giovedì 22 luglio 2010

TRISTE,SOLITARIO Y FINAL di Osvaldo Soriano

Un altro dei motivi per cui amo la letteratura latino-americana è Osvaldo Soriano, argentino.

Il titolo, Triste, solitario y final è una citazione di Philip Marlowe, da Il lungo addio di Raymond Chandler: "Arrivederci amico, non le dico addio. Gliel'ho detto quando aveva un senso.Gliel'ho detto quando ero triste, solitario e alla fine."

In questo pazzo romanzo Osvaldo Soriano, giornalista argentino, è protagonista (ma non voce narrante) insieme a Philip Marlowe, investigatore privato, Los Angeles. Altri personaggi che appaiono sono, Stan Laurel, Van Dick, John Wayne, Charlie Chaplin (fulminante il giudizio di Marlowe:Non gli piaceva quell'ometto arrogante, al quale andava sempre male nei film e bene nella vita.).

Questo romanzo è stato definito un'elegia per il romanzo poliziesco e il cinema, un commosso e irriverente ricordo di due miti nordamericani diventati universali.

Il romanzo è stato scritto nella redazione del quotidiano di lusso La Opiniòn di Buenos Aires dove Soriano lavorava, senza tuttavia riuscire a pubblicare un articolo per il clima politico che si era venuto a creare con il governo militare di Videla.

Di Soriano ho letto anche Mai più pene né oblio e L'ora senz'ombra, due romanzi intensi, sulla realtà argentina il primo, classico romanzo on-road il secondo. La scrittura è lineare ed entrambe le storie ti conquistano completamente, anche se senza il divertimento assoluto di questo singolare Triste, solitario y final.



mercoledì 21 luglio 2010

Marcel Proust - SALOTTI PARIGINI - Valentino Bompiani Editore - 1946





Com'è charmant, questo volumetto di Marcel Proust (Bompiani, 1946), conservato gelosamente per almeno 50 anni (non so quando è stato acquistato) che raccoglie poco più di una dozzina di articoli apparsi nei prini anni del '900 su Le Figarò, che esperienza agrèable la sua lettura. Viene in mente quel famoso verso di Baudelaire:



Là, tout n'est qu'ordre et beutè, Luxe, calme et volupté


"Grandi occhi neri, brillanti, dalle palpebre pesanti e piagate in giù ai lati; uno sguardo di una dolcezza estrema, che s'attacca a lungo sull'oggetto che fissa; una voce ancora più dolce, un po' ansante, un po' strascicata, che sfiora l'affettazione schivandola sempre. Lunghi e folti capelli neri, che talvolta coprono la fronte e che non avranno mai un filo biaco. Ma è agli occhi che si torna, immensi occhi cerchiati, stanchi, nostalgici, estremamente mobili, che sembrano spostarsi e seguire il pensiero segreto di colui che parla. Un sorriso continuo, divertito, accogliente, esita e poi si fissa sulle sue labbra. Di un colorito opaco, ma allora fresco e roseo, egli fa pensare, nonostante i sottili baffi neri, a un fanciullone indolente e troppo perspicace."




Questo affettuoso ritratto di Marcel Proust, tracciato da un suo biografo, Lèon Pierre-Quint, all'epoca delle frequentazioni dei solotti parigini di cui parla il volume, ricorda questa famosa foto, che Marcel regalò nel 1915 (o 1916) a Céleste Albaret.

Certo, nessuno dei lettori de Le Figarò avrebbe potuto immaginare che nel giovane e incantato cronista mandano, occupato a celebrare le frivolezze del faubourg St.Germain si celasse un osservatore acutissimo e spietato di quella società, che avrebbe descritto senza compiacenze nell'opera della sua vita.

Qui, descrivendo gli eleganti salotti presso i quali la più bella società europea si incontrava, nelle lunghe e appassionanti descrizioni di genealogie nobiliari, appare ai nostri occhi di smaliziati esegeti iconoclasti, una qualche forma di adulazione, certo involontaria in un uomo fondamentalmente buono e disinteressato.

Pur avendo questi scritti poco in comune con la Recherche per stile e contenuti, Parigi a parte, alcuni elementi sono presenti: l'attesa spasmodica ai Champs-Elysées della bambina di cui era innamorato, (Gilberte, nella finzione narrativa) e la cocente delusione quando ella mancava quei taciti appuntamenti, oppure la promessa di una vacanza a Firenze, (Venezia, in La strada di Swann) cui dovette rinunciare perché malato; o ancora i biancospini...

