Che la divulgazione della storia filosofia possa avvalersi di una narrazione leggera, con un linguaggio semplice, è la scommessa, largamente vinta, di Luciano De Crescenzo, che nel 1983 ha mandato alle stampe, per i tipi di Mondadori, questa divertente, esauriente e rigorosa Storia della Filosofia Greca - I presocratici.
Lo dice chiaramente l'autore, nella prefazione in forma di lettera a Salvatore, il vice-sostituto-portiere della casa dove risiede il prof.Gennaro Bellavista (protagonista del romanzo Così parlò Bellavista dello stesso De Crescenzo):
...io qui, alla faccia dei dotti e dei seriosi, vorrei poterti dimostrare che a volte la filosofia greca può essere anche divertente e di facile comprensione.
Dimostrazione riuscita in pieno. Questa Storia della Filosofia Greca infatti è scritta con la mano leggera, caratteristica di tutte le opere di De Crescenzo, comprensibile e, nello stesso tempo, rigoroso nei fatti, come testimonia la corposa bibliografia di riferimento sistemata a piè di pagina. Voglio dire è un'operta che si legge facilmente, divertente, ma assolutamente puntuale, come qualunque altra storia della filosofia.
Scorrendo i xxv capitoli che compongono l'opera, ognuno dedicato ai più noti dei filosi greci, compaiono quattro filosofi sui generis che rispondono al nome di Peppino Russo, Tonino Capone, Gennaro Bellavista e l'avvocato Tanucci, concittadini dell'autore che, pur essendo nostri contemporanei, risultano in qualche modo legati ai presocratici, per scelte, mentalità o filosofia di vita. Ed è su questi nuovi personaggi che intendo concentrare l'attenzione, essendo i presocratici noti e arcinoti.
Dopo Talete, Anassimandro e Anassimene, abbiamo Peppino Russo di Napoli, nato nel 1921 e morto nel 1975. Considero Russo, a ogni buon diritto, l'ultimo dei filosofi di Mileto e non ho alcuna difficoltà a dimostrarlo, anche se mi rendo conto che l'inserimento di un pensatore che si chiama Peppino nella storia della filosofia greca potrà sembrare a qualcuno una provocazione. Ma vediamo come stanno i fatti.
Talete diceva che tutto era pieno di Dei, Anassimandro era convinto che gli elementi naturali fossero delle divinità sempre in lotta tra di loro e Anassimene pensava che anche le pietre avessero un'anima; ebbene sulla scia di queste affermazioni, Peppino Russo asserì che tutte le cose del mondo possedevano un'anima, avendola carpita agli esseri umani nel corso della loro esistenza. A questo punto potrei parlare di ilozoismo e di immanentismo panteistico, poi però ho paura che il lettore si spaventi e smetta per sempre lo studio della filosofia, e allora mi limito a raccontare che tra i filosofi antichi, di tanto i tanto, è saltato fuori qualcuno a cui piaceva credere che tutte le cose del mondo fossero animate. Questo modo di pensare fu definito "ilozoismo", la parola greca composta da hýle che significa materia e zoé che significa vita.
Il mio incontro con Peppino Russo fu del tutto casuale.....
Di un altro "filosofo" scrive:
Prendiamo il caso di Tonino Capone: siamo a Napoli, è una mattinata di luglio, è mezzogiorno, la temperatura ha toccato il suo massimo stagionale, la mia Fiat è parcheggiata al sole. Entro nell'auto infuocata, metto in moto e mi accorgo di avere la batteria a terra: sacramento ad alta voce e mi dirigo a piedi dal più vicino elettrauto. La serranda è abbassata e su essa è affisso un cartello con la scritta: "AVENDO GUADAGNATO QUANTO BASTA TONINO E' ANDATO AL MARE".Segue un succinto profilo del personaggio di cui dice, tra l'altro:
Questa di Tonino è una scelta di vita che presuppone una filosofia, analizziamola nei particolari.
