Apprendo dalla rivistina della Coop Nuovo Consumo che dal 16 al 24 giugno Forlimpopoli rende omaggio al suo concittadino più illustre, quel Pellegrino Artusi che nel 1891, a proprie spese, diede alle stampe il primo e più diffuso libro della cucina italiana. Una settimana di iniziative che trasformerà Forlimpopoli in "città da assaggiare, dove le strade, i vicoli e le piazze diventano veri e propri percorsi gastronomici. Ci saranno oltre 150 appuntamenti fra laboratori e degustazioni, una ventina di incontri imperniati sulla cultura del cibo, più di 50 spettacoli di vario genere (teatro,cabaret,concerti, performance di strada), oltre 30 ristoranti appositamente allestiti. Inoltre, come ogni anno, s'incorona il miglior cuoco o cuoca dilettanti, assegnando il Premio Marietta."
Marietta è stata la cuoca del maestro, la persona cioé che materialemnte realizzava le ricette che Artusi andava raccogliendo, con la passione dell'antropologo culturale, in giro per l'Italia. Ed è a lei che Artusi lascia in eredità i diritti del suo libro, divenuto nel corso degli anni un vero best-seller.
Il libro, è bene ricordarlo, non è un semplice ricettario, ma, come correttamente recita il titolo, La Scienza in cucina e l'Arte di mangiare bene, dove vengono dispensati consigli di ogni genere e, in anticipo di quasi un secolo, di informazioni sui fattori nutritivi dei vari alimenti.
In questo brano, parlando dei Tortellini alla bolognese, anticipa un concetto che profeticamente si realizzerà solo nei tempi moderni.
La descrizione della ricetta il più delle volte viene arricchita da notizie che riguardano i luoghi dove sono state raccolte, case private, osterie ecc., ma anche gustosi ritratti di persone. Questa spassosa descrizione anticipa la ricetta della Zuppa alla Stefani:
In questo brano, parlando dei Tortellini alla bolognese, anticipa un concetto che profeticamente si realizzerà solo nei tempi moderni.
"Bologna è un gran castelazzo dove si fanno continue magnazze", diceva un tale che a quando a quando colà si recava a banchettare cogli amici. Nell'iperbole di questa sentenza c'è un fondo di vero, del quale, un filantropo che vagheggiasse di legare il suo nome a un'opera di beneficienza nuova in Italia, potrebbe giovarsi. Parlo di un Istituto culinario, ossia scuola di cucina a cui Bologna si presterebbe più di qualunque altra città pel suo grande consumo, per l'eccellenza dei cibi e pel modo di cucinarli.
La descrizione della ricetta il più delle volte viene arricchita da notizie che riguardano i luoghi dove sono state raccolte, case private, osterie ecc., ma anche gustosi ritratti di persone. Questa spassosa descrizione anticipa la ricetta della Zuppa alla Stefani:
L'illustre poeta dott. Olindo Guerrini, essendo bibliotecario dell'Università di Bologna, ha modo di prendersi il gusto istruttivo, a quanto pare, di andare scavando le ossa dei Paladini dell'arte culinaria antica per trarne forse delle illazioni strabilianti a far ridere i cuochi moderni. Si è compiaciuto perciò di favorirmi la seguente ricetta tolta da un libricino a stampa, intitolato: L'arte di ben cucinare, del signor Bartolomeo Stefani bolognese, cuoco del Serenissimo Duca di Mantova alla metà del 1600, epoca nella quale si faceva in cucina grande uso ed abuso di tutti gli odori e sapori, e lo zucchero e la cannella si mettevano nel brodo, nel lesso e nell'arrosto. Derogando per questa zuppa dai suoi precettiio mi limiterò, in quanto a odori, a un poco di prezzemolo e di basilico; e se l'antico cuoco bolognese, incontrandomi all'altro mondo, me ne facesse rimprovero, mi difenderò col dirgli che i gusti sono cambiati in meglio; ma che, come avviene in tutte le cose, si passa da un estremo all'altro e si comincia anche in questa ad esagerare fino al punto di voler escludere gli aromi e gli odori anche dove sarebbero più opportuni e necessari. E gli dirò altresì che delle signore alla mia tavola, per un poco di odore di noce moscata, facevano boccacce da spaventare.
In genere le ricette guardano la cucina borghese dell'epoca, dove abbondano i pasticci di pernici, dove per farcire pollastre vengono impiegati due-tre etti di tartufo bianco, non certo la cucina contadina e operaia, impegnata com'era più a conciliare il pranzo con la cena che occuparsi di gastronomia.
Ma lentamente, con le varie edizioni che si susseguono, riesce infine a far breccia anche in quel mondo contadino, che finisce per riconoscersi in quei sapori e quelle pratiche culinarie, per diventare il libro di cucina di tutti gli italiani.
Ma lentamente, con le varie edizioni che si susseguono, riesce infine a far breccia anche in quel mondo contadino, che finisce per riconoscersi in quei sapori e quelle pratiche culinarie, per diventare il libro di cucina di tutti gli italiani.
Nessun commento:
Posta un commento