mercoledì 2 novembre 2011

Alfredo Panzini SANTIPPE - BMM 1954 - £ 250









Alfredo Panzini: ecco un altro autore dimenticato, anzi vittima di una vera e propria epurazione culturale, su cui ancora pesano i giudizi negativi di Croce, Gramsci, Piero Gobetti e altri; per contro ci sono giudizi positivi e alcuni decisamente entusiastici per la figura e l'opera di Panzini.

Qualche dato biografico per inquadrarlo storicamente: nato l'ultimo giorno del 1863 a Senigallia, ma riminese per origine familiare e scelta, fu allievo del Carducci all'Università di Bologna, ebbe la sfortuna di essere contemporaneo dei tre grandi poeti dell'epoca: Carducci, Pascoli, e D'Annunzio, e per questo, nella storia della letteratura italiana tra '800 e '900, viene definito minore.

Croce sostiene che Panzini, per compiacere il grosso pubblico ignorante, ha rinunziato alla sua vena di poeta e artista genuino degli affetti domestici, per adottare uno stile ripetitivo e artificioso.

Gramsci sprezzante, relega Panzini tra i nipotini di padre Bresciani, con riferimento alla corrente letteraria antidemocratica e reazionaria che prende il nome dal gesuita Giovanni Bresciani, che si distingue per il paternalismo ipocrita verso le masse e la devozione verso l'ordine costituito.

Piero Gobetti accusa addirittura Panzini di aver contribuito con le sue opere scritte dopo il 1918 - complice il suo editore Treves e i compiacenti critici - al decadimento morale e civile della letteratura italiana, attraverso un lento e inesorabile assorbimento della letteratura alle leggi di mercato.

Bella e articolata l'analisi che Carlo Bo traccia di Panzini, sviluppandola in comparazione con il coetaneo D'Annunzio, che rappresenta le aspirazioni più alte, mentre Panzini finisce per apparire come un dio più umile ma anche più adatto alla nostra misura. Inoltre Panzini ha aiutato molti giovani a non perdere il senso delle proporzioni e sopratutto a non disprezzare il metro della realtà e delle cose.

Per Emilio Cecchi Panzini rappresenta la risposta, seppure rassegnata e disincantata dell'antico ideale umanistico, oramai preso d'assalto dalla prepotenza e dalla volgarità della corrente dannunziana.

Per Giuseppe Prezzolini la più grande virtù di Panzini è l'identità tra opera e vita, per cui alla incessante tensione stilistica ne corrisponde una morale che lo fa tendere verso un'esistenza seria, serena, alta.

Interessante il pensiero di Panzini, Accademico d'Italia, sul problema dei neologismi, imposti dal regime fascista, in sostituzione di parole straniere entrate nell'uso comune. Scrive Panzini in una relazione all'Accademia d'Italia:


Si tratta di vedere fino dove e come si può dare cittadinanza italiana a quelle parole che non possono essere spulse. Per esempio: taxi. Ojetti in un suo scritto propose di scrivere tassì, due ss e l'accento. E va bene! Sport, tram, stop auto, film ecc. possono essere accolte ed è inutile usare il corsivo e l's per farne il plurale. Queste parolette brevi faranno per lo meno da contrappeso a certi neologismi orrendamente lunghi e aspri di nostra speciale produzione.
Ma torniamo alla nostra Santippe. Questa la premessa di Panzini al romanzo, con la sua prosa classica:


A CHI LEGGERA'
Questo piccolo romanzo non è stato scritto per gli eruditi, benché parli della Grecia; e sebbene parli di un filosofo, non è stato scritto per i filosofi.

Si intitola bensì con il nome di Santippe, un nome di donna vituperata nei secoli; e si potrebbe pensare che l'autore avesse avuto in mente di servirsi di Santippe, moglie di Socrate, come di un laido pupazzo per ripetere vecchie e sgarbate cose contro le donne: le quali cose, anche se fossero verità, sarebbero pur sempre verità maschili, a cui è lecito opporre altre verità femminili. E poi quale irriverenza è mai questa di dir male della donna che è l'anfora della vita?

No, il libro non ha questo scopo; forse non ha scopo nessuno; è venuto al mondo, così, come noi veniamo al mondo, senza scopo.

La sua prima pubblicazione è stata nella Nuova Antologia (1914). Ed è, come si vede, un piccolo, modesto libro.

Però, se pure essendo tale, se pure essendo breve, non si ripeterà di lui la brutta lode, si legge tutto d'un fiato: se molte cose che comunemente si credono serie, faranno sorridere; e molte altre cose ritenute ridicole indurranno ad alcuna meditazione, il piccolo libro crederà non del tutto inutile la sua venuta al mondo. Anzi crederà di essere anche lui venuto al mondo per amare e servire Iddio.


Il Socrate che disegna Panzini non è quello della tradizione classica, ma un uomo anziano che alle prese con le difficoltà della vita - e un rapporto familiare faticoso - risponde con bonaria ironia, quasi un alter-ego dell'ironico e bonario Panzini.

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