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mercoledì 8 giugno 2011

Maria Bellonci - COME UN RACCONTO GLI ANNI DEL PREMIO STREGA - Club degli Editori - 1969


Ma non si era detto tutto il male possibile dei premi letterari? E com'è allora che il racconto della nascita del Premio Strega è avvincente e commuove come una storia d'amore?

Merito della grazia, della levità, della passione che traspare dalla prosa elegante di Maria Bellonci.

Questo volumetto, che veniva regalato negli anni '70 a quanti acquistavano l'intera collana I PREMI STREGA del Club degli Editori, ricostruisce la storia degli amici della domenica, che Maria e Goffredo Bellonci ricevevano nella loro casa di Viale Liegi, nella Roma del 1944, appena liberata dai nazi-fascisti.

Nel gruppo iniziale degli amici della domenica vi erano Bontempelli, Piovene, Bernari, Maccari, Contini, Petroni e altri, poi, man mano che l'Italia si liberava, arrivavano nella casa di viale Liegi: Gadda, Longhi, Anna Banti, Corrado Alvaro, Macchia, Flaiano, Palazzeschi, Pratolini, e ancora: Silone, Moravia, Elsa Morante, Pannunzio, Bassani, Mario Praz, Alba De Céspedes, Ungaretti, Guttuso, Anna Maria Ortese, Gianna Manzini, Brancati, Francesco Flora, Goffredo Petrassi, Carlo Levi, praticamente l'intero panorama culturale italiano.

Come nasce l'idea del premio letterario:
Il 17 marzo 1946 festeggiavamo Gianna Manzini e Alberto Moravia che avevano avuto a Milano un piccolo premio letterario istituito dal Corriere lombardo. Uno spirito festoso e immune da ogni inibizione critica mi spinse a mettere un fiore nei libri premiati. Ma io già da tempo cominciavo a pensare ad un nostro premio, un premio che nessuno ancora avesse mai immaginato. L'idea di una giuria vasta e democratica che comprendesse tutti i nostri amici mi sembrava tornar bene per ogni verso: dava significato espressivo anche al gruppo che avrebbe manifestato così le sue opinioni e le sue tendenze, anzi le avrebbe rivelate per mezzo di paragoni e discussioni: confermava il nuovo acquisto della democrazia, ed era intonato al nostro stato d'animno, quello stato d'animo che mi faceva alzare alle cinque del mattino per impastare le torte senza che mi pesasse la fatica domenicale.
Poi Ermanno Contini porta in viale Liegi un giovane industriale, attento e interessato al mondo della cultura: Guido Alberti, che diventa in breve un assiduo frequentatore di casa Bellonci.

Una sera a pranzo in una trattoria (c'erano fra gli altri Alba De Cèspedes ed Eduardo De Filippo) da un discorso sui nuovi modi espressivi, discorso che comprendeva la corrente cinematografica del neorealismo iniziata irresistibilmente l'anno prima con Roma città aperta di Rossellini, si passava a parlare del neorealismo letterario che, reagendo all'ermetismo e alla prosa d'arte, prometteva svolgimenti in più direzioni. Goffredo parlò a Guido Alberti della mia idea, era il 19 gennaio del freddissimo 1947 (....) Lunedì 27 gennaio alle undici del mattino Guido Alberti mi telefonò che il premio era stato deciso da lui e dai suoi parenti; la somma che gli Alberti offrivano era di duecontomila lire, per quei tempi più che dignitosa.
E il racconto prosegue spiegando i criteri che utilizzarono per redigere un regolamento democratico, la lista dei partecipanti la giuria (letterati e non addetti ai lavori) che doveva conferire il premio, scegliere un luogo adatto e ogni altro problema organizzativo.

Poi il raccontro entra nel vivo:

Il 1947 : che anno vigoroso e che annata buona per la letteratura. Uscivano uno dopo l'altro: La romana di Moravia, Cronaca di poveri amanti di Pratolini, L'età breve di Alvaro, Pietà contro pietà di Piovene Il compagno di Pavese, Il Sempione strizza l'occhio al Frejus di Vittorini, Il cielo è rosso di Berto, Prologo alle tenebre di Bernari, E' stato così Natalia Ginzburg, Tempo di uccidere di Flaiano, Il villino di Bigiaretti, Malaria di guerra di Pea, Artemisia di Anna Banti. Molti di questi libri furono pubblicati dopo l'aprile e cioè in tempo non utileper concorrere al premio che prevedeva uno spazio di tempo dall'aprile dell'anno prima all'aprile dell'anno in corso. In marzo era stato pubblicato anche un mio libro, Segreti dei Gonzaga, che naturalmente gli amici su mia preghiera, non dovevano considerare in gara. Sicchè la casa si empì di cartelli scherzosi e affettuosi come questo: "O sorte ria, non si vota per Maria".(.....) Il 4 luglio il caro Francesco Jovine che presiedeva il tavolo degli scrutatori ripetè per novantadue volte il nome di Flaiano, e Flaiano vinse il Premio Strega.


