucci, secondo la felice ricostruzionei De Crescenzo, appartiene ad una delle cinque categorie del variegato mondo che popola il Palazzo di Giustizia, ci sono infatti gli avvocati di grido, gli avvocati normali, i "paglietta", gli strascinafacenne e i giovani di studio.

Il personaggio del "paglietta" fa parte della storia di Napoli. I "paglietta" comparvero sulla scena giudiziaria napoletana nel Seicento. Camillo Gurgo ce li descrive così: "Panciuto, buffo, tra il prete e il cavaliere, con le seriche brache, le grosse scarpe munite di fibbioni ferreolucenti, il sottile vestito che il popolo chiama saraca, il collare azzurognolo che si chiama appunto paglietta, il vasto cappello di paglia rivestito di seta nera e la spada al fianco". (Camillo Gurgo -Castel Capuano e i paglietta, Napoli 1929)


Per presentarlo, e concludere il volume, De Crescenzo trascrive l'appassionata, paradossale ma rigorosa, esilarante ma giuridacamente ineccepibile arringa difensiva dell'avvocato Tanucci nella difesa di tale Esposito Alessandro, accusato di truffa e falsificazione di marchio d'impresa, che così conclude:

(parlando di Luis Vuitton) Ora io affermo che, se un individuo è riuscito a convincere migliaia di persone che una borsa di plastica, seppure coperta di monogrammi, è migliore di una borsa di pelle, vuol dire che costui ha ridotto in stato di soggezione i propri clienti, e pertanto, forte di questa deduzione, io oggi accuso il signor Luis Vuitton di Parigi di plagio. Accuso altresì i trafficanti di firme, i venditori di fumo, italiani e stranieri, di assoggettare al loro potere le nostre mogli e i nostri figli. Accuso le riviste "FMR" e "CAPITAL" di propagandare i falsi idoli di un nuovo feticismo. Accuso i mass-media, i pubblicitari, i commercianti e tutti i loro complici di profitti illeciti. A voi signori del tribunale, il compito di fare giustizia: su un piatto della bilancia avete Luis Vuitton, Grande Furbo Internazionale, e sull'altro piatto Esposito Alessandro, piccolo furbo napoletano, colto in flagrante mentre tentava di piluccare una bricciola di pane sulla tavola della grande abbuffata!
Un gran bel libro, in attesa di leggermi il secondo volume, uscito nel 1986 e che, per distrazione, mi sono perso.

venerdì 13 gennaio 2012

Giorgio Caproni - POESIE 1932-1986 - Garzanti 1989 - £. 28.000


Sabato scorso, 7 gennaio 2012, ricorrevano i cento anni della nascita di Giorgio Caproni (1912-1990), poeta, maestro elementare, critico letterario, traduttore, partigiano.

Brezze e vele sul mare:
dei pensieri da nulla.

Ma che spinta imparare
cos'è mai una fanciulla.


Di un poeta si può solo dire la sua biografia, raccontare i fatti della sua vita, mettere delle date alle pubblicazioni dei suoi lavori, come per ogni artista in continua evoluzione, si può dire il suo periodo rosa - se pittore - il suo periodo ermetico - se poeta, ma non si dice nulla su la cosa essenziale, su l'oggetto: la poesia. Sentite cosa risponde Giorgio Caproni alla domanda cos'è la poesia:


http://www.youtube.com/watch?v=DDtNG9qKcN8&feature=player_embedded


Non sono in grado di parlare della poetica di Caproni, mi limito qui a suggerire, a stuzzicare la curiosità degli amici che visitano il blog, perché sfoglino questo Garzanti del 1989, che raccoglie tutta la produzione di Caproni, (l'opera completa per i Meridiani di Mondadori è uscita solo nel 2010). Per esempio la musicalità sensuale di questi versi:

Come dev'esser dolce
della tua carnagione
il fiore, alle prim'ore
d'alba colto in stagione
chiara, quando di nuove
cose commuove l'aria
pudicissimo odore,
e il petto tocca e tenta
lo svegliarsi del mare.

Oppure lo struggimento nei Versi livornesi dedicati alla madre morta, Annina.

Mia mano, fatti piuma:
fatti vela; e leggera
muovendoti sulla tastiera,
sii cauta. E bada, prima
di fermare la rima,
che stai scrivendo d'una
che fu viva e fu vera.

E ancora, nella luminosa rievocazione di lei:


Livorno, quando lei passava
d'aria e di barche odorava.
Che voglia di lavorare
nasceva, al suo ancheggiare!

Sull'uscio dello Sbolci,
un giovane dagli occhi rossi
restava col bicchiere
in mano, smesso di bere.