Marcel Proust
ha qualcosa di magico, che se  cominci a parlarne, ti prende la nostalgia dei suoi luoghi, dei suoi personaggi e ti ritrovi, gioiosamente, a perderti ancora una volta nella sua Recherche du temps perdu.


Il traduttore, Giuseppe Lanza (1900-1988), scrittore, saggista, autore di teatro, vincitore di un premio Bagutta 1956 con il racconto Rosso sul lago, oggi assolutamente dimenticato, con una modestia d'altri tempi, chiude l'introduzione con queste parole:

Il traduttore s'è sforzato di rendere in buon italiano queste prose; ma sa
 di essere stato, più che ardito, temerario.




sabato 17 luglio 2010

DONNE IN GUERRA di Dacia Maraini

Un romanzo che non conoscevo, questo Donna in guerrra di Dacia Maraini, uscito nel 1975 per Einaudi e ambientato nel 1970, agli albori di quella stagione che sarebbe stata definita più tardi degli anni di piombo.

E' un romanzo duro, per linguaggio, situazioni, personaggi e analisi sociale. La forma scelta è quella del diario della protagonista, Vannina, insegnante in una scuola elementare nella periferia romana, in vacanza col marito Giacinto, in un'isoletta siciliana.

Il racconto che ne esce è fluido, avvincente, niente affatto frammentato dalla sua forma, la scrittura viva e immaginosa e il ritmo sempre teso.

In alcuni momenti, quando il linguaggio impastato di superstizioni delle donne dell'isola, la coinvolgono nelle storie inquietanti di quella terra, sembra di scorrere un testo di antropologia.

Poi l'incontro e il coinvolgimento con un gruppo di extraparlamentari che, in qualche modo, trascinano la sempre disponibile Vannina, nelle loro attività.

Chi ha vissuto gli anni '70, ne riconosce il linguaggio, non come ricostruito ma veritiero, nella rappresentazione dei nodi e dei problemi che agitano la vita civile nell'Italia degli anni 70: non soltanto la condizione della donna, le tensioni sociali, i ritardi nella scuola, la degradazione di Napoli e delle borgate romane, il lavoro a domicilio, la violenza delle istituzioni, la rivolta dei giovani.

Un romanzo che ha la forza e la profondità di un documento sociologico, ma che scorre con il ritmo avvincente di un thriller.

domenica 11 luglio 2010

IERI di Agota Kristof (1996) I coralli Einaudi


Quando si frequenta con una certa assiduità una libreria, avviene che qualcuno ti consigli una lettura, presumendo di conoscere i tuoi gusti e le tue sensibilità dai libri acquistati in precedenza. La libreria in questione era una piccola libreria tradizionale, vicino il mio ufficio, in Prati, gestita da una cortese signorina di mezz'età.

E' possibile che abbia acquistato il libro suggerito solo per gentilezza e riposto in libreria senza leggerlo, magari dopo averlo sfogliato, distrattamente, o anche iniziato a leggere, ma non trovando motivi di particolare interesse per finire la lettura, abbandonarlo tra Krishnamurti e Kundera.



Così, giorni fà capitatomi tra le mani, lo sfoglio e lo leggo velocemente, sono solo una novantina di pagine. E' una scrittura intensa, fantasiosa: qualcuno sembra l'abbia giudicato tra i migliori romanzi del novecento, mi sembra decisamente esagerato e poi non credo nelle hit parate, utili solo a chi vende.

L'autrice è ungherese, scappata dal suo paese nel 1956 durante l'occupazione sovietica, naturalizzata svizzera, scrive in francese.

domenica 20 giugno 2010

Lalla Romano - L'OSPITE - Einaudi, 1973 - £ 2.000 di Lalla Romano


Confesso che devo la scoperta di questo dimenticato romanzo di Lalla Romano (1906-2001) al fatto che, per ragioni di spazio, l'incombrante biblioteca del mio fratello più grande è stata ridimensionata, e una parte con grande dispiacere chiusa in scatoloni e affidatimi per una conservazione, la cui durata non è stata precisata.

Ogni tanto cerco di dare un ordine a questa mole di libri, catalogarli; ma più spesso apro a caso le scatole alla ricerca di qualche stimolante o semplicemente nuova lettura.