E così di seguito, anno dopo anno, viene raccontato come si arivasse alle varie premiazioni, le appassionate arringhe degli amici proponenti i candidati finalisti, le intemperanze di alcuni, la ponderatezza di altri, e poi le nuove iniziative tese a valorizzare i giovani scrittori, anche con l'impegno di Arnoldo Mondadori a pubblicare nella Medusa degli Italiani gli esordienti meritevoli, segnalati da una apposita giuria. Insomma vent'anni al servizio della cultura italiana, val la pena chiudere con le parole di Maria Bellonci:

Penso che di una lunga impresa deve essere valutato solo il risultato finale e mi sembra che proprio la Collana Strega ne indichi uno durevole nella storia letteraria italiana.

martedì 25 maggio 2010

Ennio Flaiano - TEMPO DI UCCIDER E - Longanesi, 1947

Di Ennio Flaiano anche il più distratto spettatore di talk-show, conosce i memorabili aforismi, citati a proposito e a sproposito dai vari conduttori televisivi, per dare quel tòcco di cultura che fa la differenza. Molto meno sono quelli che hanno letto qualcosa di Flaiano. Consiglio di iniziare con l'unico romanzo che scrisse, Tempo di uccidere, che nel 1947 riuscì ad imporsi al Premio Strega, gareggiando, si fa per dire, con La Romana di Moravia, Cronaca di poveri amanti di Pratolini, Il compagno di Pavere e via elencando tra i massimi narratori italiani.

Lo sto rileggendo in questi giorni e lo trovo avvincente come un triller, pieno di colpi di scena, scritto con mano leggera. Come nei film di Hitchcock il dramma, la tragedia e l'orrore convive con la normalità, ne è parte integrante. La voce narrante è quella del protagonista, un tenente dell'esercito italiano in Eritrea.

Ripresi la corsa e lasciavo che le ganbe si muovessero automaticamente, ma ancora dovetti fermarmi. Tra gli alberi c'era una donna che stava lavandosi. La donna non si accorse della mia presenza. Era nuda e stava lavandosi ad una delle pozze, accosciata come un buon animale domestico. Mentre la osservavo, pensai che mi avrebbe indicato la strada e così non sarei dovuto tornare al ponte. Una donna che si lava è spettacolo comune quaggiù, e indica la vicinanza di un villaggio. "C'è di tutto in questa boscaglia", dissi. E continuai a guardar la donna. Anzi sedetti, mi accorgevo ora di essere veramente stanco dopo l'inutile marcia della mattinata.
La donna alzava le mani pigramente, portandosi l'acqua sul seno e lasciandola cadere, sembrava presa in quel gioco. Forse era la da molto tempo, decisa a lavarsi senza fretta, per il piacere di sentirsi scorrere l'acqua sulla pelle, lasciando che il tempo scorresse egualmente. Non si accorgeva della mia presenza e restai a guardarla. Era uno spettacolo comunissimo, ma migliore degli altri che mi si erano offerti sinora. Poichè il gioco non accennava a finire, accesi una sigaretta, e intanto mi sarei riposato.
Alzava le mani e lasciava cadere l'acqua, ripetendo il gesto con una melanconica monotonia. Era il suo modo di divertirsi e forse di volersi bene. Il suo modo di lavarsi era differente: si strofinava come una massaia, quasi che il corpo non fosse suo. Ma erano brevi parentesi in quella noia.Quando un corvo venne ad una pozza vicina la donna gli tiro un sasso, urlando, e lo colse in pieno. Il corvo annaspò verticalmente e raggiunse l'albero, accoccolandosi tra i rami. La donna seguitò a urlare, poi tacque e riprese a lavarsi con estrema indolenza.
Perchè disturbarla ? Era di pelle molto chiara, ma non badai a questo particolare, sorprendente in quella boscaglia. Soltanto sulle montagne di Gondar avevo incontrato donne di pelle così chiara, dove, suppongo, la dominazione portoghese ha schiarito la pelle e i desideri delle donne che si incontrano. Ricordai quella donna che avevo incontrato su certi meravigliosi prati e che s'era accostata per dirmi una sola parola: "Fratello". E aveva aggiunto il sorriso di una timidezza non ancora perduta, restando poi a guardarmi come se la faccenda non riguardasse anche lei. Mi lasciava intera una rsponsabilità quasi inevitabile.
Per lavarsi la donna aveva raccolto i capelli in una specie di turbante bianco. Ora che ci penso: quel turbante bianco affermava la presenza di lei, che altrimenti avrei considerato un aspetto del paesaggio, da guardare prima che il treno imbocchi la galleria. Quel fazzoletto di cotone definiva ogni cosa, e io non sapevo allora che avrebbe definito tutto.

Una particolarità del romanzo, di cui ci si rende conto a lettura conclusa, è il diverso trattamento che Flaiano riserva ai personaggi, distinguendo tra nativi e italiani: mentre gli africani hanno un nome, la bellissima Mariam, il misterioso Johannes, il giovanissimo Elias, gli italiani sono indicati con il grado o la funzione, il tenente, il maggiore, il dottore.
Non credo che questa diversità di trattamento sia un semplice espediente narrativo, sono portato a credere che voglia marcare l'indice di estraneità dei militari invasori nel contesto africano, e in un certo senso la loro disumanità rispetto alla purezza primitiva dei nativi.

L'intrigo, il thriller, si scioglie da solo quando alla fine, l'ordine del rientro in patria, ristabilisce le giuste distanze tra due mondi incommensurabili.

Nel 1989 Giuliano Montaldo ne fece un film con Nicolas Cage protagonista, tra gli sceneggiatori un giovanissimo Paolo Virzì.