Come dev'essere scritta la poesia per lei


Per lei voglio rime chiare,
usuali: in -are.
Rime magari vietate,
ma aperte: ventilate.
Rime con suoni fini
(di mare) dei suoi orecchini.
O che abbiano, coralline,
le tinte delle sue collanine.
Rime che a distanza
(Annina era così schietta)
conservino l'eleganza
povera, ma altrettanto netta.
Rime che non siano labili,
anche se orecchiabili.
Rime non crepuscolari,
ma verdi, elementari.


Così nell' Epilogo:


Annina è nella tomba,
Annina, ormai, è un'ombra:
E chi potrà appoggiare
l'orecchio al suo petto, e ascoltare
come una volta il cuore,
timido, tumultuare?

Qualcuno a scritto che nei Versi livornesi, Caproni sia giunto all'apice, per rarefarsi pian piano e, alla fine, lavorare col niente:




" Un'idea mi frulla,
scema come una rosa:
Dopo di noi non c'è nulla.
Nemmeno il nulla,
che già sarebbe qualcosa".

Buttate pure via
ogni opera in versi o in prosa.
Nessuno è mai riuscito a dire
cos'è, nella sua essenza, una rosa.


L'Asceta sconfitto.
Il mistico che non ce l'ha fatta
a sfondare il soffitto.


Pensiero da mettere all'asta,
Tutto è qui, e ora.
La speranza è rimasta
nel vaso di Pandora.


Dio non c'è,
ma non si vede.
non è una battuta, è
una professione di fede.
Lettura irrinunciabile per gli amanti della poesia.

mercoledì 11 gennaio 2012

Cesare Pascarella - STORIA NOSTRA - Mondadori - 1958 - £ 350 -


I

Quelli? Ma quelli, amico, ereno gente
Che prima de fa' un passo ce pensaveno.
Dunque, si er posto nun era eccellente,
Che te credi che ce la fabbricaveno?

A queli tempi li nun c'era gnente;
Dunque, me capirai, la cominciaveno:
Qualunque posto j'era indifferente,
La poteveno fa' dovunque annaveno.

La poteveno fa' pure a Milano,
O in qualunq'antro sito de li intorno,
Magara più vicino o più lontano.

Poteveno; ma intanto la morale
Fu che Roma, si te la fabbricorno,
La fabbricorno qui. Ma è naturale.


II

Qui ci avevano tutto: la pianura,
Li monti, la campagna, l'acqua, er vino...
Tutto! Volevi annà in villeggiatura?
Ecchete Arbano, Tivoli, Marino.

Te piace er mare? Sòrti da le mura,
Co' du' zompi te trovi a Fiumicino.
Te piace de sfoggià in architettura?
Ecco la puzzolana e er travertino.

Qui er fiume pe' potécce fa' li ponti,
Qui l'acqua pe' poté' fa' le fontane,
Qui ripetta, Trastevere, li Monti...

Tutte località predestinate
A diventà' nell'epoche lontane
Tutto quello che poi so' diventate.

Questi i primi due sonetti del primo capitolo di STORIA NOSTRA - La fondazione di Roma a cui seguono tutti gli altri episodi della storia di Roma, per proseguire poi con il Medioevo, Napoleone, il quarantotto, l'assedio di Roma, Garibaldi, fino al congresso di Parigi, in totale 44 capitoli, ognuno strutturato in sette sonetti, per un totale di poco meno che 300 sonetti!

Un'opera importante, considerando la vastità dell'argomento, ed anche molto attesa, dopo la pubblicazione e il successo di Villa Gloria - che suscitò l'entusiasmo di Carducci - e di La scoperta de l'America, di cui persino Croce trova parole di apprezzamento, così nel capitolo a lui dedicato in La Letteratura della Nuova Italia:


Questo scrittore di sonetti romaneschi è uno dei più coscienziosi, scrupolosi e tormentati artisti, che ora siano in Italia: un artista che raggiunge sempre la spontaneità della forma, e tuttavia (caso raro) è cosciente di ogni procedimento ch'egli adopera, di ogni più piccolo accento della sua arte, e vi ragiona sopra con sottilissime osservazioni psicologiche ed estetiche. (1911)

A proposito di poeti dialettali, Natalino Sapegno evidenzia in Pascarella le esperienze maturate in ambito verista, e riferendosi ai suoi primi lavori sottolinea come si avverte subito quella volontà di rappresentazione ferma, quel taglio sicuro, quell'evidenza di scorci drammatici; e prosegue:

