venerdì 30 marzo 2018

Carlo Coccioli - FABRIZIO LUPO - Rusconi, 1978 - £ 7.500


Carlo Coccioli (1920-2003),  nato a Livorno, vissuto in Libia, partigiano in Italia (medaglia d'argento al valor militare), esule in Francia per omosessualità, e poi, come tutti gli scrittori esuli del mondo, nell'accogliente Messico dal 1953. Sarà per questo che la pagina Wikipedia in lingua spagnola è molto più esauriente di quella italiana, dove persino i 40 libri pubblicati da Coccioli non trovano il corrisponente link. Decisamente interessante invece la pagina web a lui dedicata:

                        http://www.carlococcioli.com/it/




La prima stranezza di Fabrizio Lupo è che si tratta di un romanzo  scritto in francese nel 1952 e tradotto dallo stesso Coccioli in italiano solo nel 1978, per l'ostilità che il soggetto provocava nell'Italia bacchettona dell'epoca (per dare un'idea del clima che si respirava, basti pensare che il Sant'Uffizio nel 1952  mette all'indice dei libri proibiti tutte le opere di Moravia e rivolge un appello al governo italiano perché "non permetta la pubblicazione di simili libri".
Per dovere di cronaca si deve segnalare che Dario Bellezza riteneva stilisticamente superiore la versione originale francese di Fabrizio Lupo.

L'incipit è di quelli che catturano subito l'interesse del lettore:

Il 3 gennaio 1951, verso mezzogiorno, un fattorino bussò alla porta del mio appartamento fiorentino, in via Pietrapiana, e mi porse una busta: era una lettera espresso. Stavo per uscire e avevo fretta; la deposi su una mensola e non ci pensai più. Tornato a casa alle undici di notte le gettai un'occhiata e vidi che l'avevano impostata in città; l'indirizzo era scritto a mano ma non riconobbi la scrittura. Apersi la busta e, tracciate con caratteri chiari e ordinati su un foglio di carta rossa, lessi le righe seguenti:
«La supplico di fissarmi al più presto un appuntamento. Il mio numero è 93633. Vivo nell'attesa di un Suo cenno. Fabrizio.»
Il nome bastò a suggerirmi quel che non mi aveva rivelato la scrittura. Colui che si firmava Fabrizio, io non lo conoscevo di persona, né lo avevo mai visto; però non era la prima lettera sua che ricevevo. La prima lettera, difatti, mi era giunta dopo la pubblicazione del mio romanzo La difficile speranza (nella primavera, se non sbaglio, del 1947); e dire che mi era sembrata bizzarra, o inquietante, sarebbe dire poco. Consisteva in una pagina bianca: un comune foglio per corrispondenza, sul quale era stato tracciato, in fondo, a destra, il nome  «Fabrizio». Avevo penato a ritrovare mentalmente il valore simbolico che in una storia poetica poteva significare l'invio di una «page blanche» a qualcuno; ma il carattere particolare del romanzo cui quello strano messaggio si riferiva, particolare in ogni senso, mi aveva aiutato.

Se la lettura di Fabrizio Lupo non è arrivata a prendermi «per incantamento» è dovuto, credo, agli oltre sessant'anni trascorsi da quando è stato scritto.

In questo lungo lasso di tempo è cambiato tutto: la società, la mentalità, la percezione che abbiamo della realtà, ma anche, e soprattutto, la letteratura. 

Nel conformismo neorealista degli anni '50, quella di Coccioli era una scrittura fortemente innovativa e di rottura: il romanzo nel romanzo, i piani temporali che si intersecano tra fabula e intreccio, personaggi simbolici e personaggi reali: tutto il bagaglio che fa parte dei mezzi illimitati (?) nel narratore, oggi lo si legge, forse, con meno sorpresa per talune invenzioni narrative, allora quasi rivoluzionarie. 

E poi, per dirla tutta, c'è un misticismo di fondo che non rientra tra le cose che amo di più, nella vita e nella letteratura.

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