Così è capitata questa Lalla Romano del 1973, in un romanzo  forse minore rispetto alla sua più nota e importante produzione, ma che a quella si ricollega per il linguaggio, semplice, lineare, asciutto, pervaso da una ironia affettuosa, scevra da ogni sentimentalismo.

Un romanzo con una trama quasi inesistente, senza colpi di scena, che si regge sulla capacità della parola di rendere vivo il racconto del quotidiano, con rimandi, allusioni, riferimenti  alla cultura classica della sua autrice, insegnante di storia dell'arte, ma anche alla capacità propria del poeta di  togliere anzichè aggiungere, per arrivare all'essenziale.

Questo l'incipit:

La notte lo potevo guardare dall'orlo del mio letto, affondato nel suo, dalle sponde altissime: il capo rotondo piumoso rilevato di profilo, il suo profilo così tenue, i piccoli pugni ai lati, e il resto come una enorme chiocciola, sollevato sui ginocchi piegati sotto, avvolto nel vecchio scialle.
Intorno era il mio solito mondo non più mio. Le pile frananti, le torri pendenti dei libri, dei fogli; l'instabile proliferazione delle immagini appuntate dappertutto sui muri e scaffali, con chiodi, con spilli, con puntine da disegno.
Ma chi è L'Ospite:
L'ospite è soprattutto apportatore di gioia; ma essendo la sua presenza - transitoria - intimamente legata alle ultime radici, sommuove il senso della vita, crea nuovi legami fra le cose, le persone, i pensieri.

Difficile sottrarsi al fascino di questa scrittura. 

martedì 15 giugno 2010

LE LETTERE DA CAPRI di Mario Soldati

Che le ri-letture, rispetto alle prime letture, siano più interessanti, più profonde, credo di averlo scritto più volte, aggiungo che anche le sorprese spesso non mancano, sopratutto quando vengono a correggere un ricordo  diverso di quel libro.

E' il caso di questo bel romanzo di Mario Soldati, che gli valse nel 1954 il Premio Strega. Lo ricordavo diverso, un banale fatto di corna, la scoperta, attraverso il ritrovamento di alcune lettere, del tradimento di una moglie. Forse ero troppo giovane alla prima lettura e proiettavo sul romanzo la mia banalità esistenziale.

Innanzi tutto la forma. L'autore, che scrive in prima persona,  è se stesso:  un affermato regista cinematografico. Ma la storia non riguarda lui, bensì un amico americano, che gli sottopone una storia, la sua storia, come soggetto cinematografico.

I due piani narrativi si alternano e i personaggi  disvelano se stessi attraverso lo sbalordimento e l'attrazione di fronte alla mentalità mediterranea, verso un modo di vivere del tutto naturale, quasi pagano.

Non racconterò, ovviamente la storia, che lascio alla gioiosa scoperta di chi vorrà incontrare questo romanzo,
che, dopo l'inflazione neorealista degli anni del dopo-guerrra, rappresentò l'inizio di un ritorno al romanzo d'invenzione, di struttura ben congegnata e incalzante.

sabato 5 giugno 2010

L'ATTENZIONE di Alberto Moravia

E' uno strano romanzo, questo. 

Nel Prologo, che è parte integrante del Romanzo, è lo stesso protagonista, che scrive in prima persona, a spiegarcene il meccanismo narrativo. Un giornalista, alla ricerca dell'autenticità, decide di tenere un diario nel quale annotare quanto accade nella sua vita di tutti i giorni, una raccolta di materiale con l'intenzione di utilizzarlo  in un  romanzo.

Nel diario entra un po' tutto, dalla cronaca giornaliera, a fantasiose evoluzioni di fatti già accaduti, quindi bugie, sogni, considerazioni, ma ogni volta è l'autore stesso a riportare la verità, analizzando i motivi che lo hanno portano a scrivere delle falsità.

Centrale nel Diario, che è propedeutico al Romanzo, il rapporto tra il protagonista e Baba, figlia adolescente di sua moglie, tra tentazioni incestuose e tentativi di creare un rapporto normale all'interno di una famiglia che di normale non ha niente.

Qualcuno ha ritenuto che questo romanzo, per concisione di linguaggio, per asciuttezza morale e artistica, sia il più riuscito di tutta l'opera di Moravia.