Ma c'è anche fin d'ora, nella tecnica densa del sonetto, nel modo d'attaccare e chiudere e circoscrivere il racconto, fino in certi giri di frasi, una scoperta bravura, un sovrappiù di abilità letteraria, che si accentua e domina nelle scritture posteriori, di maggior lena e di più ambiziosi propositi: sia nell'epica intenzionale, ma non sorretta da una deguata ampiezza di respiro, di Villa Gloria, o peggio della postuma e incompiuta Storia nostra; sia nel comico abilissimo e frizzante, ricco di trovate e di arguzie, spassoso e pungente della Scoperta dell'America; componimenti tutti in cui appunto campeggia la bravura dell'artista, e il genuino istinto poetico non si ritrova più con quell'impeto e quella pienezza dei primi sonetti.

Voglio chiudere questa presentazione con un sonetto che racconta la morte di Anita Garibaldi, a Mandriole di Ravenna il 4 agosto del 1849:

CCIX

La morte, che da l'ora de quer giorno

Fatale da che lei, povera Annita,
Assieme cor marito, era sortita
Da Roma, j'era stata sempre intorno;

E che in qualunque sito se fermorno,
Notte e giorno l'aveva circuita;
Che all'urtimo perfino era salita
Dentro la barca appena s'imbarcorno;

Adesso che la védde in agonia
E che capì ch'era venuta l'ora
Che ormai se la poteva portà' via,

Nun se mosse; ma appena che l'intese
A l'urtimo respiro sortì fora,
Je s'accostò, la strinse, e se la prese.



sabato 7 gennaio 2012

Elias Canetti - IL CUORE SEGRETO DELL'OROLOGIO - Adelphi 1987 - £ 20.000


Elias Canetti. Già definirne l'identità è impresa ardua: bulgaro, nazionalizzato inglese, di lingua tedesca, figlio di un ebreo sefardita di origine spagnola e di madre ebrea sefardita bulgara di origine italiana. Vissuto a Zurigo, Francoforte, Manchester, Parigi e Londra. Tanto basta per farne un cittadino del mondo, e uno degli ultimi esponenti della cultura mitteleuropea.

Nel 1981 gli accademici svedesi si ricordarono di Canetti e gli assegnarono il Premio Nobel per la Letteratura "per i suoi lavori caratterizzati da un'ampia prospettiva, ricchezza di idee e potere artistico".

L'autore di Massa e potere e Autodafé in questo quaderno di appunti (1973-1985) è particolarmente incisivo, aspro, tagliente e essenziale, ne consegue un vero esercizio di libertà, in grado di trasformare certezze acquisite in paradossi, senza alcun limite, anche contro se stesso:

Chi obbedisce a se stesso soffoca non meno di chi obbedisce ad altri. Soltanto l'incoerente non soffoca, colui che si dà ordini ai quali si sottrae. Talvolta, in circostanze particolari, è giusto soffocare.
Alcuni appunti sembrano destinati ad essere ampliati, altri sono caratteri in grado di definire un personaggio:

Una settimana di solitudine assoluta si alternava con una settimana tutta tra la gente. Fu così che imparò a odiare entrambe le cose: la gente e se stesso.

Una storiografia secondo la quale i perdenti avessero sempre avuto ragione.

Venne il tempo in cui tutto ciò che egli era stato crollò in pezzi. Lui stava a guardare e batteva le mani.

Chi ha troppe parole non può che essere solo.

Bonificare la palude dell'autocompiacimento.

Uno che ha il dono di essere dimenticato da tutti.



Si potrebbe continuare così, citandolo, ma è più utile sfogliare direttamente il volume e leggerlo con calma, senza voler arrivare alla fine, lasciando vagare la fantasia intorno alle immagini che le parole suscitano, meditando su ogni frase.

domenica 1 gennaio 2012

TRE FANCIULLE MARTIRI DELLA BARBARIE NAZISTA - Einaudi, Adelphi, l'Unità

Tre fanciulle, tre donne, tre brevi percorsi di vita interrotti dall'orrore di un destino comune, tragicamente consumatisi ad Auschwitz quelli di Etty e Louise, a Bergen Belsen quello di Anna.





Anna è tedesca, rifugiata in Olanda con la famiglia dopo la presa del potere di Hitler, Etty è olandese di Amsterdam, Louise è francese, parigina, studentessa del liceo del Cours de Vincennes. Il libri di Anna e Etty riguardano i loro diari, mentre quello di Louise sono lettere ai suoi familiari e alle amiche.

Anna scrive il suo diario nascosta con la famiglia in un alloggio segreto, ricavato nella casa dove il padre di Anna ha il suo lavoro. Etty scrive le sue lettere (in appendice al Diario) da una cella a Westerbork, un campo di smistamento in attesa di essere tradotta ad Auschwitz.

