Com'è charmant, questo volumetto di Marcel Proust (Bompiani, 1946), conservato gelosamente per almeno 50 anni (non so quando è stato acquistato) che raccoglie poco più di una dozzina di articoli apparsi nei prini anni del '900 su Le Figarò, che esperienza agrèable la sua lettura. Viene in mente quel famoso verso di Baudelaire:
Là, tout n'est qu'ordre et beutè, Luxe, calme et volupté
Questo affettuoso ritratto di Marcel Proust, tracciato da un suo biografo, Lèon Pierre-Quint, all'epoca delle frequentazioni dei solotti parigini di cui parla il volume, ricorda questa famosa foto, che Marcel regalò nel 1915 (o 1916) a Céleste Albaret.
Certo, nessuno dei lettori de Le Figarò avrebbe potuto immaginare che nel giovane e incantato cronista mandano, occupato a celebrare le frivolezze del faubourg St.Germain si celasse un osservatore acutissimo e spietato di quella società, che avrebbe descritto senza compiacenze nell'opera della sua vita.
Qui, descrivendo gli eleganti salotti presso i quali la più bella società europea si incontrava, nelle lunghe e appassionanti descrizioni di genealogie nobiliari, appare ai nostri occhi di smaliziati esegeti iconoclasti, una qualche forma di adulazione, certo involontaria in un uomo fondamentalmente buono e disinteressato.
Pur avendo questi scritti poco in comune con la Recherche per stile e contenuti, Parigi a parte, alcuni elementi sono presenti: l'attesa spasmodica ai Champs-Elysées della bambina di cui era innamorato, (Gilberte, nella finzione narrativa) e la cocente delusione quando ella mancava quei taciti appuntamenti, oppure la promessa di una vacanza a Firenze, (Venezia, in La strada di Swann) cui dovette rinunciare perché malato; o ancora i biancospini...
Marcel Proust ha qualcosa di magico, che se cominci a parlarne, ti prende la nostalgia dei suoi luoghi, dei suoi personaggi e ti ritrovi, gioiosamente, a perderti ancora una volta nella sua Recherche du temps perdu.
Il traduttore, Giuseppe Lanza (1900-1988), scrittore, saggista, autore di teatro, vincitore di un premio Bagutta 1956 con il racconto Rosso sul lago, oggi assolutamente dimenticato, con una modestia d'altri tempi, chiude l'introduzione con queste parole:
Là, tout n'est qu'ordre et beutè, Luxe, calme et volupté
"Grandi occhi neri, brillanti, dalle palpebre pesanti e piagate in giù ai lati; uno sguardo di una dolcezza estrema, che s'attacca a lungo sull'oggetto che fissa; una voce ancora più dolce, un po' ansante, un po' strascicata, che sfiora l'affettazione schivandola sempre. Lunghi e folti capelli neri, che talvolta coprono la fronte e che non avranno mai un filo biaco. Ma è agli occhi che si torna, immensi occhi cerchiati, stanchi, nostalgici, estremamente mobili, che sembrano spostarsi e seguire il pensiero segreto di colui che parla. Un sorriso continuo, divertito, accogliente, esita e poi si fissa sulle sue labbra. Di un colorito opaco, ma allora fresco e roseo, egli fa pensare, nonostante i sottili baffi neri, a un fanciullone indolente e troppo perspicace."
Questo affettuoso ritratto di Marcel Proust, tracciato da un suo biografo, Lèon Pierre-Quint, all'epoca delle frequentazioni dei solotti parigini di cui parla il volume, ricorda questa famosa foto, che Marcel regalò nel 1915 (o 1916) a Céleste Albaret.
Certo, nessuno dei lettori de Le Figarò avrebbe potuto immaginare che nel giovane e incantato cronista mandano, occupato a celebrare le frivolezze del faubourg St.Germain si celasse un osservatore acutissimo e spietato di quella società, che avrebbe descritto senza compiacenze nell'opera della sua vita.
Qui, descrivendo gli eleganti salotti presso i quali la più bella società europea si incontrava, nelle lunghe e appassionanti descrizioni di genealogie nobiliari, appare ai nostri occhi di smaliziati esegeti iconoclasti, una qualche forma di adulazione, certo involontaria in un uomo fondamentalmente buono e disinteressato.
Pur avendo questi scritti poco in comune con la Recherche per stile e contenuti, Parigi a parte, alcuni elementi sono presenti: l'attesa spasmodica ai Champs-Elysées della bambina di cui era innamorato, (Gilberte, nella finzione narrativa) e la cocente delusione quando ella mancava quei taciti appuntamenti, oppure la promessa di una vacanza a Firenze, (Venezia, in La strada di Swann) cui dovette rinunciare perché malato; o ancora i biancospini...
Marcel Proust ha qualcosa di magico, che se cominci a parlarne, ti prende la nostalgia dei suoi luoghi, dei suoi personaggi e ti ritrovi, gioiosamente, a perderti ancora una volta nella sua Recherche du temps perdu.
Il traduttore, Giuseppe Lanza (1900-1988), scrittore, saggista, autore di teatro, vincitore di un premio Bagutta 1956 con il racconto Rosso sul lago, oggi assolutamente dimenticato, con una modestia d'altri tempi, chiude l'introduzione con queste parole:
Il traduttore s'è sforzato di rendere in buon italiano queste prose; ma sa
di essere stato, più che ardito, temerario.
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