Oggi Tonino è l'unico intellettuale italiano in grado di regolare le puntine platinate di uno spinterogeno.Di un altro personaggio del libro, Gennaro Bellavista, racconta:
L'intrusione del professor Bellavista, pensionato ed ex insegnante di liceo, nella storia della filosofia greca è giustificata dal fatto che il suo pensiero si ricollega direttamente alla cosmogonia di Empedocle e all'etica di Epicuro. Ciò premesso, riteniamo opportuno trattare subito il primo argomento, quello della struttura dell'universo, e di riservarci in un secondo volume di scrivere la napoletanità, ovvero l'etica del popolo napoletano, nell'ambito della scuola epicurea.Il quinto personaggio, dipinto con sapiente mano da De Crescenzo è l'avvocato Tanucci, il cui motto era:
Secondo Bellavista, l'archè, il mattone primigenio con cui è stato costruito il mondo, è l'Energia. Ad agire su di esse provvedono due principi attivi che il professore chiama Amore e Libertà. A differenza dell'Amore e della Discordia, già descritti da Empedocle, queste due forze bellavistiane, pur essendo nemiche tra loro, risultano entrambe positive e, come tali, apportatrici di effetti vitali. Viene in tal modo a cadere la principale critica che Aristotele muoveva alle teorie di Empedocle e cioè quella sull'incoerenza di comportamento dell'Amore.
La giustizia è come una scarpa stretta: bisogna sempre usare un calzatoio per poterla usare.L'avvocato Tanucci, secondo la felice ricostruzionei De Crescenzo, appartiene ad una delle cinque categorie del variegato mondo che popola il Palazzo di Giustizia, ci sono infatti gli avvocati di grido, gli avvocati normali, i "paglietta", gli strascinafacenne e i giovani di studio.
Il personaggio del "paglietta" fa parte della storia di Napoli. I "paglietta" comparvero sulla scena giudiziaria napoletana nel Seicento. Camillo Gurgo ce li descrive così: "Panciuto, buffo, tra il prete e il cavaliere, con le seriche brache, le grosse scarpe munite di fibbioni ferreolucenti, il sottile vestito che il popolo chiama saraca, il collare azzurognolo che si chiama appunto paglietta, il vasto cappello di paglia rivestito di seta nera e la spada al fianco". (Camillo Gurgo -Castel Capuano e i paglietta, Napoli 1929)Per presentarlo, e concludere il volume, De Crescenzo trascrive l'appassionata, paradossale ma rigorosa, esilarante ma giuridacamente ineccepibile arringa difensiva dell'avvocato Tanucci nella difesa di tale Esposito Alessandro, accusato di truffa e falsificazione di marchio d'impresa, che così conclude:
(parlando di Luis Vuitton) Ora io affermo che, se un individuo è riuscito a convincere migliaia di persone che una borsa di plastica, seppure coperta di monogrammi, è migliore di una borsa di pelle, vuol dire che costui ha ridotto in stato di soggezione i propri clienti, e pertanto, forte di questa deduzione, io oggi accuso il signor Luis Vuitton di Parigi di plagio. Accuso altresì i trafficanti di firme, i venditori di fumo, italiani e stranieri, di assoggettare al loro potere le nostre mogli e i nostri figli. Accuso le riviste "FMR" e "CAPITAL" di propagandare i falsi idoli di un nuovo feticismo. Accuso i mass-media, i pubblicitari, i commercianti e tutti i loro complici di profitti illeciti. A voi signori del tribunale, il compito di fare giustizia: su un piatto della bilancia avete Luis Vuitton, Grande Furbo Internazionale, e sull'altro piatto Esposito Alessandro, piccolo furbo napoletano, colto in flagrante mentre tentava di piluccare una bricciola di pane sulla tavola della grande abbuffata!Un gran bel libro, in attesa di leggermi il secondo volume, uscito nel 1986 e che, per distrazione, mi sono perso.
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