Louise scrive le sue prima da Fresnes, dove è stata portata dai poliziotti di Vichy, che l'arrestano per essere stata trovata senza la stella di David cucita sul cappotto, quindi dal campo di raccolta di Drancy, vicino Parigi.

Quando Anna Frank inizia a scrivere il suo diario ha solo 13 anni, Louise 18, Etty è gia una donna, nel 1941 quando inizia il suo diario ha 27 anni.

Scrive Anna il 24 dicembre 1943:

(....) Credimi, quando sei stata rinchiusa per un anno e mezzo, ti càpitano dei giorni in cui non ne puoi più. Sarò forse ingiusta e ingrata, ma i sentimenti non si possono reprimere. Vorrei andare in bicicletta, ballare, fischiare, guardare il mondo. sentirmi giovane, sapere che sono libera, eppure non devo farlo notare perché, pensa un po', se tutti e otto ci mettessimo a lagnarci e a fare la faccia scontenta, dove andremmo a finire? A volte mi domando: "Che non ci sia nessuno capace di comprendere che, ebrea o non ebrea, io sono soltanto una ragazzotta con un gran bisogno di divertirmi e stare allegra?" Non lo so, e non potrei parlarne con nessuno, perché sono certa che mi metterei a piangere. Piangere può recare tanto sollievo. (.......) Ed ora basta. La mia "tristezza mortale" scrivendo è un poco passata.
Le lettere di Louise sono piene di fiducia, allegria, ottimismo; non crede che il suo arresto possa davvero preludere all'internamento in un lager, e se lo crede non lo dice, per amore dei suoi famigliari, a cui il 1° ottobre 1942 tra l'altro scrive:

(.....) Voi non avete idee di quanto valga lo spirito limpido, la mentalità sana, la chiarezza morale del nostro ambiente. Per riuscire ad apprezzarlo fino in fondo bisognerebbe venire a contatto di gente come quella che io ho incontrato qui e comincio a conoscere sul serio, vivendoci insieme dal mattino alla sera. Se fossi sicura di non lasciare troppe penne in questo guaio assurdo e che anche la mamma ne venisse fuori indenne, non mi dispiacerebbe neppure troppo passarci in mezzo proprio nel momento in cui il mio carattere sta assumendo una forma definitiva.
Etty è una giovane donna, colta, intelligente, una scrittrice sensibile che sa scavare al suo interno con una lucidità e intensità che fa star male. Scrive il 22 settembre:

Una volta ho scritto in uno dei miei diari: vorrei poter tastare i contorni di questo tempo con la punta delle dita. Ero seduta alla mia scrivania, allora, e non sapevo bene come accostarmi alla vita perché non l'avevo ancora toccata dentro di me. Ho imparato a farlo mentre ero seduta qui. Poi, d'un tratto, sono stata scaraventata in un centro di dolore umano - su uno dei tanti, piccoli fronti di cui è disseminata l'Europa. E là - sui volti delle persone, su migliaia di gesti, piccole espressioni, vite raccontate - su tutto ciò ho improvvisamente cominciato a leggere questo tempo come un insieme compiuto, e non solo questo tempo. Avevo imparato a leggere in me stessa e così ero in grado di leggere anche negli altri. Era proprio come se le mie dita sensibili sfiorassero i contorni di questo tempo, e di questa vita. Com'è possibile che quel pezzetto di brughiera recintato dal filo spinato, dove si riversava e scorreva tanto dolore umano, sia diventato un ricordo così dolce? Che il mio spirito non sia diventato più tetro in quel luogo, ma più luminoso e sereno? A Westerborg ho letto un tratto del nostro tempo che non mi sembra privo di significato. Ho amato tanto la vita quando ero seduta a questa scrivania ed ero circondata dai miei scrittori, dai miei poeti e dai miei fiori. E là, tra le baracche popolate da uomini scacciati e perseguitati, ho trovato la conferma di questo amore.
Queste tre giovani donne - tra le innumerevoli altre coetanee - che l'ottusa razionalità di un sistema crimanale ha pianificato di distruggere, non scrivono una sola parola di odio contro i loro carnecifi né una parola di maledizione per la mostruosità del loro destino. Solo la consapevole accettazione dell'inevitabilità del male, come necessaria antitesi del bene, perché, come scrive Etty: "vita e morte sono significatamente legate tra loro, anche se la fine può essere triste e persino orribile, nella sua forma esteriore".

Una necessaria lettura in tutti i sensi dirompente.