Questo è il secondo dei libri che, arbitrariamente, definisco della memoria. E' un libro che, avendolo suggerito alle mie figlie adolescenti cui piacque molto, è diventato come altri, libro di culto famigliare.
Silvio D’Amico, critico e storico del teatro, iniziò a scrivere questo romanzo nel 1944, nei giorni dell’occupazione nazista di Roma, nascosto presso amici in un appartamento all’ultimo piano di palazzo Lancellotti in piazza Navona, lo stesso in cui è ambientata la vicenda del romanzo.
Nelle intenzioni dell’autore, questo romanzo doveva rappresentare il prologo di altri tre romanzi, che avrebbero dovuto seguire, in forma ciclica, Attilia e i suoi fratelli, dall’infanzia e adolescenza, all’età adulta, dal 1898 al 1939. Il progetto non si realizzò e Le finestre di piazza Navona, rimangono le uniche pagine di carattere narrativo di Silvio D'Amico, noto per la monumentale Storia del Teatro drammatico e Enciclopedia dello Spettacolo e per aver fondato L'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica.
Forse a pochi scrittori di oggi poteva riuscire a riprodurre il colore e il senso di un’epoca, il mondo della Roma borghese sul finire del secolo scorso, con altrettanta lucidità e coerenza espressiva, com’è toccato in sorte a Silvio D’Amico, stendendo queste pagine col distacco e la fermezza di visione di chi è intimamente innamorato della propria favola al punto di staccarla da se e rappresentarla nella sua realtà oggettiva.
Ne è nato un libro d’intensa verità, che attraverso la grazia del suo nitido disegno, ripropone gli interrogativi del vivere, pressanti e senza risposta, gli stessi, in qualche modo, dei bambini Alessandri, i veri protagonisti del romanzo, che si affacciano alla vita e ne scoprono di giorno in giorno le segrete ragioni e le ombre.
Riletto dopo molti anni, è riuscito ancora ad appassionarmi. Notevole la ricostruzione di un’udienza del papa, Leone XIII, in S. Pietro gremita come uno stadio, cui i ragazzi Alessandri partecipano.
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